Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Reggio, Messina e l’ombra del Ponte: le twin cities dello Stretto e la sfida dell’integrazione

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di: Dario Musolino

EyesReg, Vol.8, N.4, Luglio 2018

 

 

 

Il Ponte sullo Stretto può aver avuto effetti rilevanti di natura economico-territoriale, pur non essendo “ancora” stato costruito? Un effetto, importante, non considerato, tra i tanti studiati e stimati, probabilmente l’ha già avuto. Il progetto del Ponte, con la sua (potenziale) rilevanza a scala nazionale e sovranazionale, ma soprattutto con la sua capacità di scatenare periodicamente un acceso dibattito pubblico intorno ad esso, ha avuto l’effetto di oscurare, di mettere in ombra una “esigenza economico-territoriale” non meno forte, ma evidentemente di più scarso appeal presso l’opinione pubblica nazionale: l’integrazione funzionale (trasportistica) delle due aree urbane dello Stretto, Reggio e Messina (Ziparo, 2016).

Due aree urbane che sommano oltre 400mila abitanti, potenzialmente la terza area urbana del Mezzogiorno, e che arrivano a oltre un milione e 200mila abitanti se si includono le rispettive province, rimangono ad oggi di fatto dis-integrate, divise, poichè innanzitutto prive di un adeguato sistema integrato (dal punto di vista modale, tariffario e degli orari) di collegamenti di trasporto, come qualche attento studio focalizzato sull’area e sulla problematica ha messo a suo tempo in evidenza (Delfino et al, 2011). Con tutta l’immaginabile assenza di possibili effetti virtuosi, banalmente legati per esempio alle economie di agglomerazione, che si sprigionerebbero nel momento cui due città della scala di Reggio e Messina diventano una unica area urbana di dimensione notevolmente più grande.

 

La letteratura sulle twin cities

Questa carenza di attenzione verso questo caso macroscopico di discontinuità territoriale, indirettamente determinata dalla primazia del tema Ponte, ha fatto sì che le analisi e gli studi, di vario approccio disciplinare, su questo caso di non integrazione tra due aree urbane geograficamente molto vicine, siano stati negli anni pochi, per quanto rilevanti (Bianchi and Vendittelli, 1982; Delfino et al, 2011; Fera e Ziparo, 2016; Gambi, 1965; Gambino and Limosani, 2013; Signorino, and Lanzafame, 2010). Essendo appunto il grosso dello sforzo di analisi della comunità scientifica diretto alla questione Ponte. E in particolare ha comportato il fatto che sia mancata la capacità di far rientrare il caso di Reggio e Messina in una casistica più ampia, ovvero che non ci sia stata la capacità di inserire questo caso nel quadro di una più ampia letteratura che aiutasse a leggerlo, interpretarlo. Una letteratura che desse quindi riferimenti, elementi, insegnamenti utili per “risolverlo”. Di fatto, lo si è quindi trattato e reso come un caso apparentemente anomalo: quindi, “inspiegabile”, “irrisolvibile”. Per cui, alla fin fine, “trascurabile”.

Una letteratura entro cui collocarlo, una casistica internazionale a cui assimilarlo, in realtà forse esiste: si tratta della letteratura sulle twin cities (Buursink, 1994; Decoville et al., 2015; Dołzbłasz, 2015; Ehlers, 2007; Gabrovec, 2013; Lipott, 2013; Meijers et al., 2014; Mikhailova, 2013; Joenniemi and Sergunin, 2011, 2013; Prokkola, 2007; Schultz, 2002, 2009; Tsavdaroglou, 2011). Letteratura di taglio prevalentemente politologico e sociologico, nata e sviluppatasi sulla scia di casi storici di città gemelle, come Minneapolis e Saint Paul negli Stati Uniti, o di tante città gemelle europee (Frankfurt Oder-Subice, Gorizia-Nova Gorica, Kirkenes-Nikel, Larissa-Volos, Mannheim-Ludwigshafen, Muggia-Milje, Newry-Dundalk, Rouses-Giurgiu, Tornio-Haparanda, Valenca-Tui, Valka-Valga, Oradea-Debrecen, ecc.). Tra cui si segnalano in particolare quelle sulla linea Ovest-Est, divise all’epoca della frattura geopolitica dell’Europa nel primo dopoguerra, e ritrovatesi nuovamente vicine con la caduta del Muro di Berlino, sebbene a quel punto molto diverse e per niente interconnesse, tanto da manifestare una forte domanda di integrazione territoriale (perché, come, in che modo le città gemelle si devono integrare?). Non mancano poi casi anche in altri continenti, come alcune città al confine russo-cinese (Blagovechchensk-Heihe).

