Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Tratti culturali e comportamenti socio-economici. Le differenze nord-sud

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di: Giuseppe Albanese, Guido de Blasio

EyesReg, Vol.8, N.6, Novembre 2018

 

 

Introduzione (i)

Nella voluminosa letteratura sulle determinanti del comportamento socio-economico c’è un’importante distinzione tra valori, o preferenze, e credenze (beliefs). Le credenze derivano dalle esperienze vissute; dunque, il contesto a cui una persona è stata esposta nella vita ne modifica le sue convinzioni. Al contrario, i valori non sono basati sull’esperienza effettiva. Sono non-contestuali, universali (vedi: Fehr, 2009). Empiricamente, i valori sono tratti culturali che cambiano lentamente (Schildberg-Hörisch, 2018), mentre le credenze cambiano più spesso.

Il ruolo rispettivo di valori e credenze ha enormi implicazioni per il dibattito sulle differenze nei comportamenti socio-economici tra le regioni italiane. Per esempio, la storia di Putnam (1993) – secondo la quale tali differenze possono essere ricondotte all’aver sperimentato diverse forme di governo locale nel medioevo – implica che i tratti culturali siano stati permanentemente modificati nel corso della storia. Altri studiosi propongono l’idea che le differenze genetiche, piuttosto che gli shock storici, siano importanti. Tale tesi si baserebbe sulla circostanza che la proporzione di geni nordafricani è più alta nel Sud Italia, mentre quella dei geni dell’Europa settentrionale e centrale è più alta nel Nord (Lynn, 2010). Nell’insieme, l’idea che la genetica o gli shock storici spieghino le differenze nei comportamenti sociali ed economici lascia molto poco spazio alle politiche volte a modificare quei comportamenti.

Questo studio cerca di far luce sul rapporto tra valori e comportamenti pro-sociali tra gli italiani delle due aree del Paese. Dal punto di vista empirico, i valori possono essere visti come tratti individuali che rimangono invariati durante la vita, o anche attraverso successive generazioni se determinati geneticamente o storicamente. D’altra parte, le credenze variano a una frequenza più alta, poiché riflettono le circostanze vissute. A tale scopo, utilizziamo i dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (IBF) del 2010, svolta dalla Banca d’Italia. In quell’edizione, sono presenti misure che riguardano sia la fiducia negli altri sia il senso civico, che qui si utilizzano come proxy dei comportamenti. Per quanto riguarda le determinanti, la survey ci fornisce delle misure sulle preferenze al rischio e temporali, che rappresentano le primitive standard nei modelli economici. Infine, l’indagine include risposte riferite a singoli tratti culturali, come ad esempio l’importanza di avere successo nella vita professionale. Per questi valori siamo in grado di identificare la loro porzione invariata nel corso di due generazioni, che dovrebbe rappresentare una buona controparte empirica per i tratti considerati non contestuali. Per quanto riguarda le fonti italiane, questi dati rappresentano una possibilità unica di indagine empirica, anche se ovviamente, il nostro contributo condivide le limitazioni comuni a tutti gli studi che utilizzano dati di survey per indagare sulle determinanti della fiducia negli altri (Fernandez, 2008). Va però ribadito che in questo studio esaminiamo se la relazione tra tratti culturali e comportamenti sociali sia diversa tra il nord e il sud dell’Italia. Pertanto, nella misura in cui le limitazioni dovute alla natura dei dati sono comuni alle due aree, esse sono implicitamente eliminate dalla stima.

I nostri risultati mettono in dubbio l’idea che le differenze nei comportamenti  socio-economici dei cittadini meridionali siano legate a determinanti di lunga durata. Essi mostrano infatti che il ruolo dei tratti culturali più persistenti non differisce tra le aree (in linea anche con le evidenze che contrastano l’esistenza di differenze nei livelli di QI; si veda Felice e Giugliano, 2011), mentre quando ciò avviene i tratti dei cittadini del sud sono a favore di una maggiore fiducia negli altri o di una condotta pro-sociale. Pertanto, sembra probabile che ciò che conta per la fiducia e il senso civico sia legato alle credenze, al contesto culturale e ambientale che gli italiani di diverse aree devono affrontare. I risultati quindi non forniscono supporto per spiegazioni pre-determinate geneticamente o storicamente. Al contrario, sottolineano che i cambiamenti delle credenze indotti dalle politiche potrebbero avere dei benefici molto alti in termini di miglioramento di quel complesso di comportamenti a cui viene dato il nome di capitale sociale.

