Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Fu vera convergenza? Le politiche di coesione e le periferie dell’Unione

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di: Carmelo Petraglia, Eleonora Pierucci

EyesReg, Vol.6, N.1, Gennaio 2016

 

La posizione ufficiale della Commissione Europea sui risultati attesi dalle Politiche di Coesione per il 2014-2020 è di fiducioso ottimismo: una fiducia fondata sulla conclusione che le politiche, nei due periodi precedenti di programmazione, avrebbero favorito un virtuoso processo di convergenza regionale, arrestatosi solo a causa della crisi. A questa visione possono essere mosse due osservazioni critiche tra loro strettamente connesse. La prima: il processo di convergenza regionale, in realtà, ha interessato quasi esclusivamente le regioni dei nuovi Stati membri dell’Est mentre le regioni del Sud Europa – e in particolar modo il Mezzogiorno d’Italia – ne sono rimaste escluse. La seconda obiezione tocca il tema, poco indagato, della relazione tra Politiche di Coesione e politiche macroeconomiche «ordinarie» dell’Ue (SVIMEZ 2014, 2015). È riduttiva la lettura che individua nell’uso inefficiente delle risorse comunitarie la causa principale della mancata crescita delle regioni svantaggiate dell’Europa mediterranea e in primo luogo del Sud Italia. Sono innanzitutto gli squilibri competitivi creati dalla mancanza di armonizzazione dei sistemi fiscali e, in alcuni casi, da regimi valutari differenziati, ad avvantaggiare le economie dell’Est. Il Mezzogiorno, poi, soffre dell’assenza ormai cronica di una politica regionale «nazionale» (Petraglia, Scalera, 2012; Giannola, Petraglia, 2015).

In definitiva, le Politiche di Coesione, anziché perseguire l’obiettivo di sanare gli squilibri tra centro e periferia dell’Unione, producono l’effetto perverso di inasprire gli squilibri interni alla periferia, sostenendo il processo di convergenza solo di una parte di essa.

 

La convergenza non è uguale per tutti

Finché la crisi iniziata nel 2007 negli USA non ha investito anche l’Europa, i divari regionali nell’Ue si sono ridotti, per poi aumentare a causa della maggiore intensità della prolungata recessione nelle regioni deboli (Commissione Europea, 2014). A sostegno di questa tesi, la Commissione riporta gli andamenti descritti nella Figura 1: fino al 2007, il coefficiente di variazione del tasso di disoccupazione e del tasso di occupazione si è ridotto per poi aumentare. La stessa dinamica ha caratterizzato il PIL pro capite: il coefficiente di variazione è calato fino al 2009 per poi stabilizzarsi.

 

Figura 1: Andamento dei divari nell’Ue-27, regioni NUTS 2 (2000–2013)

Figura 1

Fonte: Commissione Europea (2014) su dati Eurostat. Nota: Una riduzione (aumento) del coefficiente di variazione (o deviazione standard relativa) indica una riduzione (o aumento) dei divari regionali

 

Tuttavia, nell’area della convergenza si sono registrate dinamiche molto differenziate tra regioni dei membri storici dell’Unione e quelle dei nuovi Paesi Ue entrati dopo il 2004. Le regioni della convergenza dell’Est crescevano più delle regioni svantaggiate dell’Ue-15 già prima del 2008 e hanno continuato a crescere anche negli anni della crisi, sia pure a ritmi più contenuti, mentre le regioni svantaggiate dei membri storici dell’Unione subivano pesanti contrazioni dell’attività economica e dei livelli occupazionali (Tabella 1).

 

Tabella 1. Tassi di crescita del PIL in PPA

(Regioni convergenza; 2001-2013; valori cumulati)

Tab 1Fonte: SVIMEZ (2015) su dati Eurostat

 

In presenza di andamenti interni alla periferia così differenziati, le analisi troppo «aggregate» forniscono un quadro distorto della dinamica della convergenza regionale nell’Ue. Lo dimostra un semplice esercizio. Nei tre grafici della Figura 2, le linee rosse rappresentano l’andamento del coefficiente di variazione dei tre indicatori escludendo le regioni dei nuovi Stati membri, nel tentativo di mettere in evidenza se e quanto le regioni della «vecchia» Europa siano state interessate dalla convergenza. Le linee di colore diverso replicano, per i tre indicatori, l’informazione contenuta nella Figura 1. Nel caso del PIL pro capite, la convergenza scompare. In termini di tasso di occupazione, la tendenza al contenimento (allargamento) dei divari prima (dopo) la crisi non cambia, ma il loro livello è maggiore per le sole regioni Ue-15. La disoccupazione ha un andamento analogo dal 2004-2005 dopo l’allargamento ad Est.