Si tratta di una letteratura che poi si è intrecciata giocoforza con la letteratura sul policentrismo, di taglio territorialistico (Champion, 2001; Cowell, 2010; Metrex, 2010), che sostanzialmente vede le twin cities come delle configurazioni urbane policentriche basate su una traiettoria di sviluppo detta ‘fusion mode’, oltre che legarsi a temi fondamentali di economia urbana, come le economie di agglomerazione (Camagni, 1992; World Bank, 2008; Melo et al., 2009).

 

Le twin cities dello Stretto: benefici e peculiarità dell’integrazione

La letteratura sulle twin cities ci dà una serie di elementi utili e rilevanti per leggere e capire meglio il caso di Reggio e Messina (Musolino, 2018). Vediamoli, considerando anche le evidenze empiriche riguardanti l’area dello Stretto.

1. L’integrazione territoriale porta generalmente benefici economici ampi, estesi, diversificati, alle città gemelle. Per esempio allarga considerevolmente il mercato urbano di consumo, comportando prevedibili effetti di prezzo e di varietà, e accrescendo quindi il benessere della popolazione residente (e non). Oppure amplia il mercato urbano del lavoro, accrescendo le opportunità occupazionali, e il bacino di offerta del lavoro, a scala locale. O anche ha l’effetto di estendere il bacino di utenza per le utilities, per le grandi funzioni e i grandi servizi urbani, pubblici e privati, portando potenzialmente effetti positivi in termini di costi ed efficienza. O inoltre accresce l’attrattività delle due aree, sia per grandi investimenti, per esempio di natura commerciale, attratti anche dagli effetti virtuosi visti sopra; sia per flagship project (es grandi eventi sportivi o culturali, o investimenti infrastrutturali); sia per il turismo, essendo le stesse twin cities integrate fattore di attrattività turistica (Szekely, 2014), o aumentando la capacità di intercettare e trattenere meglio il movimento turistico in transito, e il turismo “mordi e fuggi”.

L’integrazione delle twin cities potenzialmente agisce quindi, virtuosamente, su un ampio spettro di attori e soggetti. La conoscenza, la consapevolezza dei benefici che possono derivare dall’integrazione territoriale è uno dei punti che apparentemente non è stato sufficientemente approfondito nel caso di Reggio e Messina, contribuendo a impedire la costruzione di quel “consenso” necessario per portare a compimento l’integrazione delle due città, e per superare antiche diffidenze, e durature inerzie.

2.L’integrazione generalmente riconsegna centralità, ad una scala territoriale più ampia, ad aree che fin lì, divise, erano periferiche e marginali nei rispettivi contesti nazionali o sub-nazionali . Reggio e Messina, come alcuni indicatori socio-economici non a caso affermano (Musolino, 2018), da alcuni decenni stanno progressivamente perdendo peso e rilevanza relativa non solo nel contesto nazionale, ma anche nel Mezzogiorno. Ovvero, stanno diventando sempre più marginali nella geografia economica del paese, seguendo quindi una traiettoria che li assimila al “percorso” storicamente seguito da tante twin cities. Una nuova centralità a scala macro-regionale, che una effettiva integrazione territoriale gli potrebbe dare, potrebbe contribuire forse ad arrestare, ed invertire il segno del loro declino relativo nel lungo periodo, sulla scorta anche qui di quanto osservato in tante twin cities (Dołzbłasz, 2015; Cappellin, 1993; Schultz, 2009).

3.Molti casi di integrazione di twin cities innanzitutto passano, necessariamente, per l’integrazione funzionale, ovvero trasportistica (Schultz, 2009). Da questa letteratura infatti l’integrazione trasportistica emerge quasi come una pre-condizione dell’integrazione piena delle twin cities, da realizzare ancor prima della integrazione istituzionale (1) e culturale (Meijers et al, 2014). Questa evidenza appare particolarmente rilevante nel caso di Reggio e Messina dove, seguendo il dibattito locale, l’impressione è che le priorità nell’individuazione degli ambiti in cui dare seguito l’integrazione non appaiono sempre chiare e coerenti.