 

Determinanti del grado di fiducia

In questo studio usiamo i dati IBF tratti dall’edizione del 2010. Il campione comprende 3.816 intervistati; 1.296 di loro risiedono nel Sud (vedi Tabella 1 per le statistiche descrittive). All’interno di tale survey, il grado di FIDUCIA negli altri viene misurato attraverso la seguente domanda: «In generale, Lei direbbe che si può avere fiducia nella maggior parte della gente o che non si è mai troppo attenti e prudenti nel trattare con la gente? Risponda dandomi un voto da 1 a 10, dove 1 significa che “Non si è mai troppo attenti e prudenti nel trattare con la gente” e 10 significa che “Si può avere fiducia nella maggior parte della gente” ed i valori intermedi servono a graduare le sue risposte.». Questa domanda coincide con quelle solitamente adottate in tutte le più importanti indagini sociali (come, World Values ​​Survey, General Social Survey, European Values ​​Survey e European Social Survey). Iniziamo mostrando in che misura il ridotto comportamento di fiducia dei cittadini del Sud riflette le differenze nell’avversione al rischio e nell’impazienza. Questi ultimi aspetti sono primitive standard nella modellizzazione economica. In base alla definizione di Coleman (1990), è probabile che esse siano determinanti chiave del grado di fiducia (si veda anche Albanese et al., 2017). Questa definizione afferma infatti che un individuo si fida se (i) mette volontariamente delle risorse a disposizione di un’altra parte senza alcun impegno legale per quest’ultima, e (ii) l’atto di fiducia è associato all’aspettativa che tale azione verrà ripagata in futuro. Sulla base di questa definizione, poiché l’atto di fiducia implica delle probabilità di guadagno e perdita, l’atto di fiducia è negativamente correlato all’avversione al rischio. Inoltre, poiché tale azione comporta dei benefici futuri contro dei costi attuali, essa è negativamente correlata all’impazienza dell’individuo. Di conseguenza, un basso livello di fiducia potrebbe riflettere una maggiore avversione al rischio o una maggiore impazienza.

I dati IBF forniscono controparti empiriche adeguate per entrambi gli aspetti. Il livello di AVVERSIONE AL RISCHIO viene catturato utilizzando una misura ordinale basata sulla seguente domanda: «Nella gestione degli investimenti finanziari Lei ritiene di essere una persona più orientata a investimenti che offrano la possibilità di: (1) guadagni molto elevati, pur con un’elevata dose di rischio di perdita di parte del capitale; (2) un buon guadagno, ma al tempo stesso un discreto grado di sicurezza del capitale investito; (3) un discreto guadagno, ma al tempo stesso un buon grado di sicurezza del capitale investito; (4) bassi guadagni, senza alcun rischio di perdita del capitale.». Le risposte alla domanda di cui sopra sono state ricodificate per indicare con valori più alti gli individui più avversi al rischio. Questa misura è analoga all’indicatore presente nell’indagine statunitense sulle finanze dei consumatori ed è stata utilizzata in diversi studi sull’atteggiamento del rischio (Jianakoplos e Bernasek, 1998, Guiso et al., 2013).

Le preferenze temporali (IMPAZIENZA) sono misurate utilizzando un indicatore qualitativo basato sulla seguente domanda: «Immagini adesso di trovarsi nella seguente situazione: le viene comunicata una vincita alla lotteria pari al valore delle entrate annuali nette della Sua famiglia. Tale vincita le verrà corrisposta tra un anno. Se Lei rinuncia a parte dell’importo potrà invece ritirare l’ammontare residuo immediatamente. Per ottenere immediatamente la vincita rinuncerebbe al ​​20% della somma? E al 10%? E al 5%? E al 2%?». Questa domanda segue una modalità ampiamente utilizzata per ricavare le preferenze temporali da una survey (Frederick et al., 2002).

Nella Tabella 2, colonna 1, regrediamo la nostra misura di FIDUCIA sulle due proxy di AVVERSIONE AL RISCHIO e IMPAZIENZA. Queste due variabili vengono inserite anche in interazione con una dummy per i residenti del Sud, al fine di verificare se il legame tra le due primitive e il grado di fiducia sia diverso nel Sud. Includiamo anche una serie di covariate standard – età, sesso, reddito, istruzione – volte a controllare le principali fonti di eterogeneità degli intervistati. I risultati confermano il gap meridionale nel comportamento di fiducia. Sia l’avversione al rischio che l’impazienza sono negativamente correlate con la fiducia riposta negli altri, come suggerisce la definizione di Coleman (1990). Allo stesso tempo, le interazioni tra le due primitive e la dummy Sud non risultano mai significative. Non sembra dunque esserci un diverso ruolo dei tratti culturali più persistenti, come quelli che si riferiscono a preferenze di rischio e temporali, nella spiegazione dei divari di fiducia tra nord e sud.

