Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Resilienza economica e resilienza sociale. Esiste una relazione?

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di: Barbara Martini
EyesReg, Vol.5, N.1 – Gennaio 2015.

In un famoso articolo intitolato Social and ecological resilience: are they related?, Adger (2000) ha definito la resilienza sociale come la capacità degli individui, delle organizzazioni e delle comunità di adattarsi, tollerare, assorbire, far fronte e aggiustarsi rispetto al cambiamento e a minacce di vario tipo, evidenziando come esista una relazione tra resilienza sociale e resilienza ecologica.

In questo articolo si cerca di analizzare se esiste la relazione tra resilienza sociale e resilienza economica, cercando di individuarne le caratteristiche, le determinanti e gli effetti sui sentieri di crescita. Dopo aver sinteticamente riassunto le diverse definizioni di resilienza economica, si prende in esame il concetto di resilienza sociale. Si cerca infine di individuare le possibili relazioni tra i due fenomeni, tentando di trarre alcune indicazioni di policies per sviluppare la resilienza nei territori.

Il concetto di resilienza, termine di origine latina che indica la capacità di un sistema di ritornare nella situazione precedente a seguito di una perturbazione, sta riscuotendo un crescente interesse da parte degli economisti regionali a seguito dello shock economico del 2008. Esso gode di una serie di caratteristiche particolarmente interessanti: focalizza l’attenzione esattamente sull’impatto dello shock e sugli effetti che esso può avere sui sentieri di crescita regionali (Martin e Sunley, 2013), consente di costruire un framework concettuale attraverso il quale rappresentare le regioni in modo dinamico, olistico e sistemico in cui le diverse componenti, economiche, sociali ed istituzionali sono connesse tra di loro (Swanstrom, 2008), è sufficientemente ampio e multidisciplinare da poter raccogliere ed includere i diversi aspetti che caratterizzano una regione (Christopherson et. al., 2010). Nonostante il crescente interesse, la teoria economica non ha ancora trovato una definizione condivisa; non sono stati individuati i fattori determinanti, un criterio di misurazione, né è stato approfondito il rapporto tra shock e sentiero di crescita nel lungo periodo. Infine non sono state individuate politiche in grado di creare una regione resiliente.

La letteratura fornisce tre diverse definizioni di resilienza economica. La prima, di tipo ingegneristico (Hotelling, 1973; Pimm 1984; Walker et al., 2006), definita come l’abilità di un sistema di ritornare al suo stato di equilibrio iniziale a seguito di uno shock o di un disturbo. La resilienza è la capacità del sistema di resistere agli shock, e la velocità nel tornare nella posizione di equilibrio a seguito dello stesso. Il sistema si trova in una situazione di equilibrio stabile ed ha in sé le capacità di auto-equilibrarsi. Questa ipotesi trova riscontro nei così detti plucking model (Friedman, 1993), secondo cui gli shock sono tendenzialmente transitori e non influenzano la crescita nel lungo periodo. L’attenzione è posta sul concetto di equilibrio, mentre non vengono presi in esame gli impatti che lo shock può avere sul sistema economico nel suo complesso; esso può ritornare nella situazione di equilibrio pre-shock anche a seguito di una ristrutturazione del suo sistema economico e sociale.

La seconda definizione, commutata dall’ecologia, considera la resilienza come la capacità di un sistema di sostenere un certo livello di disturbo senza cambiare il proprio stato e la propria struttura. La resilienza è misurata dall’ampiezza dello shock che il sistema è in grado di tollerare ed assorbire prima di cambiare equilibrio. L’attenzione continua ad essere posta sul sistema nel suo complesso (composto da individui, organizzazioni e territorio) ma, a partire gli studi riconducibili a questo approccio (Holling 1973, 1996, 2001; McGlade et al., 2006; Walker et al., 2006), viene introdotto il concetto di equilibrio multiplo, e considerata la possibilità che il sistema possa evolvere in stati differenti a quelli precedenti il disturbo. L’attenzione non è posta sull’evento perturbante, ma sulle relazioni tra sistema (valutato nella sua complessità) e l’evento perturbante; relazioni che possono essere descritte attraverso l’analisi delle variabili di stato e delle variabili di controllo. Una evoluzione del concetto di resilienza ecologica è rappresentato dall’approccio socio-ecologico: a partire dallo studio della relazione sistema – ambiente si analizzano i meccanismi di autopoiesi e le capacità adattive del sistema attivate dall’incertezza che l’evento perturbante introduce. Il concetto di resilienza si arricchisce includendo oltre alla capacità di tollerare un disturbo anche il concetto di self-renewal capacity.

