Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Digital divide e Covid-19

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di: Carlo Tesauro

EyesReg, Vol. 11, N. 3, Maggio 2021

Introduzione

L’espressione digital divide, o divario digitale, era intesa all’origine degli anni ‘90 come pura e semplice possibilità di accesso fisico ad Internet, legata alla disponibilità di strumenti come computer e connessioni di rete. Questa prima definizione si è poi rapidamente evoluta nel tempo includendo un’ampia gamma di fattori socio-economici, che influiscono sulla capacità individuale e/o collettiva di beneficiare dei vantaggi offerti dalla connettività globale.

All’interno del concetto di capacità di accesso al mondo virtuale sono state via via ricomprese anche le conoscenze, dei singoli individui o di intere comunità, necessarie ad ottenere il massimo beneficio dalle opportunità offerte dal medium digitale, introducendo così il concetto di knowledge divide, o divario di conoscenza.

L’intero contesto di riferimento del divario digitale ha continuamente cambiato forma nel corso degli anni, a causa dei profondi cambiamenti intervenuti sia nella sua componente fisica che nelle applicazioni e nei servizi disponibili. La componente fisica, da un lato, ha visto la comparsa di nuovi strumenti, come smartphone, tablet e un consistente incremento della qualità di connessione, con l’introduzione della banda larga e ultralarga sia via cavo che via etere, mentre dall’altro lato i servizi e le applicazioni disponibili si moltiplicavano diventando sempre più radicati nella vita quotidiana, come nel caso dei social network o dei tantissimi servizi alla persona (ad esempio l’home banking).

Nonostante il potente effetto traino dovuto alla diffusione di particolari applicazioni (social network innanzitutto) il problema del divario digitale non si è risolto con l’evoluzione delle tecnologie, ma risulta semplicemente traslato su un livello che presenta  una maggiore complessità di tutte le sue componenti. Infatti anche il mondo dell’offerta introduce continuamente nuove opportunità che richiedono competenze specifiche sempre più sofisticate ed evolute. Questo già precario equilibrio dell’evoluzione digitale subisce fortemente l’impatto della pandemia e di tutti gli stravolgimenti socio-economici ad essa connessi. Come osservato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in (AGCOM, 2020b), “gli effetti delle disuguaglianze digitali si acuiscono: oltre a peggiorare la condizione di coloro che già mostravano un gap digitale, deflagra la rilevanza che le disparità rivestono nel contesto socio-economico”.

Lo stato delle infrastrutture

L’esplodere della pandemia, dovuta al rapido aumentare della diffusione del virus, modifica radicalmente l’intero ambiente vitale dell’individuo, poichè le politiche di contrasto alla diffusione del virus obbligano il lavoro, la didattica e le riunioni (inclusi seminari e congressi) a trasformarsi in attività online.

Gli strumenti e le conoscenze necessarie alla gestione di questa trasformazione, che erano già esistenti anche se raramente utilizzati e spesso ironicamente sottovalutati, irrompono improvvisamente nella quotidianità di una larga percentuale di popolazione.

Contemporaneamente, cresce a dismisura anche l’attività in rete delle strutture istituzionali coinvolte nelle operazioni di contrasto alla pandemia, alle quali deve essere garantita priorità e idonei livelli di efficienza. Il primo elemento dell’ambito digitale ad essere investito da questi cambiamenti risulta evidentemente l’infrastruttura di comunicazione.

Già dal 2013, sia pure con tutte le difficoltà derivanti dall’assenza di dati statisticamente certificati a livello nazionale (Matteucci, 2013), si analizzava la componente infrastrutturale in termini di disponibilità e accesso della cosiddetta Banda Larga (BB), comparsa in Italia con la ADSL nel 2000. I risultati italiani ottenuti da quelle analisi, a più di dieci anni dall’introduzione della nuova tecnologia, erano tutt’altro che lusinghieri. A distanza di pochi anni i dati sullo stato delle infrastrutture di rete italiane all’inizio della pandemia (2019) sono divenuti assolutamente affidabili, poiché sono presentati nel report dell’AGCOM (2020b). Tuttavia lo scenario nazionale complessivo non mostra un miglioramento apprezzabile.