Le migliori performance delle regioni dell’Est si sono tradotte in un accentuato processo di convergenza all’interno della periferia. Un trend che ha interessato anche il mercato del lavoro fino al 2010, con una inversione di tendenza negli anni seguenti (Figura 3).

 

Figura 2: Andamento dei divari nell’Ue-27, totale regioni NUTS2 e NUTS2 Ue-15 (2000–2013)

Figura 2Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

 

Figura 3: La convergenza interna alla periferia dell’Ue

Figura 3Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

 

Politiche di Coesione e politiche macroeconomiche ordinarie

L’evidenza rappresentata nelle Figure 2 e 3 solleva pressanti dubbi sulla reale capacità dell’impianto corrente delle Politiche di Coesione di garantire pari opportunità di attivazione di virtuosi processi di crescita a tutte le regioni della convergenza dell’Unione. Le politiche regionali europee ambiscono ad incentivare una «sana» competizione tra territori, ma il necessario presupposto dell’uguaglianza delle condizioni di partenza non è soddisfatto. Le asimmetrie nei regimi fiscali, nel costo del lavoro, nei sistemi giuridici e in molti altri fattori determinano importanti differenziali di competitività regionale. Ad avvantaggiarsene sono le economie dei nuovi Stati membri, mentre le regioni dell’area mediterranea, soprattutto il Sud Italia, soffrono di una condizione di «svantaggio strutturale» (SVIMEZ 2014, 2015). A ciò si aggiungano il vantaggio che molte economie dell’Est traggono dalla prossimità geografica ai grandi mercati europei, e quello che deriva ad alcune di esse dall’aver conservato la propria sovranità monetaria.

L’assenza di una politica fiscale europea pregiudica il dispiegarsi di effetti omogenei delle Politiche di Coesione nella periferia dell’Ue. Le regioni periferiche vittime del dumping fiscale ne risultano danneggiate per un duplice motivo: i) diventano meno attrattive per le attività produttive che tendono a localizzarsi nei paesi con regimi fiscali più vantaggiosi; ii) subiscono gli effetti recessivi di politiche fiscali nazionali che, per far fronte al calo delle entrate fiscali che ne consegue, tagliano la spesa per lo sviluppo (Giannola et al., 2015).

Intervenendo in questo quadro, le Politiche di Coesione amplificano le differenze interne alla periferia prevedendo una distribuzione dei fondi strutturali sbilanciata a favore delle regioni convergenza dell’Est già avvantaggiate sul piano delle politiche ordinarie (nel periodo 2014-2020, ad esempio, la sola Polonia riceverà oltre il 20% delle risorse comunitarie).

Sempre in tema di risorse disponibili per le politiche di sviluppo è fondamentale rimarcare la peculiare situazione del Mezzogiorno rispetto alle regioni dell’Est. Per le regioni meridionali è sicuramente prioritario assicurare maggiori livelli di efficienza nell’uso delle risorse comunitarie, ma non bisogna dimenticare che queste sono solo una parte delle risorse con le quali si finanziano le politiche della convergenza. Nelle economie dell’Est le politiche regionali di sviluppo vengono finanziate quasi per intero dai fondi comunitari. Nel caso italiano, invece, in base al principio di addizionalità, lo Stato è chiamato ad assicurare uno sforzo finanziario nazionale garantendo un ammontare di risorse pressoché pari di cofinanziamento nazionale, e ulteriori risorse a valere sul cosiddetto Fondo di Coesione e Sviluppo. Tuttavia, una politica regionale nazionale è assente nel nostro Paese ormai da anni (Petraglia, Scalera, 2012; Giannola, Petraglia, 2015).

