Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Il rafforzamento delle istituzioni europee e l’identità comune europea

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di: Riccardo Cappellin

EyesReg, Vol.8, N.6, Novembre 2018

 

 

Il concetto di identità, che è assente nell’economia “mainstream”, è stato illustrato da Akerlof (Akerlof e Kranton 2010) e dalle moderne teorie cognitive ed evolutive (Hayek 1952, Loasby 2003). Inoltre, in realtà, questo concetto fu anticipato con successo da Adam Smith nel suo saggio su “The Theory of Moral Sentiments” (1759).

Una prima concezione dell’identità ha una natura statica, individualistica e normativa e, secondo il Premio Nobel del 2001, George A. Akerlof (“Identity Economics”), l’identità può essere definita come auto-consapevolezza, creazione di norme e istituzioni, che regolano il proprio comportamento, al fine di aderire al senso di sé e di meritare la stima degli altri, e anche che regolano il comportamento di tutti gli altri soggetti, che riconoscono l’importanza di alcuni valori comuni. Quindi, l’identità individuale e la “coscienza di sé” hanno una dimensione collettiva.

Una seconda concezione dell’identità individuale e collettiva può essere quella, che corrisponde al concetto di “istituzioni” secondo il Premio Nobel del 1974 Hayek: “L’Ordine Sensoriale”, e ha un carattere dinamico, evolutivo, ecologico o cognitivo. In questa prospettiva, l’identità comune e il sentimento di appartenenza comune emergerebbe da un processo di apprendimento interattivo, in cui i vari individui interagiscono e sviluppano empatia reciproca, creano la prospettiva di un futuro comune, solidarietà e un cosiddetto “capitale sociale” e consolidano la fiducia reciproca. Pertanto, un’identità comune può portare alla creazione di “beni comuni”, alla definizione di norme comuni, alla creazione di istituzioni comuni e alla partecipazione a decisioni comuni.

In realtà, queste due diverse concezioni dell’identità possono essere collegate al concetto di “sentimento morale” di Adam Smith (1759), secondo cui gli esseri umani decidono il loro comportamento per meritare l’accettazione e l’approvazione degli altri, anche se ciò non corrisponde alla loro “utilità” individuale immediata.

Le due concezioni dell’identità sopra indicate sono collegate a due diverse concezioni dei confini geografici tra i diversi Paesi e Regioni. La concezione di un’identità individuale e collettiva di tipo statico (vedi Akerlof) caratterizza un approccio “conservatore”, che vede i confini come barriera di difesa da parte di una comunità chiusa in sè stessa e che cerca di proteggere le sue tradizioni e l’ordine esistente, separandosi dal resto del mondo. Quindi, secondo questa prospettiva localista (modello A) ci sono dei confini inviolabili, che definiscono lo spazio della “sovranità” delle norme e delle istituzioni locali (Cappellin, 2018).

All’opposto, il modello globalista (modello B) vorrebbe l’eliminazione dei confini e creare un “villaggio globale” in cui la distanza non è più importante. Questo modello si ispira al modello della libera concorrenza e indica che le singole imprese dovrebbero essere libere di aumentare o diminuire le proprie dimensioni, ad esempio attraverso fusioni e acquisizioni di altre società, o dovrebbero potersi trasferire in regioni lontane, anche rimuovendo le attrezzature esistenti nella regione o paese di origine. In altri termini, nel modello della competizione globale, i confini non sono fissi, ma potrebbero essere spostati in base alla forza relativa degli Stati, come accade per i “confini” tra le singole imprese, che possono incorporare o essere incorporate in altre società attraverso M & A.

In terzo luogo, il “modello dinamico” sopra indicato di identità individuale e collettiva, che è collegato all’approccio cognitivo-evolutivo, implica un processo di apprendimento interattivo che porta a una crescente conoscenza reciproca. In questo caso (modello C) i confini rappresentano aree di interfaccia per lo sviluppo di collaborazioni, finalizzate al raggiungimento di benefici futuri comuni, come nel caso dei molti programmi di integrazione interregionale e internazionale promossi dall’Unione Europea.

 

Figura 1 – Confini, regioni e tipi di relazione

 

Attualmente, l’Unione europea è sottoposta a tensioni enormi e ciò richiederebbe politiche comuni volte a rafforzare la sua identità comune. In effetti, l’identità europea riguarda il sentimento di appartenenza comune dei cittadini europei e la condivisione di valori sociali e culturali comuni, che rappresentano il presupposto per quelle istituzioni europee più forti, che sarebbero necessarie per intraprendere azioni congiunte per un valido futuro da parte dei vari Paesi. Solo con uno sforzo continuo e concertato a livello europeo per coinvolgere i cittadini nei vari Paesi e Regioni, i tratti positivi e preziosi dell’identità europea possono essere rinnovati e rafforzati in questa congiuntura critica.

