Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Tre attenzioni di metodo per le politiche regionali: la Lombardia

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di: Alberto Bramanti
EyesReg, Vol.5, N.6, Novembre 2015

 

La Lombardia esce da un lungo periodo di recessione: il PIL regionale che nel 2014 aveva registrato uno stentato +0.2% si chiuderà a fine 2015 a +1,2% – mezzo punto percentuale al disopra del dato italiano – e per il 2016 è previsto un +1,8% contro un +1,3% nazionale (Prometeia, 2015). È dunque avviata verso una ripresa che deve ancora consolidarsi, debole nella sua dimensione occupazionale, promettente nella componente export sebbene alcune ombre permangano, connesse alla tenuta delle importazioni dai BRICs (Banca d’Italia, 2015).

In che misura e come le politiche regionali di sviluppo possano accompagnare e sostenere tale ripresa rappresenta una domanda pressante che studiosi e policy makers devono porsi nell’identificare il policy design più appropriato per sostenere ed accelerare tale ripresa.

Le politiche regionali possono certamente svolgere un ruolo positivo. Sono questi i terreni in cui pubblico e privato lavorano fianco a fianco, facendo emergere sinergie ed effetti moltiplicativi importanti.

La presente nota solleva tre attenzioni metodologiche con cui la politica deve confrontarsi per fare e fare bene il proprio mestiere. La prima è legata all’ecosistema imprenditoriale e urbano; la seconda riguarda la concentrazione degli interventi; la terza è infine relativa al consolidamento delle (buone) politiche e ad un approccio valutativo sistematico delle stesse. Su ognuno di questi snodi è opportuno aprire un dibattito e avanzare alcune considerazioni.

 

Rafforzare l’ecosistema imprenditoriale e urbano

In Lombardia gli imprenditori under 30 sono solo il 6% del totale mentre gli over 50 si collocano intorno al 39%, una performance di poco migliore della media italiana che non giustifica però facili entusiasmi. Tutti gli indicatori di confronto con altri Paesi sviluppati segnalano una arretratezza relativa dell’ecosistema imprenditoriale italiano. Secondo l’Entrepreneurship Index 2015 l’Italia è al 49° posto nel mondo per tasso di imprenditorialità, ben al di sotto degli USA (primo Paese al mondo) ma anche di Regno Unito, Germania e Spagna.

Analizzando le componenti di un ecosistema imprenditoriale è possibile identificare sei principali elementi, sufficientemente generali, che ne favoriscono la nascita e la crescita (The European Ambrosetti House, 2015): i) la capacità del policy maker di creare un contesto favorevole; ii) la disponibilità di fonti di finanziamento; iii) la presenza di un mercato di sbocco per i prodotti e servizi innovativi; iv) la qualità e quantità di capitale umano presente sul territorio; v) la propensione culturale a mettersi in gioco in prima persona; vi) il supporto di una rete istituzionale e infrastrutturale. Semplificando, si può riconoscere che due requisiti importanti della lista sono presenti in Regione Lombardia – un mercato di sbocco e un adeguato capitale umano – gli altri quattro vanno certamente potenziati. Qui preme focalizzarsi sulla diffusione di una solida cultura imprenditoriale, soprattutto tra i giovani.

L’educazione all’imprenditorialità è una priorità dell’agenda Europa 2020 e Regione Lombardia deve e può fare molto di più su questo fronte. Su 28 Paesi dell’Unione Europea, 21 hanno avviato programmi di educazione all’imprenditorialità a livello scolastico e vi è ampia evidenza che: «i giovani che sono stati educati all’imprenditorialità sviluppano una conoscenza del mondo degli affari, competenze e attitudini essenziali per la futura carriera professionale. Questa è la forma mentis imprenditoriale che aiuta le persone a trasformare idee in fatti e ne accresce notevolmente l’occupabilità.» (The European Ambrosetti House, 2015: 46).

Vi è un secondo snodo connesso a questa prima attenzione metodologica che riguarda l’ambito urbano. Che lo sviluppo delle regioni più avanzate sia connesso ad ambiti urbani dinamici e attrattivi è un’evidenza ampiamente diffusa, che la città rimanga uno snodo centrale nell’economia della conoscenza tra le reti del sapere e del fare è altrettanto evidente. Vi è oggi però una solida e argomentata riflessione che richiama come la qualità della vita nelle aree urbane possa e debba divenire stimolo per una nuova strategia industriale (Cappellin et al., 2015). La riflessione recente sulle smart cities deve spostarsi dall’attenzione per l’acquisto di tecnologie avanzate da parte delle amministrazioni cittadine verso: «la creazione di nuove attività produttive innovative e la creazione di reti di innovazione nell’economia e nella comunità locale. L’individuazione dei nuovi bisogni emergenti e dei nuovi “mercati-guida” urbani spinge a creare reti di innovazione tra diverse imprese privare sia industriali sia di servizi, e quindi allo sviluppo di progetti di investimento.» (Cappellin et al., 2015: 42).

E quali sono i nuovi mercati-guida urbani che permettono di orientare la progettazione e di selezionare gli investimenti? Si tratta di: abitazione; mobilità; salute; tempo libero e cultura; sostenibilità ambientale; e nuove filiere produttive urbane. Questi mercati-guida possono divenire contestualmente: i) ambiti di risposta alla qualità della vita dei cittadini (e quindi innalzare significativamente l’attrattività dei poli urbani regionali); ii) occasioni di produzione e innovazione per imprese esistenti e di creazione di nuove imprese; iii) occasioni di occupazione per un capitale umano qualificato (diplomati e laureati) giovane e non.