Una terza definizione di resilienza poi è quella di tipo adattivo, che trova le sue origini nella teoria dei sistemi complessi ed adattivi, ed é collocabile nell’ambito della teoria evolutiva. Il sistema contiene in se le capacità adattive che gli consentono di riorganizzare spontaneamente, a seguito di uno shock, la sua struttura (Martin e Sunley, 2007) sotto il profilo economico, istituzionale e sociale, e di trovare nuovi sentieri di crescita. La resilienza adattiva è pertanto un processo di tipo dinamico definita in termini di possibilità di rimbalzare in avanti (bounce forward), anziché in termini di ritorno ad una situazione precedente (Martin e Sunley, 2013).

La risposta di un territorio a seguito di uno shock non dipende soltanto dalla resilienza di tipo economico, ma anche dalla capacità di reazione degli individui e della collettività. La letteratura economica ha definito la resilienza sociale come l’abilità di una comunità di resistere agli shock esterni utilizzando infrastrutture di tipo sociale, ossia la capacità degli individui, delle organizzazioni e delle comunità di adattarsi, tollerare, assorbire, far fronte e aggiustarsi rispetto al cambiamento e a minacce di vario tipo (Adger, 2000). La definizione di Adger è contestualizzabile all’interno della letteratura che si occupa del tema dei dynamics of complex, adaptive, social-ecological systems (SES) (e.g. Holling 1973, 1996, 2001; Gunderson et al., 1995; Carpenter et al., 2005; Hotelling e Gunderson, 2002; Holling et al., 2002; Walker e Mayers, 2004), e pone l’accento sulle caratteristiche dinamiche della resilienza, rappresentabile come un processo (Pendall, 2007), in grado di attivare capacità di resistenza, risposta, recupero e creazione di nuove opzioni a seguito dello shock (Cutter et al., 2008), le cui caratteristiche peculiari sono quelle di adattabilità e trasformabilità. Attraverso di esse, il sistema è in grado di assorbire i disturbi e riorganizzarsi conservando le stesse funzioni, la stessa identità e la stessa struttura (Walker e Mayers 2004). Il concetto di resilienza sociale non può essere scisso dalla unità di osservazione in cui ci si pone: l’individuo (Butler et al., 2007), la comunità (Norris et al., 2008), o la società nel suo complesso (Adger 2000).

La resilienza individuale è la capacità di un individuo di reagire in situazioni e circostanze avverse (Williams e Druy, 2009). La resilienza sociale non è la somma delle singole resilienze individuali. Norris (2008) definisce una comunità resiliente come una comunità in grado di attivare una rete di capacità adattive che la portano ad adattarsi a seguito ad un evento collettivo perturbante. La resilienza sociale è quindi un fenomeno multidimensionale scomponibile in tre dimensioni: capacità di reazione, capacità di adattamento, capacità di trasformazione. La prima è la misura di come le persone reagiscono e superano la fase di shock, la seconda contempla la capacità degli individui di utilizzare le esperienze passate per far fronte ai rischi futuri, la terza rappresenta la capacità degli individui di partecipare e di incidere sul processo decisionale.

La resilienza sociale non è un elemento visibile, e pertanto non è direttamente osservabile e misurabile. Essa è una proprietà che lega individui o comunità al modo con cui rispondono a determinati eventi. Per poter usare il concetto efficacemente occorre metterlo in relazione con altri elementi tra cui la resilienza economica. I comportamenti degli individui influenzano l’economia nel suo complesso, ma anche il comportamento delle Istituzioni, e le scelte delle imprese influenzano il comportamento dei singoli attori. Esiste quindi una relazione tra resilienza sociale e resilienza economica ma, allo stato attuale, non è ancora chiaro se sia la resilienza sociale ad influenzare quella economica o viceversa. Per poter capire le determinanti e gli effetti della resilienza sui territori è pertanto necessario rispondere alle domande: resilienza di cosa? (of what?) a cosa? (to what?) con quali mezzi (by what means?) con quale output (with what outcomes?), affinché la nozione abbia senso (Carpenter et al., 2001). Occorre pertanto decidere a priori l’unità di osservazione a cui fare riferimento, gli elementi del sistema economico su cui su vuole porre l’attenzione, il risultato finale atteso. Folke et al. (2010) dividono il concetto di resilienza in resilienza specifica e resilienza generale. La prima è il comportamento a fronte di un evento ben definito, mentre la seconda si riferisce ad un comportamento di fronte a stress di vario genere. L’utilizzo del modello concettuale di sistema complesso per la rappresentazione del territorio (un sistema aperto, dotato di equilibri multipli, di circuiti di feedback e capacità di autorganizzazione) rende auspicabile, soprattutto in fase iniziale, l’utilizzo di un approccio olistico allo studio del fenomeno. Questo può essere utile a mettere in evidenza tutte le dimensioni del sistema che possono influenzarne il percorso di adattamento, evitando la sottovalutazione di aspetti inattesi e consentendo successivi focus sulle relazioni tra sistema (o componenti del sistema) ed eventi specifici (Paton et al., 2001; Walker, 2009). L’approccio single stressor-single output appare non del tutto convincente, poiché non cattura le complesse interazioni che possono scaturire a seguito di uno stress. Le tecniche di analisi multivariata rappresentano una parziale risposta metodologica poiché non sono in grado di tenere conto dell’elevato grado di incertezza presente nei SES. Un possibile approccio alternativo, in grado di prendere in considerazione anche l’incertezza, è rappresentato dall’approccio dell’adaptive management anche se il suo utilizzo, dal punto di vista operativo, risulta essere abbastanza complesso (Eakin e Luers, 2006).