Chiaramente, le identità locali non devono essere sostituite da un’identità nazionale, così come la nuova identità europea non deve sostituire l’identità nazionale, mentre deve essere compatibile con le varie identità regionali e nazionali, poiché l’identità europea è in effetti “aggiuntiva o complementare “alle identità regionali e nazionali e considera valori e obiettivi comuni su scala europea, senza rimuovere i valori locali e nazionali e le relazioni di fiducia esistenti a livello locale e nazionale. In effetti, la dimensione locale, la dimensione nazionale e la dimensione internazionale coesistono sempre e interagiscono tra di loro, sia nelle nostre menti individuali che nelle nostre reti sociali, sebbene il loro equilibrio relativo possa essere diverso da persona a persona, a causa del suo/a esperienza idiosincratica e tipo di educazione.

Lo sviluppo graduale di valori comuni a livello europeo o lo sviluppo dell’identità europea e del senso di appartenenza dipende dall’accessibilità, dalla ricettività e dall’attrattiva reciproca tra le diverse Regioni e i diversi Stati. Ciò dipende chiaramente dalla “distanza fisica, culturale e istituzionale” tra loro. Pertanto, la figura 1 può anche essere utile per illustrare tre modelli alternativi, verso i quali potrebbero evolvere l’identità comune europea e anche le istituzioni europee. Il caso (B) è il caso di una singola identità mondiale, come avviene nel “villaggio globale” o nella “rete del piccolo mondo” o come indicato dal “pensiero unico” neoliberale e globalista (“consenso di Washington”), basato su parametri standard uguali per tutti, sulla competizione del mercato individuale e sullo sfruttamento delle economie di scala. In questo caso, ogni azienda o Stato mirerebbe a un’espansione mondiale senza considerare confini predefiniti e tramite l’invasione di altri mercati lontani (come di fatto fanno aziende come Coca Cola, Facebook e Amazon) o tramite la crescita per fusioni e acquisizioni che incorporano varie imprese concorrenti. In effetti, questo tipo di identità europea sembra corrispondere al modello dell’ “Europa come Stato federale”, in cui ogni confine interno che ostacola i flussi e l’integrazione del mercato deve essere rimosso. In questa prospettiva si può anche argomentare che il mercato comune europeo dovrebbe gradualmente estendersi e dissolversi in un mercato globale più ampio, in cui le aziende siano libere di operare senza vincoli o impegni nazionali e regionali.

Il secondo caso (A) è quello di un’identità collettiva rinchiusa in un piccolo paese (“Heimat”), che cerca di difendersi dall’economia globale ed è ostile alle relazioni internazionali, come nel modello del localismo, del patriottismo e del separatismo. Questo modello è diverso dal nazionalismo aggressivo e più simile all’isolazionismo (simile ai casi attuali di “America First ” e di “Brexit”), dal momento che il modello del nazionalismo sembra più simile al modello precedente (B). Pertanto, nel caso (A), l’identità e le istituzioni europee sembrano corrispondere al modello dell’ “Europa come confederazione di Stati”, in cui i confini nazionali devono essere rispettati e protetti e l’Unione europea potrebbe avere poteri solo in limitati domini “addizionali” e complementari rispetto ai domini interni nazionali e regionali, per esempio, tramite un’alleanza militare contro minacce esterne.

Infine, il terzo modello (C) illustra il caso di un’identità “specifica” o anche “specializzata / complementare” da parte di ogni paese e regione all’interno dell’Unione europea, come nel modello “glocale” o nel caso dei distretti industriali italiani, che sono fortemente specializzati ed esportano in tutto il mondo. In questo caso, l’identità nazionale e regionale e l’identità comune europea si baserebbero sulla consapevolezza dei cittadini della specificità del proprio territorio, sul riconoscimento da parte delle varie istituzioni regionali e nazionali della necessità di sperimentazioni, di imprenditorialità, di competizione attraverso l’innovazione, di complementarità e di relazioni di rete e di collaborazioni con le altre regioni e paesi europei. Questo tipo di identità europea sembra corrispondere al modello dell’ “Europa dei popoli” e anche dell’ “Europa delle Regioni”, in cui i confini o la contiguità sono considerati un’opportunità. Un’identità comune richiede quindi il riconoscimento di norme comuni e l’esistenza di un sentimento di appartenenza comune: questo implica la condivisione di valori, tradizioni, territorio, ricordi e storia comuni.

