di: Carlo D'Ippoliti, Fabrizio Botti
EyesReg, Vol.5, N.5, Settembre 2015.
La ricerca nell’ambito delle scienze sociali si è occupata in maniera crescente negli ultimi 20 anni dei fenomeni di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e/o sull’identità di genere, coerentemente con un’accresciuta disponibilità di dati statistici sulle popolazioni LGBT (1). In particolare, la letteratura economica si è focalizzata sulle discriminazioni nel mercato del lavoro, articolandosi in tre principali ambiti: le politiche delle risorse umane, le condizioni di lavoro e le retribuzioni (D’Ippoliti e Schuster, 2011).
Un’evidenza consolidata riconosce la maggiore vulnerabilità dei lavoratori omosessuali rispetto a quelli eterosessuali, nelle fasi di assunzione (durante il confronto dei curricula e nei colloqui, come evidenziato ad es. da Drydakis, 2009; Weischselbaumer, 2003; Patacchini et al., 2012), avanzamento della carriera (molestie, mobbing e licenziamento come possibili reazioni al coming out nel contesto lavorativo: Curtarelli et al., 2004) e licenziamento (ad esempio prestazioni di disoccupazione, quali l’indennità di mobilità e la Cassa Integrazione Guadagni in Italia sono spesso precluse alle famiglie non riconosciute giuridicamente, come quelle LGBT, o quest’ultime riscontrano comunque molte più difficoltà di accesso a queste misure: Botti e D’Ippoliti, 2014).
Il ruolo dell’orientamento sessuale nelle discriminazioni retributive è stato in particolare oggetto di numerose indagini empiriche (si veda Botti e D’Ippoliti, 2014 per una rassegna completa), che hanno condotto ad alcuni risultati condivisi: i lavoratori omosessuali maschi soffrono di una discriminazione salariale rispetto ai loro colleghi eterosessuali, mentre le lavoratrici lesbiche godrebbero di un minimo vantaggio medio dal punto di vista retributivo (seppure generalmente non statisticamente significativo) nei confronti delle altre lavoratrici, seppur presentando redditi famigliari inferiori alle coppie eterosessuali. Alcuni studiosi hanno associato tali differenziali salariali a meccanismi discriminatori in ambito lavorativo, quali eterosessismo e omofobia (Badgett, 1995; Klawitter e Flatt, 1998; Arabsheibani et al., 2005). Un’altra linea interpretativa, coerente con l’approccio mainstream nella teoria economica, spiega le disuguaglianze retributive in termini di un grado di specializzazione intra-familiare più basso nelle famiglie formate da coppie dello stesso sesso, dove da un lato i lavoratori gay sarebbero occupati con maggiore probabilità in settori ed occupazioni con remunerazioni più basse (perché tradizionalmente female-dominated), e dall’altro le donne omosessuali investirebbero maggiormente in istruzione orientata al mercato del lavoro e meno in lavoro di cura non retribuito.
Infine, un significativo rischio di discriminazione ed esclusione sociale per la popolazione LGBT in diversi altri ambiti, tra i quali meritano di essere menzionati in particolare quelli educativo, abitativo e sanitario, è stato documentato da una rilevante complesso di ricerche (Botti e D’Ippoliti, 2014), in ambito non necessariamente economico.
Con l’obiettivo di integrare queste diverse dimensioni dell’esclusione sociale, in Botti e D’Ippoliti (2014) abbiamo condotto uno studio sui dati dell’“Indagine sui bilanci delle famiglie italiane” della Banca d’Italia, relativi agli anni tra il 2006 e il 2012 (dunque includendo le indagini 2006, 2008, 2010 e 2012), che rappresenta il primo tentativo di quantificare il grado di inclusione sociale delle persone lesbiche, gay e bisessuali (2). La peculiarità della base di dati della Banca d’Italia consente infatti di identificare sia le coppie non dichiarate esplicitamente ma identificate di fatto dai rilevatori dell’indagine, sia quelle che decidono spontaneamente di qualificarsi come tali (dettagli riguardo ai criteri di identificazione del campione LGB sono contenuti in Botti e D’Ippoliti, 2014). In termini generali, l’analisi ha evidenziato un livello di esclusione sociale sistematicamente maggiore per le persone che vivono in coppie dello stesso sesso in confronto al resto della popolazione. Poiché tale gap può essere solo parzialmente attribuito a caratteristiche individuali osservabili, è possibile ipotizzare che si tratti in parte dell’impatto di fenomeni di discriminazione (3). Riprendendo tale analisi, desideriamo qui svolgere alcune riflessioni sulla dimensione territoriale di tale fenomeno.
