Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

La polarizzazione sul mercato del lavoro in Italia

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di: Alberto Bramanti e Matteo Villettaz

EyesReg, Vol.10, N.2, Marzo 2020

Gli economisti che studiano l’impatto della tecnologia sul mercato del lavoro hanno inizialmente introdotto l’ipotesi di un cambiamento tecnico che polarizza le competenze. A partire dagli anni 2000 in tutti i Paesi avanzati si osserva un rapido declino della percentuale di occupazioni di medio livello insieme ad un aumento della percentuale di posti di lavoro poco qualificati (nei servizi alle persone) e una crescita sostenuta nella percentuale di occupazioni altamente qualificate (professionisti e dirigenti). Queste osservazioni sono ben documentate per gli Stati Uniti (Autor and Dorn, 2013) e per numerose regioni europee (Goos et al., 2009; Goos et al., 2014). Si tratta di evidenze generalizzate che hanno reso riconoscibile il nuovo fenomeno noto come “polarizzazione del mercato del lavoro” caratterizzato dalla forma a U nella distribuzione delle competenze.

Seguendo lo schema logico proposto da Autor et al. (2003) si possono riconoscere quattro tipi di compiti facilmente rappresentabili in una matrice 2×2. Le attività di routine e non, le attività manuali e intellettuali. Sono definite di routine quelle attività che seguono regole esplicite che possono essere eseguite dalle macchine. Per contro, le attività non di routine non sono sufficientemente ripetitive per essere specificate in un codice del computer. Entrambe queste due categorie di attività possono essere manuali o cognitive. Il modello prevede che l’impatto del progresso tecnologico incida in modi diversi su lavoratori con diversi livelli di abilità. Compiti cognitivi non di routine sono integrati da cambiamenti tecnologici e quindi sperimentano una crescita significativa (con un aumento delle professioni knowledge-invensive). I compiti di routine – sia cognitivi che manuali – sono sostituiti dalla tecnologia con un impatto professionale negativo (contrazione di lavori di media competenza). Infine, il cambiamento tecnologico non completa né sostituisce compiti manuali non di routine.

La letteratura sul caso europeo non presenta prove univoche circa gli effetti dell’automazione sulla struttura occupazionale anche se diversi autori testimoniano la presenza di polarizzazione in Europa negli ultimi decenni (Goos et al., 2009; Goos et al., 2014).

L’emergere della polarizzazione nel mercato del lavoro italiano

Il presente articolo analizza i cambiamenti intercorsi in Italia tra il 2011 e il 2018 sul mercato del lavoro. La base dati informativa è quella ISTAT, “Ricerche sulle forze di lavoro”. Le 20 regioni italiane sono state riaggregate nelle cinque macro-ripartizioni Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole. La variabile utilizzata nell’analisi è la classificazione italiana delle occupazioni a una cifra (CP2011), compatibile con la classificazione internazionale standard delle professioni (ISCO-08). La classificazione riporta le professioni aggregate in nove macro-gruppi, omogenei per livello di abilità/competenze richiesto, a loro volta riaggregati in tre blocchi secondo i livelli bassi, medi e alti delle competenze richieste.

La figura 1 mostra che tra il 2011 e il 2018 l’Italia ha registrato una significativa riduzione delle occupazioni di media competenza (–2,3%). Allo stesso tempo, entrambi i gruppi nella parte superiore e inferiore della distribuzione delle competenze hanno registrato un incremento. Sono cresciute dell’1,3% le occupazioni high-skilled e di poco meno dell’1% quelle low-skilled. La dinamica evidenziata nel settennio appare dunque coerente con un quadro di polarizzazione che discende dalla teoria del cambiamento tecnologico di routine precedentemente richiamata (Autor et al., 2003; 2006).

La figura 1 mostra anche alcune importanti differenze macro-regionali. Mentre le tre Italie del Centro-Nord seguono un percorso simile, ed evidenziamo un andamento a U del mercato del lavoro, l’Italia meridionale e l’Italia insulare presentano alcune discrepanze rilevanti con le tendenze nazionali.

Figura 1 – Cambiamenti nella quota di occupazione per livelli di competenze (2011-2018): Italia e macro-ripartizioni geografiche

Fonte: Elaborazione degli autori su dati ISTAT.

Figura 2 – Cambiamenti nella quota di occupazione per livelli di competenze e dimensione aziendale (2011-2018)

Fonte: Elaborazione degli autori su dati ISTAT.

Nel Sud Italia il percorso può essere descritto come un declassamento generale del livello di competenze richiesto nel mercato del lavoro mentre l’Italia Insulare presenta una tendenza opposta rispetto al resto del Paese, con un aumento delle occupazioni di media competenza (+0,6%) e una leggera diminuzione delle due code della distribuzione (–0,3% in entrambi i gruppi).