I recenti sviluppi negli studi sull’economia regionale e industriale hanno stabilito uno stretto legame tra istituzioni e innovazione, come indicato dalle teorie dei cluster territoriali e dalle teorie sui processi interattivi di apprendimento, che portano alla creazione della conoscenza e della innovazione. Questo filone di letteratura, basato sull’approccio “evolutivo” e sugli studi correlati delle economie regionali e locali in Europa è illustrato nelle pubblicazioni del Gruppo di discussione “Crescita, Investimenti e Territorio” (Cappellin et al., 2017) e sottolinea che le istituzioni e le norme giocano un ruolo cruciale nel rafforzamento dell’identità collettiva e del sentimento di appartenenza alla comunità locale, promuovendo processi collaborativi tra gli attori locali, come indicato dai concetti di “capitale sociale”, di “istituzioni intermedie” e di “nuove politiche industriali e regionali”.

In conclusione, secondo una prospettiva teorica, il concetto di identità e il sentimento di appartenenza collettiva sono strettamente collegati al concetto di istituzioni. Di fatto, un’identità comune implica valori comuni o una sensibilità comune e la creazione di una “volontà politica” e di una decisione collettiva per affrontare problemi comuni e definire obiettivi comuni. Pertanto, l’identità comune è il prerequisito per la creazione di istituzioni pubbliche comuni, come è avvenuto nel caso delle guerre di indipendenza negli Stati Uniti, in Europa e nei Paesi del Terzo mondo o nel caso di movimenti separatisti regionali, che hanno portato secondo un processo “bottom-up” alla creazione di nuovi Stati. Tuttavia, le istituzioni e le finanze pubbliche hanno anche una funzione “politico-culturale” e dovrebbero promuovere il senso di appartenenza e solidarietà tra i cittadini e non hanno solo una funzione economica, come promuovere la crescita economica.

In questa prospettiva è opportuno che le politiche economiche europee siano rivolte non alla continua crescita delle esportazioni europee ma a promuovere la crescita della domanda e del mercato interni e quindi l’offerta di quei “beni comuni europei” che rispondono ai bisogni emergenti dei cittadini europei e che possano rafforzare la fiducia degli stessi nelle istituzioni europee (Cappellin, Ciciotti, Marelli e Pilotti 2018). I paesi europei sono divisi da sfiducia reciproca e contrasti politici e solo un’identità comune europea più forte può rafforzare la fiducia nelle istituzioni europee da parte dei cittadini europei. Questo è un prerequisito per il consenso su obiettivi politici comuni specifici e per un aumento del bilancio europeo comune a lungo termine. Senza una comune identità europea non è possibile definire quelle nuove politiche comuni che l’Europa dovrebbe adottare per un futuro comune.

Riccardo CappellinUniversità di Roma “Tor Vergata”

 

 

Riferimenti bibliografici

Akerlof, G. and Kranton, R. (2010), Identity economics, Princeton University Press.

Cappellin, R. (2018), Europe between globalization and fragmentation: the role of the European common identity, paper presented at the Congress of the AISRe, Bolzano, 17-19 September 2018, https://uniroma2.academia.edu/RiccardoCappellin.

Cappellin, Ciciotti E., Marelli E, L. Pilotti (2018), Investment in Europe could grow by 512 billion without compromising financial stability: a strengthening of the common European identity is necessary for a radical change in European economic policies, Key4biz, 17 November. https://www.key4biz.it/investment-in-europe-could-grow-by-512-billions-without-compromising-financial-stability/235764/

Gruppo di Discussione “Crescita Investimenti e Territorio” (2017), The role of investment and innovation in a program of economic recovery in the EU and in Italy, in Cappellin R., Baravelli M., Bellandi M., Camagni R., Capasso S., Ciciotti E., Marelli E. (2017), a cura di, Investimenti, innovazione e nuove strategie di impresa: quale ruolo per la nuova politica industriale e regionale ? Milan: Egea, http://economia.uniroma2.it/dmd/crescita-investimenti-e-territorio/.

Hayek, F. A. (1952), The Sensory Order: An Inquiry into the Foundations of Theoretical Psychology, University of Chicago Press.

Loasby, B. J. (2003). Organisation and the human mind. Department of Economics, University of Stirling, Scotland.

Smith, A. (1759), “The Theory of Moral Sentiments”.

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