Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Valorizzazione immobiliare e complessità normativa: una questione irrisolta

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di: Beatrice Maria Bellè

EyesReg, Vol.7, N.3, Maggio 2017

 

Negli ultimi venticinque anni in Italia si è assistito ad un crescente interesse per la valorizzazione di beni immobili pubblici e le possibili modalità di gestione e riutilizzo, soprattutto in ragione del fatto che molti di essi si trovano in condizioni di abbandono e degrado. Questa particolare attenzione è da correlarsi in particolare alla volontà, da parte dello Stato e degli enti territoriali, di trovare una soluzione che fosse in grado di favorire il riuso e la “messa a mercato” di questi beni e che, allo stesso tempo, fosse capace di incoraggiare e facilitare lo sviluppo locale e territoriale.
In questa direzione, a partire dagli anni ’90, diverse normative sono state emanate per risolvere i problemi che presenta questo patrimonio immobiliare in quanto, oltre ad influire in maniera negativa sulla qualità urbana per le sue gravi condizioni, la sua situazione incide anche sull’aspetto economico degli enti locali, costretti a sostenere costi di manutenzione e di gestione.
Ciò che questo contributo vuole presentare sono le questioni normative che, negli ultimi venticinque anni, sembrano essere ancora irrisolte e che hanno portato ad avere un quadro istituzionale di riferimento incerto e, per molti aspetti, ambiguo. I fattori che hanno contribuito a rendere la questione complessa e dibattuta sono principalmente due: da una parte, la sovrapproduzione normativa e la mancanza di una visione univoca legata alla valorizzazione; dall’altra, la discordanza fra teorie, norme e pratica.

Limiti e insuccessi normativi
Per quanto riguarda la questione della sovrapproduzione normativa, il problema è legato soprattutto alla continua approvazione di leggi in materia di valorizzazione, tese a definire modalità e strumenti attraverso i quali questi processi possano attuarsi. In questo modo, il quadro istituzionale, ad oggi, continua ad aggiornarsi e a complicarsi allo stesso tempo, poiché le strategie d’azione vengono semplicemente aggiunte ad altre già esistenti.
Dai primi anni ’90 le normative in materia di valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare pubblico sono state diverse e, spesso, hanno introdotto nuove metodologie in relazione a procedure e strumenti. Con la presentazione della Legge Finanziaria per il 1990 (legge 407/1989) e con il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria per gli anni 1991-1993 (DPEF, maggio 1990), per la prima volta, è prevista una privatizzazione immobiliare in grado di contribuire a risanare il debito pubblico, attraverso una revisione delle procedure di gestione del patrimonio immobiliare dello Stato: con questo processo, quindi, la valorizzazione – non ancora definita in questi termini – pone come obiettivo principale l’appianamento del debito pubblico. Negli anni successivi, la questione delle casse statali si fa sempre più urgente e con l’introduzione dell’alienazione (legge 35/1992) e le dismissioni di immobili pubblici, soprattutto per beni di proprietà del Ministero della Difesa, si cerca di mettere in vendita grandi quantità di immobili, così da contribuire in maniera rilevante alla diminuzione del debito.
Proprio per questo, nel corso degli anni seguenti, si è assistito a un importante processo di vendita e di dismissione di immobili appartenenti ad Enti Previdenziali, Stato ed enti territoriali: ciò, comunque, non ha contribuito, se non in maniera esigua, ad estinguere il debito pubblico (Cottarelli, 2015).
Nel 2001, il decreto legislativo 351 ha proposto grandi innovazioni per quanto riguarda la gestione e la valorizzazione degli immobili pubblici, introducendo le cartolarizzazioni (SCIP 1 e SCIP 2), un metodo utilizzato soprattutto in campo finanziario che permette la vendita dell’immobile attraverso titoli bancari e la loro successiva immissione sul mercato, che hanno suscitato qualche perplessità soprattutto in riferimento alle entrate effettive.
Come è possibile evidenziare, tutte queste normative sono accomunate da una visione economicistica che prevede che la valorizzazione sia un processo attraverso il quale gli immobili acquisiscono valore economico e contribuiscono al mantenimento delle casse statali (Micelli, 2014).
Parallela a questa prima corrente di pensiero, a partire dal 2004, se ne affianca un’altra completamente diversa per obiettivi, strumenti e modalità di azione: la tutela del patrimonio immobiliare pubblico. Con l’introduzione del Codice dei Beni Culturali (legge 24/2004), infatti, gli immobili pubblici, dopo aver passato quasi dieci anni fra alienazioni, privatizzazioni e cartolarizzazioni, poco indirizzate ad una visione culturale del bene stesso, si trovano al centro di un interesse diverso, legato soprattutto a logiche di valorizzazione culturale. In questo modo, gli immobili che vengono catalogati come beni culturali hanno la possibilità di essere restaurati e valorizzati, pur mantenendo le loro caratteristiche peculiari. Purtroppo, però, questi beni tanto idealizzati si trovano di fronte a due questioni molto importanti: la riduzione dei finanziamenti, da una parte, e la presunzione che litterae non dant panem (Bray, 2013). Per questo motivo, nonostante la presenza del Codice dei Beni Culturali, che si occupa di predisporre strumenti per la salvaguardia e difesa del patrimonio, nello stesso anno il Ministero dell’Economia e delle Finanze istituisce un fondo immobiliare denominato FIP (Fondo Immobiliare Pubblico), con il compito di ottenere liquidità da una lista di beni selezionati accuratamente.
Anni più tardi, nel dicembre del 2006, una nuova svolta ai processi di valorizzazione è introdotta dalla Legge Finanziaria per il 2007 (D.lgs 296/2006): essa propone, infatti, due strumenti interessanti come la concessione per lunghi periodi (dai 50 ai 99 anni) e i PUV (Programmi Unitari di Valorizzazione), “iniziative urbane che si riferiscono ad insiemi di beni e sistemi urbani, subregionali e regionali molto diversificati, che ambiscono ad indurre trasformazioni e impatti differenziati” (Ponzini, 2013). Sebbene l’introduzione di strumenti innovativi abbia portato ad alcune novità dal punto di vista procedurale, queste politiche rimangono comunque legate a modelli economici del passato; per questo motivo, la convinzione del soggetto pubblico di poter semplicemente riadattare strumenti e modalità di gestione ha permesso che questi ultimi fossero condannati dal principio all’insuccesso: essi, infatti, nonostante grandi ambizioni, sembrano non essersi mai avviati (per esempio “Valore Paese-Dimore”, un progetto promosso da Agenzia del Demanio). Pochi anni dopo, infatti, per far fronte alla crisi economica, lo Stato introduce una normativa (D.lgs 112/2008) che propone alcune manovre necessarie per risolvere i problemi economico-finanziari di quel periodo: tra questi provvedimenti, il Piano delle Alienazioni per “immobili suscettibili di valorizzazione ovvero dismissione” (art.58) risulta essere un’operazione importante a livello territoriale.
Dopo numerosi tentativi di valorizzazione immobiliare condizionati da logiche economiche, negli anni recenti sembra esserci un reale spostamento verso pratiche più attente a questioni locali: il Regolamento dei Beni Comuni, infatti, è uno degli strumenti che, dal 2014, promuove la cittadinanza attiva per la cura e la tutela dei beni comuni attraverso l’avvio di processi e progetti social-driven. Ciò è stato possibile soprattutto perché i recenti cambiamenti socio-economici hanno messo in luce le mancanze e i difetti delle normative italiane: l’alienazione, per esempio, sembra non trovare più spazio in una situazione di mercato immobiliare saturo. Ciò è dovuto anche ad una mancanza di attenzione da parte del soggetto pubblico che non è riuscito a sostenere il cambiamento, promuovendo continuamente strategie e politiche legate all’offerta (Micelli, Mangialardo, 2016).