 

Concentrare gli interventi e sperimentare

La seconda attenzione metodologica riguarda la concentrazione degli interventi di politica. La rarefazione delle risorse finanziarie a disposizione suggerisce di intervenire selettivamente in relazione alle quattro macro-strategie (4I: innovazione, imprenditorialità, internazionalizzazione, investimento) su cui si articola la più parte degli interventi discrezionali lombardi (e di molte altre regioni essendo queste priorità nazionali ed europee). Ma la selettività, che negli interventi a bando è già normalmente presente, deve essere mirata a modificare strutturalmente comportamenti aziendali piuttosto che ad abbattere alcuni costi aziendali. Ciò che distingue le politiche “interruttore” (switch-on/switch-off policies) dalle buone politiche è proprio la permanenza degli effetti: se il beneficio per l’impresa cessa nel momento in cui viene meno l’incentivo non è una buona politica, se invece attraverso l’incentivo produco modificazioni strutturali e permanenti (migliorative) del “soggetto trattato” allora ho colpito nel segno.

 

Consolidamento e valutazione delle policies

La terza attenzione metodologica riguarda il consolidamento delle politiche e la loro valutazione. Sul consolidamento occorre segnalare che esiste un “effetto permanenza” delle buone politiche che è bene perseguire. Normalmente una politica si consolida in non meno di 5 anni, è il tempo minimo perché le imprese comprendano, sperimentino e valutino il nuovo strumento suggerendo eventuali interventi migliorativi specialmente dal punto di vista dei dettagli applicativi. Dal punto di vista del policy maker deve essere possibile monitorare e valutare un paio di cicli applicativi per coglierne gli impatti e, in caso positivo, fare fine tuning dei provvedimenti. A questo punto si è prossimi ai 5 anni dalla entrata in vigore della legge ed è il momento di diffonderla e utilizzarla estensivamente. Troppe volte è invece successo che si sia passati a una nuova normativa (o sistema di incentivi) che, senza aggiungere qualità sostanziale, ha interrotto il ciclo positivo dell’apprendimento costringendo operatori e imprese a riprendere un defatigante apprendimento sulla nuova norma.

Le esperienze nazionali sono illuminanti al proposito, una delle migliori leggi di politica industriale è unanimemente considerata la Legge Sabatini. Nacque il 28 novembre 1965 “Provvedimenti per l’acquisto di nuove macchine utensili” e sta compiendo oggi felicemente i 50 anni di ininterrotto funzionamento. Certo che si è aggiornata ed è stata modificata al margine in questi cinque decenni, ma ha rappresentato un punto fermo per generazioni di PMI che hanno potuto dotarsi dei mezzi di produzione adeguati a reggere la propria sfida competitiva, sufficientemente semplice ed efficace e con un grandissimo effetto permanenza positivo.

Sulla valutazione delle politiche si sono spesi fiumi di inchiostro, ma sarebbe difficile sostenere oggi che una singola legge di politica per le imprese sia evidence based in senso scientifico (tranne, forse, le normative relative al credito agevolato). Le due obiezioni principe contro un processo valutativo appropriato sono, di solito, che non ci sono i soldi per farle o che il politico non le vuole perché teme che la valutazione possa essere “punitiva”. Esistono però risposte appropriate su entrambi i fronti.

Sul tema costi e risorse la risposta è semplice. Invece delle (o in aggiunta alle) clausole valutative ormai inserite in ogni normativa di spesa (“la Giunta riferirà al Consiglio con una relazione annuale”), spesso puntualmente interessanti ma non sistematiche, occorre prevedere che una percentuale piccola del budget di spesa (suggerisco l’1%) venga dedicata ad un fondo valutazione che consenta di fare sistematicamente e trasversalmente un serio lavoro di valutazione delle politiche. Sull’uso della valutazione occorre precisare che non si possono valutare obiettivi mal definiti (vaghi e generici). Solo l’inizio di un percorso valutativo consentirà di dimensionare i target e gli obiettivi ex-ante per verificarli ex-post, sino alla possibilità di cancellare certi strumenti avendono verificato l’inincidenza.

Solo dopo aver internalizzato queste attenzioni di metodo la politica potrà dedicarsi alla messa a fuoco sia delle politiche trasversali “abilitanti”, sia delle macro-strategie che possono sostenere la competitività del sistema delle PMI.

 Alberto Bramanti, Università Bocconi

 

Riferimenti bibliografici

Banca d’Italia (2015), Economie regionali: l’economia della Lombardia, Milano.

Bramanti A. (2015), “Politiche di rete per la competitività delle PMI: cosa imparare dall’esperienza lombarda”. Cappellin R. et al., op. cit., pp. 175-181.

Cappellin R., Baravelli M., Bellandi M., Camagni R., Ciciotti E., Marelli E. (2015), a cura di, Dalle strategie ai progetti: la ripresa economica e la politica industriale e regionale. E-book Egea Editore, Milano.

GEM (2014), Global Entrepreneurship Monitor. Italia 2014. Università degli Studi di Padova, Padova.

Prometeia (2015), Gli scenari per l’economia della Lombardia. Indagine congiunturale industria lombarda, 30 luglio, Milano.

The European House Ambrosetti (2015), Crescere facendo impresa, Milano.

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