Chiaramente, tali preferenze potrebbero essere solo un sottoinsieme dei tratti primitivi che risultano importanti per la fiducia negli altri. Nel tentativo di arricchire la lista dei plausibili candidati, ricorriamo ad altre due domande presenti in IBF, in cui vengono investigati i valori ricevuti dai genitori e quelli trasmessi ai discendenti. Per quanto riguarda il primi, la domanda è: «Nell’educazione che ha ricevuto quanto si è insistito sui seguenti valori?». Con riguardo ai tratti trasmessi, la domanda è: «Quanta insistenza ha posto (o pensa sia giusto porre) nell’educazione dei figli sui seguenti valori?». Per entrambe le domande, le risposte sono state registrate secondo lo schema seguente, che individua cinque valori: a) TOLLERANZA per le diverse opinioni altrui, fede religiosa e abitudini sessuali; b) OBBEDIENZA ai genitori e agli educatori; c) RISPETTO delle leggi; d) avere una famiglia /avere dei figli (FAMIGLIA); e) avere successo nel LAVORO. Agli intervistati è stato chiesto di valutare l’importanza di ogni singola voce; le risposte seguono una scala ordinale da 1 (non importante, non si è insistito affatto) a 10 (molto importante, si è molto insistito).

Si noti che la domanda si riferisce agli sforzi di trasmissione diretta dai genitori ai bambini. Nella misura in cui i tratti trasmessi misurati dall’indagine includono anche una componente di credenze – perché i genitori vogliono trasmettere solo quella parte dei loro valori che sopravvive al riscontro della realtà – potremmo non riuscire a catturare correttamente qualcosa che si riferisca a tratti culturali che evolvono lentamente. Va detto che la possibilità che le risposte riflettano essenzialmente le credenze è in contrasto con i risultati di Albanese et al. (2016), che mostrano un alto grado di persistenza intergenerazionale per i cinque valori (anche quando il rispondente è migrante di prima o seconda generazione). In ogni caso, una buona controparte empirica per i tratti considerati non contestuali è data dal grado in cui questi valori sopravvivono da una generazione all’altra. Pertanto, nel nostro esercizio empirico manteniamo per ogni tratto solo il livello minimo ottenuto dalle due domande. Cioè, se ad esempio un rispondente riceve dai genitori 7 punti di TOLLERANZA e trasmette ai suoi figli solo 5 punti di questa caratteristica, prendiamo 5 come componente del tratto culturale soggetta a un cambiamento più lento.

I risultati, mostrati in Colonna 2, documentano che TOLLERANZA è correlata positivamente con FIDUCIA, mentre OBBEDIENZA, LAVORO e RISPETTO sono negativamente correlati con FIDUCIA (il coefficiente su RISPETTO, tuttavia, non raggiunge il consueto livello di significatività statistica). Soprattutto, le interazioni tra i cinque valori e la dummy Sud entrano significativamente solo per LAVORO, ma con un segno positivo che suggerisce come gli intervistati meridionali caratterizzati da un alto attaccamento alla loro vita professionale riportino un livello più elevato di fiducia negli altri, rispetto a cittadini simili del Nord.  

 

Determinanti del senso civico

È anche interessante verificare se i risultati sono validi per altre misure di comportamenti pro-sociali. Ad esempio, la storia di Putnam (1993) è stata tradizionalmente inquadrata in termini di senso civico – civismo, importanza del bene pubblico – piuttosto che fiducia. L’analisi presentata nella Tabella 3 fornisce regressioni analoghe a quelle della Tabella 2 in cui sostituiamo FIDUCIA con CIVISMO. Questa variabile è tratta dalla seguente domanda, dove le risposte sono state ricodificate per indicare con valori più elevati un maggiore grado di senso civico: «Tenere per sé il denaro di cui si è venuti in possesso in maniera fortuita ove sia possibile la restituzione al legittimo proprietario (ad esempio, perché si è trovato un portafoglio con i documenti del proprietario) è sempre giustificabile. Indichi dandomi un voto da 1 a 10 il suo grado di accordo con questa affermazione dove 1 vuol dire “completo disaccordo”, 10 vuol dire “completo accordo” ed i valori intermedi servono a graduare le sue risposte.».