In via preliminare, occorre rimarcare i forti limiti ad analisi dettagliate causati dalla scarsità di dati: il campione considerato qui contiene 96 conviventi in coppie dello stesso, di cui 54 residenti nelle Regioni del Nord-Est o Nord-Ovest e 42 al Centro o al Sud. Stante la scarsa numerosità del campione, che però ha il vantaggio di essere un campione casuale, non è possibile procedere a disaggregazioni territoriali più dettagliate.
Come emerge dalla tabella 1, il campione di persone che vivono in coppie dello stesso sesso (che per brevità chiameremo persone LGB) presenta una divaricazione territoriale nei titoli di studio simile a quello presente nella popolazione composta da persone conviventi in coppie di sesso diverso (“resto della popolazione”). In effetti, tra le persone LGB il divario d’istruzione, e in particolare la minore frequenza di titoli universitari nel Centro-Sud, è ancor più marcato che nel resto della popolazione.
Tab. 1. Titolo di studio
Questo forte divario territoriale si riflette nelle ancor più marcate differenze reddituali. Come mostrato nella tabella 2, sia il reddito famigliare equivalente che il reddito individuale da lavoro (4) presentano differenze statisticamente significative tra Nord e Centro-Sud, ma tra le persone LGB questo divario si allarga quasi a giungere a un gap del 50%. Come evidenziato dalla stessa tabella, tale marcata differenza è il risultato sia del minore salario orario percepito dai lavoratori residenti nel Centro-Sud sia, soprattutto, dal numero fortemente minore di ore lavorate in un anno.
Nel complesso, già da queste semplici statistiche emerge che l’appartenenza a una minoranza potenzialmente oggetto di discriminazione quale quella LGBT non solo è di per sé fonte di minore inclusione sociale e benessere socio-economico, come evidenziato dalla letteratura menzionata in precedenza, ma costituisce anche un carattere di ulteriore rischio in presenza di contesti economicamente meno sviluppati, come il Mezzogiorno del nostro Paese. Tale conclusione andrebbe corroborata mediante una maggiore ricchezza di informazioni empiriche, che auspicabilmente potrebbero emergere dall’analisi dei risultati del censimento della popolazione svolto nel 2011. E’ evidente, peraltro, che per la ricerca e la formulazione di politiche adeguate sarebbe di grande beneficio anche una maggiore attenzione a tutte le forme famigliari e a molte più caratteristiche personali nell’ambito di ogni indagini campionaria svolta dal sistema statistico nazionale.
Tab. 2. Mercato del lavoro
In conclusione, da queste prime analisi emerge dunque l’indicazione a favore di strategie di policy mirate alle persone più svantaggiate e in ambiti di intervento che, ben oltre il legittimo ma limitato campo dei diritti civili, coinvolgano anche altre dimensioni socio-economiche e di esclusione sociale, come quelle relative alle condizioni lavorative, abitative o educative.