Figura 1: Accessibilità alla BB nei Paesi UE

Fonte: Dati Eurostat 2019

Pur in presenza di una ulteriore evoluzione della realtà operativa dovuta all’introduzione della Banda Ultralarga (UWB) sia per la connessione fissa (divenuta nel frattempo anche wireless oltre che via cavo) che per quella mobile, la valutazione dei risultati ottenuti a livello nazionale resta largamente insufficiente. Il livello di copertura territoriale per i servizi di qualità elevata nel 2019 era in grado di permettere la connessione solo all’85% delle famiglie, valore che già di per se non appare particolarmente brillante se confrontato con i corrispettivi europei (media 90%) (Fig.1), ma che risulta assolutamente insoddisfacente se valutato in termini di diffusione del servizio o di distribuzione territoriale. La diffusione dei servizi BB o UWB nello stesso anno, infatti, raggiunge appena il 37% di penetrazione del mercato, con una distribuzione territoriale della disponibilità che varia dall’88% dei centri metropolitani, all’84% delle aree suburbane e l’82% delle aree rurali. I dati mostrano poi un alto grado di variabilità in funzione dell’orografia del territorio, con estremi che si riducono notevolmente nelle aree più complesse come quelle montuose (vedi Fig. 2).

Figura 2: Differenza tra disponibilità ed utilizzo nelle regioni italiane

Fonte: AGCOM 2020b

Una nuova domanda di servizio

La domanda di servizio generata dalle politiche di contenimento della pandemia rivoluziona completamente l’uso dei servizi di rete. Tutte le attività connesse al lavoro di ufficio, ovvero tutte le attività che non richiedono una componente “fisica” per il loro svolgimento, vengono improvvisamente trasferite nel mondo virtuale, generando condizioni profondamente diverse dalle preesistenti in termini quantitativi, localizzativi e temporali.

Infatti, sia il lavoro domestico (smart working) che la didattica a distanza (DAD) richiedono un ampio utilizzo delle comunicazioni audio/video, notevolmente onerose per le strutture di rete, che si aggiungono ai normali volumi di traffico lavorativo. Anche i servizi istituzionali, la cui piena funzionalità deve sempre e comunque essere garantita, subiscono un analogo incremento. Inoltre, questo traffico incrementato ha origine e destinazione presso connessioni molto più diffuse sul territorio rispetto a quanto avveniva in precedenza, quando era maggiormente concentrata nei luoghi di lavoro. Il risultato finale è uno scenario complessivo del traffico completamente modificato. Lo schema preesistente gestiva un altissimo numero di comunicazioni, di medio/piccola dimensione, con brevissimo tempo di risposta ed elevata concentrazione localizzativa nelle fasce orarie lavorative a fronte di una domanda quantitativamente inferiore, con volumi di maggior entità, minore necessità di tempistiche brevi e diffusione capillare delle sorgenti (residenziale) per le fasce orarie del tempo libero. L’utilizzo delle comunicazioni di rete durante la pandemia aumenta quantitativamente (vedi Fig. 3) in tutte le fasce orarie ed è sempre capillarmente distribuito.

Figura 3: Incremento del traffico di rete causato dalla pandemia

Fonte: AGCOM 2020b [1]

L’impatto sulle reti

L’assetto complessivo descritto in termini di accessibilità e tipologia di servizio richiesto identifica una situazione in linea con i peggiori scenari preventivabili per il divario digitale.

Se si osserva l’infrastruttura di rete, che è solo una delle componenti fisiche del problema, si nota come essa abbia dovuto assorbire un raddoppio del volume di traffico nei soli primi due mesi della pandemia.