Riflessioni e future prospettive
Il quadro normativo presentato fa emergere alcune questioni importanti che riguardano il soggetto pubblico e le aspettative legate alla valorizzazione del proprio patrimonio. Questo breve excursus presenta diversi fattori che, in modi differenti, lasciano intendere come la complessità normativa non sia soltanto connessa alla sovrapproduzione.
Per cominciare, le politiche messe in atto a partire degli anni ’90 e trascinate fino ai giorni nostri, probabilmente avevano le loro ragioni d’essere negli anni in cui sono state concepite: riproporle continuamente in diversi periodi storici ha influito in maniera negativa sulle possibilità di presentare progetti e processi innovativi di valorizzazione. Allo stesso tempo, politiche incentrate sull’offerta con matrice economico-finanziaria e legate a modelli passati sono irrimediabilmente destinate all’insuccesso, come è emerso negli ultimi anni.
In secondo luogo, le politiche che si sono inserite nel contesto normativo come innovative (Legge Finanziaria per il 2007) nella realtà non hanno prodotto se non confusione e contraddizioni all’interno di un sistema legislativo già abbastanza complicato; ma, soprattutto, non hanno saputo rispondere ai cambiamenti strutturali politici, economici e sociali già in corso. In relazione a questo, infatti, i nuovi strumenti nei fatti, non hanno mai trovato lo spazio necessario per concretizzarsi, tanto che, solo un anno dopo, l’emergenza crisi ha messo in discussione concessioni e PUV, per lasciare spazio all’alienazione, ormai arrivata al limite del suo corso, dati i numerosi compendi ancora invenduti (Fabrizi et al., 2015).
Infine, l’avvento della crisi economica ha reso evidente che questi modelli di valorizzazione, già strutturalmente inconcludenti, non sembrano più possibili, non tanto in ragione del fallimento dei tentativi precedenti, quanto per un cambiamento organico del mercato, delle pratiche e della società: l’evidente shift da una forma di valorizzazione istituzionale e regolativa top-down ad una valorizzazione locale, informale bottom-up con pratiche e attività spontanee, ha del tutto rivoluzionato i preconcetti legati alla valorizzazione politica.
In questo senso, quindi, la complessità normativa nella valorizzazione dei beni immobili pubblici non risponde solo ad una questione quantitativa, ma evidenzia anche un problema qualitativo sulle modalità e gli effetti urbani di questi processi che, se historia magistra vitae, devono essere ripensati secondo logiche differenti da quelle utilizzate fino a questo momento.

Beatrice Maria Bellè, DAStU – Politecnico di Milano

 

Bibliografia

Bray M. (2013), “I beni culturali come beni comuni”, L’indice, n. 10.
Cottarelli C. (2015), La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Feltrinelli, Milano, 2015.
Fabrizi C., Pico R., Casolaro L., Graziano M., Manzoli E., Soncin S., Espo¬sito E., Saporito G., Sodano T., a cura di, (2015), «Mercato immobiliare, imprese della filiera e credito: una valutazione degli effetti della lunga recessione». Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, 263: 1-57.
Micelli E. (2014), “L’eccezione e la regola. Le forme della riqualificazione della città esistente tra demolizione e ricostruzione e interventi di riuso”, Valori e Valutazioni, 12, pp. 11-20.
Micelli E. , Mangialardo A. (2016), “Riuso urbano e immobili pubblici: la valorizzazione del patrimonio bottom up”, Territorio 79/2016, pp. 109 – 117.
Ponzini D. (2013), “Valorizzazione di immobili pubblici di interesse culturale in Italia: temi critici”, Tutela, gestione e valorizzazione dei beni immobili pubblici, Planum n.27, vol II.

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