Ad esempio, come documentato da Albelda et al. (2009) e Badgett et al. (2013) riguardo agli Stati Uniti, le persone che si identificano come lesbiche, gay e bisessuali, e coloro che vivono in coppie dello stesso sesso soffrono inoltre di tassi di povertà più elevati rispetto alle altre persone omosessuali. Esiste quindi un complesso e coerente corpo di evidenza empirica che suggerisce, a livello di policy, da un lato la considerazione delle diversità all’interno della comunità LGBT e del necessario superamento dello stereotipo dell’agiatezza economica degli omosessuali, e dall’altro l’adozione di un approccio multidimensionale alla lotta all’esclusione sociale delle persone LGBT. Negli Stati Uniti, l’adozione da parte di alcune autorità locali di leggi contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale si è dimostrata efficace non solo nel combattere pratiche discriminatorie sul posto di lavoro ma anche nel promuovere norme giuridiche e sociali più inclusive per le persone LGBT all’interno delle comunità coinvolte (Barron e Hebl, 2013).
Carlo D’Ippoliti, “Sapienza” Università di Roma
Fabrizio Botti, Università di Perugia
Riferimenti bibliografici
Albelda, R., L.M.V. Badgett, A. Schneebaum and G.J. Gates, 2009. “Poverty in the Lesbian, Gay, and Bisexual Community”, California Center for Population Research On-Line Working Paper Series, n. 007/2009.
Arabsheibani, G., A. Marin and J. Wadsworth, 2005. “Gay pay in the UK”. Economica 72, pp. 333–347.
Badgett, L.M.V., 1995. “The wage effects of sexual orientation discrimination”. Industrial and Labour Relations Review 48(4), 726–739.
Badgett, L.M.V., L.E. Durso and A. Schneebaum, 2013. “New patterns of poverty in the lesbian, gay, and bisexual community”. The Williams Institute. Available at http://williamsinstitute.law.ucla.edu/wp-content/uploads/LGB-Poverty-Update-Jun-2013.pdf
Barron, L. G., e M. Hebl, 2013. “The force of law: The effects of sexual orientation antidiscrimination legislation on interpersonal discrimination in employment”. Psychology, Public Policy, and Law 19(2).
Botti, F. and C. D’Ippoliti, 2014. “Don’t Ask Don’t Tell (That You Are Poor). Sexual Orientation and Social Exclusion in Italy”. Journal of Behavioral and Experimental Economics, 49, pp. 8–25.
Curtarelli, M., L. Incagli and C. Tagliavia, 2004. “La qualità del lavoro in Italia”. Studi e Ricerche. Isfol Editore: Roma.
D’Ippoliti, C. and A. Schuster, 2011. DisOrientamenti. Discriminazione ed esclusione sociale delle persone LGBT in Italia. Roma: UNAR
Drydakis, N., 2009. “Sexual orientation discrimination in the labour market”. Labour Economics 16, 364–372.
Patacchini, E., G. Ragusa and Y. Zenou, 2012. “Unexplored dimensions of discrimi- nation in Europe: Religion, homosexuality and physical appearance”. Paper presented at the XIV fRDB European Conference ‘Unexplored Dimension of Exclusion’, Trani (BT) 9th of July 2012. New York: Springer.
Weischselbaumer, D., 2003. “Sexual orientation and discrimination in hiring”. Labour Economics 10, 629–642.
Note
(1) Generalmente con il termine “orientamento sessuale” si intende l’attrazione di una persona verso persone del proprio sesso, di sesso diverso o di entrambi i sessi, con “identità di genere” si intende la percezione di sé stessi come uomo, donna o nessuno dei due generi, e con “LGBT” si intende la popolazione formata da persone gay, lesbiche, bisessuali e trans.
(2) Intendendo con inclusione sociale l’abilità e possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale in ambito lavorativo, abitativo, sanitario, nell’istruzione e formazione, oltre che nelle politiche sociali.
(3) L’indagine ha soprattutto documentato l’importanza di considerare le differenze all’interno della popolazione LGB, tra chi dichiara il proprio orientamento sessuale e coloro che non si qualificano apertamente come tali. Per questi ultimi, nonostante la loro “invisibilità”, sono stati rilevati livelli di esclusione sociale significativamente superiori, particolarmente in quei campi che possono essere misurati attraverso variabili oggettive.
(4) Aggiustato per la numerosità e composizione del nucleo famigliare secondo la scala OCSE modificata.