Il concetto di resilienza sociale, le determinanti, i metodi di misurazione, le interazioni con la resilienza economica, gli effetti sui sentieri di crescita e le policies per creare una regione resiliente devono ancora essere approfonditi. Alcuni tentativi di misurazione, per l’Italia, sono stati svolti da Graziano (2013) a livello provinciale, e Martini (2014) a livello regionale.
Sviluppi ulteriori del lavoro partiranno dall’approfondimento del concetto di resilienza sociale nel tentativo di fornire una misurazione (Maclean et al.,2014) anche attraverso l’utilizzo dell’analisi multivariata, per le regioni italiane. Lo stress a cui il sistema è sottoposto è uno stress di tipo economico (shock economico del 2008), il che richiede una attenta riflessione per quel che concerne la scelta degli indicatori che descrivono la resilienza sociale in quanto la letteratura, fino ad ora, si è per lo più focalizzata su shock di tipo ambientale (Aldrich, 2012). La scelta della scala regionale consente di individuare indicazioni di policies per costruire una regione resiliente, argomento su cui la letteratura è ancora lacunosa (Bristow e Hearly, 2014). La resilienza economica è semplicemente misurata in termini di PIL dove, seguendo la definizione di Hill et al. (2008) le regioni resilienti sono quelle che dopo uno shock di tipo economico ritornano al tasso di crescita precedente lo shock, anche attraverso un mutamento del loro sentiero di crescita, le regioni shock resistance sono quelle su cui lo shock non ha alcun impatto di tipo economico, mentre le regioni non resilienti a seguito di uno shock non sono in grado di reagire rimanendo nello stato che si è venuto a creare.

Come è già stato evidenziato nel corso del lavoro, lo stato dell’arte della letteratura non ha ancora trovato un modo univoco per definire e misurare la resilienza. La scelta degli indicatori e la sua misurazione rappresentano pertanto una parte complessa ma innovativa parte del lavoro.

Barbara Martini, Università Tor Vergata

 

Riferimenti bibliografici
Adger, W. N. (2000). Social and ecological resilience: are they related? Progress in Human Geography, 24, 347-364.
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4 Comments

  • Alessia

    Voglio innanzitutto fare i miei sinceri complimenti per l’iniziativa di questa pubblicazione on line che finalmente permette di porre una lente più scientifica nella lettura dei fenomeni socio economici che ci toccano quotidianamente, e, credo doveroso per un ente pubblico, alzano il livello di analisi delle politiche per chi ci lavora quotidianamente.
    Sarei grata poter richiedere maggiori indicazioni all’autrice di questo articolo, ed in particolare indicazioni bibliografiche.

    Ringrazio e ancora complimenti a tutti per l’ottimo lavoro
    Alessia

  • Gianmarco

    ciao,inanzitutto trovo sensazionale questa pubblicazione inoltre ti scrivo perché mi piacerebbe approfondire il tema della resilienza organizzativa.
    Sono un laureando magistrale in Gestione d’azienda e la mia tesi sarà proprio su questo tema.

    Sarei felice se potessi ricevere tue delucidazioni sul tema.

    In attesa di una risposta ti ringrazio anticipatamente

    cordiali saluti,
    Garzella Gianmarco

  • Simone Barbaro

    Complimenti alla Dott.ssa Martini, per la capacitá di districarsi nei diversi concetti di resilienza e nella semplicità di concatenarli nel risultato di “multisettorialitá”.
    Sono certo che l’applicazione dei concetti di resilienza sociale-ambientale-economica acquisiranno interesse centrale per la programmazione delle Comunità future, obiettivi pienamente raggiunti nello “studio dei materiali”. È indiscutibile che l’instabilità ambientale, economica e conseguentemente sociale costringerà la nostra e le generazioni future a sviluppare organizzazioni, tecniche e strutture resilienti, con l’introduzione magari di un nuovo concetto di circolaritá che oggi manca al nostro sistema. Sarei ben lieto di poter condividere con Lei passaggi più sperimentali dei concetti di resilienza sociale.
    Saluti Simone Barbaro

 
 

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