Ribaltando il punto di osservazione, appare evidente come ben più della metà delle famiglie si sia trovato ad utilizzare uno strumento notevolmente sottodimensionato per le nuove esigenze, situazione aggravata al livello individuale dalla necessità di dover condividere con i familiari l’accesso alla rete per lo studio e/o il lavoro.

L’immagine complessiva dello scenario peggiora ulteriormente se si considera anche la riduzione di banda applicata alle utenze private per evitare il sovraccarico dell’intero sistema e garantire la funzionalità dei servizi istituzionali essenziali. Le reti di comunicazione hanno quindi dimostrato di essere largamente inadeguate.

Questa inadeguatezza dell’infrastruttura ha origini piuttosto lontane, poichè risalgono all’epoca delle privatizzazioni dei cosiddetti Enti Pubblici Economici alla fine degli anni ’90, fase allora definita come deregulation.

L’intervento fu finalizzato esclusivamente alla componente commerciale dei servizi gestiti sino ad allora dalla public company monopolista. Le infrastrutture di rete, invece, furono lasciate in eredità all’azienda nata dalla privatizzazione ripristinando di fatto il monopolio sull’infrastruttura con una normativa che vincolava la gestione tecnica (ultimo miglio) all’azienda stessa.

La normativa definiva anche le regole e i costi di accesso per i nuovi operatori, garantendo in questo modo condizioni idonee per la concorrenza ma, di fatto, disincentivando gli investimenti nel potenziamento dell’infrastruttura.

Solo successivamente, nel 2008, sono stati liberalizzati gli investimenti per le infrastrutture, in particolare per l’uso della fibra ottica, ma si deve attendere ancora la fine del 2014, con gli incentivi del decreto “Sblocca Italia”, per la loro definitiva riattivazione, limitando al “solo” quarto di secolo il ritardo accumulato. Fortunatamente questa formula operativa non fu replicata in situazioni analoghe, come ad esempio per l’energia elettrica ed i trasporti ferroviari, che hanno visto invece la creazione di società di gestione delle infrastrutture totalmente autonome rispetto all’intera platea dei fornitori di servizi.

Conclusioni

L’eccezionalità della situazione rappresentata dall’evento pandemico ha messo inequivocabilmente in evidenza il sottodimensionamento della rete di telecomunicazione, la cui gravità è testimoniata anche dal contenuto di recenti provvedimenti legislativi. I mancati o insufficienti investimenti, in un lungo periodo a cavallo del millennio, hanno lasciato il Paese in una grave condizione di arretratezza che si è immediatamente manifestata al primo evento straordinario.

In termini di divario digitale la considerazione che il caso osservato è solo parte di una delle sue tante componenti aggrava ulteriormente la valutazione complessiva, preconfigurando conseguenze che avranno effetti consistenti nel medio – lungo periodo come, ad esempio, le lacune formative e relazionali di un’intera generazione.

In ottica nazionale, poi, il deficit dimostrato dalle infrastrutture di telecomunicazione si aggiunge ai tanti problemi posti in primo piano dalla pandemia e già evidenziati in studi recenti, quali quelli relativi all’organizzazione e funzionamento delle strutture sanitarie (Celata, 2020; Marino 2020; Palazzo e Ievoli, 2020; Provenzano, 2021), al trasporto pubblico (Beria, 2020; Brenna, 2021; Maggi et al., 2021), o al funzionamento delle strutture istituzionali (Tesauro; Musolino e Rizzi, 2020; Mazzeo, 2020; Ciciotti, 2021). L’aspetto positivo del fenomeno Covid-19 è che ha impietosamente evidenziato tutte le fragilità del sistema Paese, in un periodo storico in cui il tema delle riforme strutturali resta in primo piano nel dibattito politico nazionale e l’ordinaria gestione della finanza pubblica viene potenziata e supportata dalla cospicua disponibilità di fondi europei legati al recovery plan.

Carlo Tesauro, IRBIM CNR

Riferimenti bibliografici

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Note

[1] Un petabyte (un biliardo di byte) è pari a 1.000 terabyte

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