Se alla distribuzione geografica si paragona quella dimensionale delle imprese il quadro si precisa ulteriormente e si qualifica. La figura 2 mostra che il cambiamento più rilevante si è verificato nelle aziende con più di 50 lavoratori, decisamente concentrate nelle ripartizioni Nord-italiane. In queste aziende i lavoratori con competenze medie hanno perso circa 5 punti percentuali, mentre il gruppo a più alte competenze ha registrato una crescita significativa (+3%).

Infine, la figura 3 richiama gli andamenti interni all’ industria manifatturiera per macro-ripartizioni. Qui gli andamenti risultano più omogenei, con l’eccezione del Sud Italia, a conferma che il comparto manifatturiero è il maggiore driver di cambiamento tecnologico oggi operante nel nostro Paese.

Figura 3 – Cambiamenti nella quota di occupazione per livelli di competenze nell’ industria (escludendo il settore costruzioni) (2011-2018)

Fonte: Elaborazione degli autori su dati ISTAT

Il quadro complessivo che emerge testimonia la presenza di polarizzazione del lavoro ben documentata in una prospettiva regionale, settoriale, e dimensionale, sulla base dei cambiamenti (2011-2018) nella quota di occupazione delle professioni in Italia. Ciò che i tre grafici evidenziano è che le occupazioni nella parte bassa e alta della distribuzione delle competenze si ampliano rispetto alla parte centrale della distribuzione. Emerge con evidenza certa una chiara polarizzazione nel Nord-ovest, nel Nord-est e nell’Italia centrale, polarizzazione che la distribuzione territoriale della dimensione d’impresa e del comparto manifatturiero sono in larga misura in grado di spiegare.

Va inoltre osservato che i tassi di penetrazione delle nuove tecnologie abilitanti, e le caratteristiche strutturali del tessuto produttivo italiano, rendono il fenomeno della polarizzazione del lavoro solo all’inizio. Ne discende pertanto che tale polarizzazione non potrà che aumentare rendendo ancora più centrale il ruolo delle politiche di accompagnamento (ed eventualmente di ammorbidimento degli impatti) di tale fenomeno. Proprio alle politiche è dunque dedicata la parte centrale del presente lavoro.

Le politiche pubbliche

Alla luce di quanto sin qui documentato emerge una forte necessità di promuovere un sistema di apprendimento permanente per gli adulti (lifelong learning) con l’obiettivo di attenuare la sempre più rapida obsolescenza delle competenze dei lavoratori (§ 3.1). In secondo luogo, si discute del possibile ruolo dei sindacati nel contrastare il processo di polarizzazione (§ 3.2). Infine, si richiama l’importanza del gestire in modo innovativo l’informazione e di utilizzare i big data sul mercato del lavoro italiano (§ 3.3).

Un sistema di apprendimento per adulti

La polarizzazione delle competenze nel mercato del lavoro italiano rappresenta un trend ben avviato. I lavoratori italiani che sono già passati attraverso cambiamenti significativi sul posto di lavoro tra il 2012 e il 2015 sono circa il 17% della forza lavoro totale, poco meno della media tra i paesi OCSE (OCSE, 2019).

In tale contesto, la formazione continua offerta sul posto di lavoro rappresenta la prima e più efficace protezione sociale per il futuro. Fondamentale diviene pertanto incentivare un efficace sistema di apprendimento degli adulti che consenta loro di mantenere e migliorare le proprie competenze. Non tutti i lavoratori godono però di pari opportunità nel ricevere una formazione permanente adeguata (OCSE, 2019). Le ragioni alla base di tali disuguaglianze riguardano i tempi e i vincoli finanziari che le imprese devono affrontare e il livello di competenze di partenza dei lavoratori a volte insufficienti nel garantire ritorni significativi da tale attività formativa.

L’impatto dell’età anagrafica del lavoratore svolge un ruolo analogo. I lavoratori più anziani ricevono, in media, meno formazione rispetto ai giovani. Infine, i lavoratori permanenti a tempo pieno sono positivamente associati a una più alta probabilità di partecipare a programmi di formazione rispetto ai lavoratori temporanei.

Incoraggiare la partecipazione all’apprendimento dei gruppi svantaggiati diviene quindi un obiettivo politico prioritario e le opzioni di policy che possono aiutare il perseguimento di tali obiettivi riguardano: i) la sensibilizzazione circa i benefici della formazione; ii) l’offerta di opzioni di formazione flessibili che soddisfino i vincoli di tempo del lavoratore inserito in azienda; iii) la disponibilità di sussidi finanziari che aiutano le imprese ad erogare idonei programmi formativi.

