Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Capitale umano, università e sviluppo regionale (5)

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Questo articolo è tratto dall’ intervento dell’autore alla sessione plenaria dei Rettori delle Università meridionali “Capitale umano, sistema universitario e sviluppo regionale”, tenutasi il 14 Settembre 2015 a Rende (CS), in occasione dell’ultima Conferenza Scientifica dell’AISRe. Considerata la rilevanza e l’attualità degli argomenti trattati, la Redazione ha ritenuto utile pubblicarlo e condividerlo con i lettori di EyesReg.

 

di: Gino Mirocle Crisci

EyesReg, Vol.6, N.3, Maggio 2016

 

Parlare del rapporto esistente tra capitale umano, università e sviluppo regionale significa affrontare un argomento estremamente complesso per le numerose implicazioni che porta con sé. Una preliminare riflessione riguarda il mancato investimento sul capitale umano che nel nostro Paese perdura oramai da molto tempo, senza una plausibile spiegazione. Al contrario, in altri Paesi europei, ma anche in quelli extra europei in fase di rapido sviluppo industriale, sono destinati considerevoli investimenti per il potenziamento di questo importante fattore perché ritenuto basilare per ogni crescita economica e sociale. A dimostrare questa grave carenza la scarsa considerazione e la disattenzione che, da parecchi anni a questa parte, il sistema universitario italiano sta ricevendo.

La recente, eppure intensa, storia dell’Università della Calabria fornisce un buon esempio su come l’interesse per il capitale umano abbia inciso nello sviluppo economico regionale. Lo Stato 48 anni fa, con la legge 442 che istituiva “l’Università Statale della Calabria”, operò una scelta estremamente lungimirante. Volgendo lo sguardo verso lo sviluppo dell’Italia e, più in particolare, mettendo in atto provvedimenti per la crescita del meridione, diede il via alla costruzione del primo ateneo, a carattere residenziale, “nato per formare una classe dirigente nuova e dinamica”, in grado di porre le basi per la crescita economica e industriale del territorio.

Per spiegare quali motivi portarono alla decisione di istituire l’Università della Calabria, utilizzo una similitudine geologica, vista la mia formazione, che illustri cos’era la Calabria prima che nascesse l’ateneo: un deserto, ovvero una regione che, in termini di capitale umano, era totalmente priva di suolo. Era roccia nuda e sulla roccia nuda non cresce assolutamente nulla. Si rese necessario, quindi, creare l’humus, il suolo. Il concetto fu compreso e la risposta fu l’istituzione dell’università che nacque con una spiccata vocazione tecnologico-scientifica.

Le prime due facoltà più grandi di questa università sono state quelle di Ingegneria e di Scienze matematiche, fisiche e naturali che hanno coinvolto fino al 2012 complessivamente ben 450 docenti.

Seguivano poi, a completamento dell’offerta formativa per la componente umanistica, la facoltà di Scienze Economiche e Sociali e la facoltà di Lettere e Filosofia.

In questa impresa furono coinvolte importanti personalità, tra cui quella di Beniamino Andreatta al quale è dedicata la nostra aula magna, che volle una università in grado di far partire l’economia regionale, ad alto contenuto scientifico e con specifica peculiarità residenziale sul modello dei campus inglesi e americani.

L’istituzione dell’Università della Calabria ha prodotto un risultato eccezionale: ha creato un ottimo humus. Una attuale indagine all’interno della regione mostra nei fatti un’ampia diffusione di nostri laureati esperti in tecnologia, attestando il pieno raggiungimento dell’obiettivo. Ne consegue che la visione di allora, fondata sulla diretta connessione fra capitale umano, università e sviluppo regionale, ha portato risultati chiaramente visibili e apprezzabili.

A questo punto è importante interrogarsi sui motivi che impediscono all’economia regionale di svilupparsi, nonostante la presenza di un ottimo capitale umano su cui poter fare leva.

Per tornare ad una similitudine in campo geologico, si può utilizzare l’esempio di come si forma un minerale.

È molto semplice, basta fare un piccolo esperimento: si deve riempire una vasca di acqua e aggiungere del sale da cucina che inizia a sciogliersi finché arriva a saturazione. Se quella vasca viene lasciata senza altri interventi, anche se la soluzione è satura, si ottiene una semplice fanghiglia. Per formare il cristallo c’è bisogno di introdurre il germe cristallino che darà il via alla formazione del minerale.

Ciò che manca allo sviluppo della Calabria, quindi, è il germe cristallino e non il suolo che, invece, è già stato creato ed è anche molto fertile. Le università svolgono un ruolo fondamentale, creano il suolo e lo rendono fertile, ma da sole non bastano.

Alta formazione e ricerca scientifica sono le prime due mission, cui si aggiunge una terza che ha l’obiettivo di connettere la ricerca alla società e riguarda la produzione di beni pubblici, aventi contenuto tecnologico, che aumentano in generale livello di benessere della società civile. Cito l’enorme lavoro portato avanti dall’Università della Calabria per il trasferimento tecnologico, finalizzato alla valutazione e all’implementazione di tecnologie sviluppate nell’ambito dei progetti di ricerca per la creazione di attività industriali. L’UniCal, in particolare, è fra le prime università che ha sviluppato, con ottimi risultati, il sistema degli spin-off e degli incubatori di impresa. Tuttavia, anche se stiamo lavorando al massimo delle nostre possibilità, è necessario l’intervento della componente politica che deve introdurre quel germe cristallino in grado di creare le giuste opportunità affinché il terreno fertile produca copiosi frutti.