A differenza del grado di fiducia, che dipende anche da un’analisi costi-benefici dell’atto di fiducia, il civismo può essere visto come un concetto che potrebbe avere molto a che fare con i valori piuttosto che con le credenze. Tenersi i soldi fornirebbe un guadagno immediato, mentre non è previsto alcun beneficio futuro dalla restituzione (oltre a quelli che si riferiscono a una soddisfazione morale, una gratificazione etica). Per quanto riguarda i risultati empirici, il gap meridionale sembra innanzitutto confermato (la dummy Sud entra con un coefficiente negativo altamente significativo anche nella specificazione più parsimoniosa della colonna 1). Il CIVISMO è negativamente correlato con AVVERSIONE AL RISCHIO e IMPAZIENZA, suggerendo che queste dimensioni svolgono un ruolo che non è limitato alla fiducia negli altri (che implica una comparazione tra benefici e costi, o tra presente e futuro), ma si applica anche a definizioni diverse di comportamenti sociale. Coloro che considerano OBBEDIENZA ai genitori e agli educatori e il RISPETTO delle regole come tratti importanti dichiarano di essere più disposti a restituire il denaro. Coloro che ottengono punteggi alti sui valori più legati alla sfera individuale (FAMIGLIA e LAVORO) ritengono più giustificabile tenere il portafoglio; lo stesso avviene per chi ha maggiore TOLLERANZA. Per quanto riguarda le interazioni, scopriamo che quattro di loro entrano in modo significativo. Tuttavia, tre su quattro (AVVERSIONE AL RISCHIO, IMPAZIENZA e TOLLERANZA) suggeriscono che le primitive dei residenti meridionali influiscono più favorevolmente sul senso civico, rispetto a quelle dei residenti del Nord. Solo per RISPETTO, scopriamo che esiste un effetto differenziale per i cittadini meridionali che ha un impatto negativo sul CIVISMO, segnalando solamente in questo caso una differenza di segno avverso circa l’impatto dei valori sul livello di civismo nelle due aree del paese.  

 

Conclusioni

La maniera in cui i tratti culturali che si modificano lentamente influiscono sul capitale sociale è stata oggetto di intenso dibattito nell’ambito della discussione sul ritardo di sviluppo del sud. I nostri risultati suggeriscono come le spiegazioni storiche o genetiche appaiono in contrasto con le prove empiriche basate sui dati di survey, che rigettano l’esistenza di differenze rilevanti tra le due aree del Paese nella relazione tra alcuni tratti culturali e misure di capitale sociale (fiducia negli altri e civismo). Ovviamente i risultati di questo studio devono essere considerati solo come una prova preliminare. Non possediamo infatti misure per altri tratti culturali, come ad esempio la dimensione individualismo-collettivismo che Gorodnichenko e Roland (2011) suggeriscono essere ciò che conta davvero per la crescita a lungo termine. Questo problema di variabile omesse potrebbe essere meno grave nella misura in cui i tratti culturali che non osserviamo sono correlati al nostro insieme di variabili esplicative (ad esempio, la dimensione del collettivismo potrebbe essere associata a misure di rispetto della legge e dell’obbedienza). La ricerca futura dovrebbe concentrarsi su queste sfide.

Giuseppe AlbaneseBanca d’Italia – Nucleo per la ricerca economica, Catanzaro

Guido de Blasio, Banca d’Italia – Dipartimento di Economia e Statistica, Roma

 

 

Bibliografia

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Fernandez, R. (2008). Culture  and  Economics, in Durlauf S. N. and L. E. Blume (eds.). The  New  Palgrave  Dictionary  of  Economics.  Basingstoke and New York: Palgrave Macmillan.

Frederick, S., Loewenstein, G., O’Donoghue T. (2002). Time Discounting and Time Preference: A Critical Review. Journal of Economic Literature, 40(2): 351-401.

Gorodnichenko, Y., Roland G. (2011). Which Dimensions of Culture Matter for Long-Run Growth?. American Economic Review. Papers and Proceedings, 101(3): 492-498.

Guiso, L., Sapienza P., Zingales L. (2013). Time varying risk aversion. NBER Working Papers No. 19284.

Jianakoplos, N., Bernasek A. (1998). Are Women More Risk Averse?. Economic Inquiry,  36(4): 620-30.

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Schildberg-Hörisch, H. (2018). Are Risk Preferences Stable?. Journal of Economic Perspectives, 32 (2): 135-54.

 

 

Note

(i) Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori.

 

 

Tabelle

 

 

 

 

 

 

 

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