Nonostante esistano diversi indizi del conflitto esistente tra il quadro corrente delle politiche macroeconomiche dell’Ue e le sue Politiche di Coesione, una discussione sul tema pare fuori dall’agenda delle Istituzioni europee (SVIMEZ 2014, 2015).

 

Un ottimismo infondato

In conclusione, la visione ottimistica della Commissione non appare fondata perché si basa su una visione «aggregata» distorta ab origine. Le analisi aggregate della periferia ne nascondono gli squilibri interni causati dal ritardo dell’Unione nell’adozione di una «politica fiscale europea» capace di produrre effetti comparabili ad altre federazioni (Furceri, Zdzienicka, 2015).

Il dibattito sull’efficacia delle Politiche di Coesione si concentra sull’uso efficiente delle risorse europee. È una condizione necessaria ma non sufficiente. Alle Politiche di Coesione si attribuisce la funzione di attivare una redistribuzione di lungo periodo tra centro e periferia che, negli anni di crisi, si traduce nella sua versione di breve periodo di stabilizzazione del reddito. Tuttavia, le Politiche di Coesione dell’Ue non sono in grado di svolgere nessuna delle due funzioni per la sua periferia in «aggregato». Al contrario, producono effetti perversi, esacerbandone gli squilibri interni.

I temi dell’unione fiscale e politica sono centrali nel dibattito accademico (si vedano, tra gli altri, De Grauwe, Ji, 2015; Furceri, Zdzienicka, 2015; Campos et al., 2015), ma faticano ad entrare nell’agenda dell’Unione per gli evidenti contrasti tra i diversi interessi nazionali. In assenza di questi segnali, nel caso peculiare del Sud, come compensare, almeno parzialmente, le nostre regioni della convergenza degli effetti perversi di cui si è detto? Da un lato bisognerebbe recuperare tutti i possibili spazi di intervento nella politica economica ordinaria per attuare misure di fiscalità di vantaggio mirate territorialmente. Dall’altro le politiche di sviluppo regionale dovrebbero recuperare l’impronta unitaria dell’intervento: la politica regionale nazionale dovrebbe tornare a svolgere un ruolo di indirizzo e di accompagnamento finanziario alla politica comunitaria di coesione.

Carmelo Petraglia, Università della Basilicata

Eleonora Pierucci, Università della Basilicata

 

Riferimenti bibliografici

Campos Nauro F., Coricelli F., Moretti L. (2015), Norwegian Rhapsody? The Political Economy Benefits of Regional Integration, C.E.P.R. Discussion Paper No. 10653.

Commissione Europea (2014), Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale, Bruxelles.

De Grauwe P., Ji Y. (2015), The Fragility of Two Monetary Regimes: The European Monetary System and the Eurozone, International Journal of Finance & Economics, 20, 1, pp. 1–15.

Giannola A., Petraglia C. (2015), Mezzogiorno (e Italia): Sud d’Europa, in Di Maio A. e U. Marani (a cura di), Convenzione, retorica e riti dell’economia. Una guida ai luoghi comuni, pp. 211–229, L’Asino d’Oro.

Giannola A., Padovano R., Petraglia C. (2015), Spending review e divari regionali in Italia, Economia Pubblica The Italian Journal of Public Economics, n.1, pp. 129–155.

Furceri D., Zdzienicka A. (2015), The Euro Area Crisis: Need for a Supranational Fiscal Risk Sharing Mechanism?, Open Economies Review, 26, 4, pp. 683–710.

Petraglia C., Scalera D. (2012), Le politiche per il Mezzogiorno negli anni della crisi (2007–2012), Rivista Economica del Mezzogiorno, 26, 4, pp. 1023–1048.

SVIMEZ (2014), Le politiche dell’Unione Europea tra austerità e crescita, in Rapporto 2014 sull’Economia del Mezzogiorno, pp. 333–350, Il Mulino.

SVIMEZ (2015), Le politiche dell’Unione europea a un bivio, in Rapporto 2015 sull’Economia del Mezzogiorno, pp. 337–362, Il Mulino.

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