Il vero problema delle università italiane non riguarda tanto il rapporto con i governi regionali, quanto il rapporto con lo Stato che chiede di formare i giovani, di fare ricerca e, in ultimo, chiede di trasferire al contesto produttivo la conoscenza a cui perviene.

Se nell’ambito della formazione, ruolo sedimentato nei secoli, le nostre università non hanno nulla da invidiare ad altri Paesi, e nella ricerca scientifica i nostri prodotti sono all’avanguardia, nell’ambito del trasferimento tecnologico le università, in particolare quelle del Sud, si trovano sole ad affrontare enormi problemi.

L’idea del trasferimento tecnologico è rimasta, purtroppo, una bella idea che non ha beneficiato nei fatti del concreto supporto governativo, così come i dottorati che, una volta istituiti, avrebbero avuto bisogno di investimenti proprio perché rappresentano un importante periodo per la formazione di futuri scienziati. Si riscontrano, infatti, diverse criticità: in primo luogo quella di affrontare non poche difficoltà tecniche nell’assegnazione dei docenti alle scuole di dottorato. Si noti che nei Paesi anglosassoni, dove il ciclo di dottorato ha una lunga tradizione, soltanto i migliori docenti sono reclutati per la formazione post laurea. In secondo luogo, si vedono entrare a fatica i neodottori nel mondo del lavoro perché i costi delle assunzioni per le aziende sono alti e sono ancora modesti gli incentivi rivolti ai datori di lavoro che, di conseguenza, difficilmente possono avvalersi della dinamicità e creatività dei giovani e men che meno possono autonomamente sostenere i costi della ricerca per aumentare la propria competitività sul mercato.

Una volta concluso l’impegnativo iter dottorale, peraltro in netto decremento soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, si assiste al paradosso dell’esodo verso gli Stati Uniti, ma ora anche verso il Sud America, dei nostri migliori talenti. In sintesi, noi formiamo scienziati di altissimo livello, spendiamo molto per la loro formazione ma poi non segue nessun provvedimento mirato a tesaurizzare queste formidabili risorse che sono il più alto capitale umano che possiamo vantare.

Analogo discorso può farsi in merito al trasferimento tecnologico. Se in Italia si compie una buona ricerca si è costretti ad operare la scelta se investire sul brevetto oppure pubblicare su riviste accreditate a livello internazionale.

Nell’ultima valutazione ANVUR coloro i quali hanno presentato brevetti sono stati fortemente sfavoriti: non solo non è stato loro concesso il giusto riconoscimento ma, ulteriore paradosso, il brevetto medesimo non è considerato al pari di una pubblicazione su una ottima rivista internazionale.

Basti poi ricordare gli interventi disposti dal 2008 per il sistema universitario che si sono tradotti in pesanti limitazioni: il taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario, che di fatto ha penalizzato fortemente l’Università della Calabria con una diminuzione delle risorse superiore al 30%; il blocco quasi totale del turn over, che ha portato alla diminuzione di più di 10.000 docenti in cinque anni e che praticamente ha bloccato per anni la possibilità di assumere nuovi ricercatori e ha condizionato, e tuttora condiziona, le legittime aspettative degli abilitati; il blocco degli scatti stipendiali che assume gravi conseguenze per gli aspetti pensionistici, soprattutto per i più giovani.

Ed ancora, la distribuzione delle risorse alle università non è stata conseguente al procedimento di valutazione della ricerca e cioè non si è dato seguito ad un effetto reale anche se lo scopo era insito nella teoria che aveva dato il via ai processi della valutazione medesima.

E non bisogna dimenticare che nonostante le nostre università non riescano ad attrarre gli investimenti dei privati, non godano di un piano per l’ammodernamento delle infrastrutture e competano nella didattica e nella ricerca con avversari internazionali che hanno regole più snelle ed efficaci, l’Italia si colloca ai vertici mondiali per la produzione scientifica, sia in termini qualitativi che quantitativi. Malgrado i lusinghieri risultati raggiunti, il numero di laureati nel nostro Paese è il più basso d’Europa, il rapporto studenti-docenti è poco vantaggioso e il numero degli studenti aventi diritto alle borse supera la disponibilità delle risorse, soprattutto nelle università del Sud.

Gli esempi sulla mancanza di visione unitaria che coniughi università, sviluppo regionale e capitale umano potrebbero essere numerosi, ma quel che intendo evidenziare riguarda la volontà da parte dello Stato di favorire lo sviluppo economico dei territori a partire dall’enorme contributo che le università sono in grado di offrire. Occorre, in conclusione, compiere un deciso balzo culturale in avanti che determini i cambiamenti di rotta necessari, investendo concretamente sulla formazione, sulla ricerca e sul trasferimento tecnologico ed evitando che le numerose dichiarazioni sul sostegno alle istituzioni universitarie restino soltanto buoni propositi.

Gino Mirocle Crisci, Rettore Università della Calabria

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