Integrare le due aree urbane dello Stretto significa quindi concentrare innanzitutto gli sforzi sul potenziamento (capacità e frequenza) e sull’ integrazione (modale, tariffaria e degli orari) delle reti e dei servizi di trasporto marittimi e terrestri (Delfino et al, 2011), con particolare riferimento al trasporto passeggeri, ancorché procedere a una integrazione infrastrutturale (il Ponte evidentemente, non serve alla integrazione delle due aree urbane, fatto già chiaro ai tempi – 2001 – dello studio dell’ Advisor). E quindi significa agire solo dopo (o contemporaneamente, ma non prima) sulle altre dimensioni di integrazione (istituzionale, culturale, ecc.) che evidentemente realizzano, completano l’integrazione tra le due entità territoriali. Trascurare questa – naturale – scala di priorità, questo passaggio, non fa altro che depotenziare, vanificare, tutte le iniziative periodicamente messe in campo per condividere, collaborare, tra le due sponde dello Stretto, in ambito per esempio degli eventi culturali e della collaborazione tra istituzioni ed enti locali.

4.L’esistenza di complementarietà, settoriali e funzionali, è una questione fondamentale per accrescere gli effetti virtuosi dell’operazione di integrazione delle twin cities. Tanta più complementarietà esiste tra le twin cities, tanto più le due città si completano bene a vicenda, e traggono entrambe beneficio dall’integrazione (Cowell, 2010; Meijers et al, 2014; Metrex, 2010).

Le due aree urbane dello Stretto risultano sufficientemente complementari, come le recenti analisi hanno evidenziato (Musolino, 2018). Ancora più che essere complementari dal punto di vista della struttura economico-settoriale (2), è la complementarietà funzionale ad apparire più importante. Laddove su alcune grandi funzioni urbane (es. la sanità a Messina), su alcune grandi infrastrutture e servizi (es. Aeroporto), ciascuna delle due città presenta infatti un vantaggio, una marcata specializzazione rispetto all’altra. Tutto ciò, nonostante negli anni, in alcuni casi, le scelte strategiche a livello locale a regionale in materia di insediamento e potenziamento di grandi funzioni urbane (es. Università) sembrano essersi mosse in modo non coordinato, rischiando così di creare fenomeni, ridondanti, di duplicazione, e “cannibalizzazione” reciproca.

 

Conclusioni

Quattro punti che evidentemente supportano l’idea che Reggio e Messina hanno un forte bisogno di integrazione, sono “fatte per”, sono adatte all’integrazione, ma hanno anche bisogno di strategie coerenti di integrazione, slegate dal tema Ponte, e che auspicabilmente poggino su un vasto consenso intorno ad esse. Lo sforzo di natura politica, a livello centrale, regionale e locale, deve essere allora quello di focalizzare l’attenzione su questo tema, dando coerenza alla strategia per l’integrazione, individuando cioè priorità e ambiti utili, complementari, su cui spingere di più. Nonché, lo sforzo a livello di policy deve anche essere quello di creare una cornice e un luogo istituzionale, che non sia solo di natura consultiva, dove creare e far funzionare una cabina di regia per l’integrazione, creando le premesse per il governo di una bi-regional city.  Lo sforzo di natura scientifica, utile per il policy-maker, deve invece essere quello di apprendere ancora di più dalle esperienze dalle buone pratiche internazionali a riguardo, e di approfondire il tema degli effetti virtuosi, dei benefici della possibile esistenza di una unica città che unisca Reggio e Messina, al fine accrescere la mole di conoscenze utili a costruire quel consenso, presso gli “addetti ai lavori” e presso la popolazione, che ancora forse manca intorno a questo argomento.

 Dario Musolino, CERTeT-Bocconi e Università della Valle d’Aosta

 

 

Riferimenti bibliografici

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Note

(1) Il cui culmine, ideal-tipo, è evidentemente la creazione di una binational city (Ehlers, 2007).

(2) Si vedano analisi su opportuni indicatori come il complementarity ratio, sempre da Musolino (2018).

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