Lavoratori con scarse competenze

Le persone scarsamente qualificate sono anche quelle meno coinvolte nei programmi di formazione. Questo divario – pari a circa 40 punti percentuali in Italia e non difforme dalla media OCSE – è negativamente connotato da una più scarsa disponibilità in Italia ad aderire a programmi formativi da parte di persone poco qualificate. Tra gli adulti che non partecipano alla formazione permanente, il gruppo con scarse competenze è meno propenso a prendere parte a programmi formativi (OCSE, 2019).

A tale riguardo occorre certamente intervenire su più fronti: i) migliorare la consapevolezza dei lavoratori sui benefici della formazione permanente; ii) offrire un voucher formativo (1) ai lavoratori con scarse competenze; iii) utilizzare appieno le nuove tecnologie di rete per ottimizzare i tempi della formazione realizzando mix appropriati di formazione in azienda, in aula e in remoto.

Il ruolo delle organizzazioni sindacali

I sindacati stanno vivendo un forte calo di rappresentanza nella maggioranza dei Paesi sviluppati. La percentuale di iscritti al sindacato si è quasi dimezzata tra il 1985 e il 2016 passando dal 30% al 16% del totale degli addetti (OCSE, 2019).

Nel caso italiano, tra il 2001 e il 2017, i due maggiori sindacati italiani (Cgil e Cisl) hanno perso 230 mila membri. Ciò nonostante i sindacati svolgono ancora un ruolo fondamentale nel migliorare la sicurezza del mercato del lavoro per i lavoratori a rischio e nell’aumentare l’adattabilità dei lavoratori ai cambiamenti tecnologici.

Un contributo rilevante sull’effetto della diffusione tecnologica su un mercato del lavoro altamente sindacalizzato viene da Nellas and Olivieri (2011) che studiano il processo di polarizzazione analizzando l’effetto congiunto della tecnologia e dei sindacati. Nei mercati meno sindacalizzati gli shock tecnologici portano a una polarizzazione dell’occupazione mentre nei mercati con più alta rigidità istituzionale, la forza dei sindacati riduce la polarizzazione occupazionale, proteggendo il salario dei lavoratori dipendenti, a scapito dell’occupazione a bassa competenza. In questo modello, l’emergere della disoccupazione involontaria può essere letto come un’alternativa alla polarizzazione dell’occupazione. Gli autori segnalano che i Paesi in cui le opportunità occupazionali in lavori a bassa specializzazione sono aumentati di più (gig economy) hanno sperimentato meno disoccupazione. Secondo questi risultati la disoccupazione sembra dunque l’alternativa, in particolare italiana, alla polarizzazione degli Stati Uniti.

Il ruolo dell’informazione e dei dati disponibili

Comprendere i potenziali percorsi di carriera è fondamentale per tutte le parti interessate. I lavoratori devono sapere se le loro competenze sono compatibili con le nuove professioni (modificate dall’automazione) e i datori di lavoro devono conoscere quali dipendenti possono avere successo in queste nuove posizioni professionali. Sfortunatamente, il mercato del lavoro fornisce oggi segnali relativamente rozzi circa le competenze necessarie alle imprese. Come documentato dall’OCSE (2017), un numero significativo di lavoratori fatica a trovare un’occupazione adeguata mentre i datori di lavoro affermano che è difficile reperire sul mercato le competenze necessarie. Il fenomeno delle skills mismatch risulta dunque crescente e rimane uno dei problemi aperti specialmente nei paesi più avanzati.

Confrontando le qualifiche dei lavoratori con le qualifiche necessarie per il lavoro si indaga empiricamente sulla mancata corrispondenza le cui cause sono molteplici (Monti e Pellizzari, 2017). In primo luogo, il sistema scolastico–formativo italiano produce qualifiche che sono indicatori particolarmente sfuocati delle competenze effettive. In secondo luogo, la concentrazione delle piccole imprese può essere responsabile dell’alto livello di sovraccapacità e del deterioramento delle competenze.

  Una tassonomia condivisa delle competenze

L’uso di dati appropriati è dunque fondamentale per consentire alle persone di fare scelte informate sulla propria formazione e carriera. È necessario creare una tassonomia coerente delle competenze della forza lavoro e un insieme certificato di competenze (McKinsey, 2019). In effetti, le competenze acquisite al di fuori dei percorsi standard di apprendimento formale risultano ancora sottovalutate (European Commission, 2016). Una tassonomia omogenea e riconosciuta tra Paesi rappresenterebbe il quadro di riferimento per la domanda di competenze da parte dei datori di lavoro, l’offerta delle stesse da parte dei lavoratori, e la potenziale offerta del sistema scolastico-formativo.

  Dati per migliorare la corrispondenza

L’uso di migliori tecnologie di matching potrebbe aiutare a ridurre l’attrito nella ricerca di lavoro e la relativa discrepanza nelle competenze offerte e richieste. Autor et al. (2003) hanno evidenziato che la riduzione dei costi delle informazioni attraverso Internet consente ai lavoratori di apprendere di più l’un l’altro e migliora la qualità della corrispondenza domanda-offerta sul mercato del lavoro.

Dal punto di vista dei dipendenti, le persone in cerca di lavoro possono beneficiare di informazioni che migliorano la qualità e la quantità del collocamento presso le imprese. Dal punto di vista del datore di lavoro, le risorse umane sono messe in grado di prendere decisioni migliori grazie alla disponibilità di più dati. Alcune evidenze sull’impatto delle informazioni sul mercato del lavoro dal lato dei datori di lavoro sono ben documentate in Murray (2010). I dati suggeriscono un impatto positivo sul mercato del lavoro anche per la riduzione della durata della disoccupazione a breve termine.

Brevi conclusioni

In presenza di polarizzazione occorre attrezzarsi per meglio rispondere alle sfide che il cambiamento tecnologico pone alla struttura e all’articolazione delle competenze, alla loro durabilità e alle migliori modalità per rinnovarle e aggiornarle secondo processi di formazione permanente.

C’è estremo bisogno di migliorare la conoscenza ed è per questo che l’analisi dei dati del mercato del lavoro diviene un supporto strategico fondamentale. Proprio in questa direzione stanno lavorando alcuni progetti tra i più avanzati (https://www.wollybi.com/) che unendo big data e machine learning cominciano a scandagliare in profondità la rete, e i milioni di informazioni in essa disponibili sui mercati del lavoro, per registrare il cambiamento che si produce nelle aziende in tempo reale[ (2) e sfruttare questo flusso informativo per orientare le politiche di matching e le politiche formative dei singoli e delle istituzioni.

Alberto Bramanti e Matteo Villettaz, Università Bocconi


Riferimenti bibliografici

Autor, D.H., Levy, F. and R.J. Murnane (2003), The Skill Content of Recent Technological Change. An Empirical Exploration, Quarterly Journal of Economic, 118 (4), pp. 1279-1333.

Autor, D.H., Katz, L.F. and M.S. Kearney (2006), The Polarization of the U.S. Labor Market, American Economic Review, 96 (2), pp. 189-194.

Autor, D.H. and D. Dorn (2013), Inequality and Specialization: The Growth of Low-Skill Service Jobs in the United States, American Economic Review, 103 (5), pp. 1553-1597.

European Commission (2016), A New Skills Agenda for Europe, Working Together to Strengthen Human Capital, Employability and Competitiveness, COM(2016), 381 final, Brussels.

Goos, M., Manning, A. and A. Salomons (2009), Job Polarization in Europe, American Economic Review, 99 (2), pp. 58-63.

Goos, M., Manning, A. and A. Salomons (2014), Explaining Job Polarization: Routine-Biased Technological Change and Offshoring, American Economic Review, 104 (8), pp. 2509-2526.

McKinsey Global Institute (2019), The Future of Work in America. People and Places, Today and Tomorrow, [www.mckinsey.com/mgi].

Monti, P. and M. Pellizzari (2017), Skill Mismatch and Labour Shortages in the Italian Labour Market, Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research, Policy Brief 02, Milan.

Murray, A. (2010), The State of Knowledge on the Role and Impact of Labour Market Information: A Survey of the Canadian Evidence, Centre for the Study of Living Standards, Research Report No 4, Ottawa.

Nellas, V. and E. Olivieri (2011), Job Polarization and Labor Market Institutions, mimeo unpublished.

OECD (2017), Getting Skills Right: Italy, OECD Publishing, Paris.

OECD (2019), The Future of Work: OECD Employment Outlook, OECD Publishing, Paris.


Note

(1) l “Compte Personnel de Formation” è uno strumento fornito dal governo francese a partire dal 2015. Il CPF è un sistema di voucher offerto ai lavoratori per acquistare diverse forme di formazione. [https://www.uniformation.fr/particulier/salaries/formation-et-financements/compte-personnel-de-formation-cpf].

(2) WollyBI offre una visione unica del mercato del lavoro attraverso l’analisi degli annunci di lavoro delle aziende pubblicati quotidianamente sul Web. Grazie all’esclusivo approccio – basato su tecniche di analisi dei Big Data ed analisi semantica – raccoglie (giornalmente dal 2013) dati su professioni e competenze non altrimenti disponibili. Attualmente il database di WollyBI è composto da milioni di annunci unici e il sistema viene aggiornato ogni mese.

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