Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Città smart o città scema?

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di: Beniamino Murgante e Giuseppe Borrusso
EyesReg, Vol.4, N.5 – Settembre 2014.

Oggi è molto diffuso un approccio che associa in maniera stretta il concetto di Smart City alla repentina diffusione di dispositivi elettronici. Azioni di questo tipo, per quanto di indubbia utilità, se completamente sconnesse dal contesto e soprattutto dalla città possono trasformarsi in un inutile spreco. Questa convinzione diffusa evoca scenari urbani ispirati dal film di Ridley Scott, “Blade Runner”, che nelle intenzioni di molti vendors dovrebbero portare a una visione di città analoga a quella di una pubblicità della Pioneer di fine anni ‘80 (http://youtu.be/5rMI_aVYtR0) dove ogni persona “indossava” uno o più televisori che costituivano una barriera con il mondo esterno determinando un comportamento da automa [1].

Figura 1. Risultato del programma di ammodernamento delle stazioni ferroviarie italiane

Questo approccio tutto italiano alle smart cities comporterà una pioggia di dispositivi elettronici nelle nostre città connessi ad improbabili obbiettivi da raggiungere. Già negli anni scorsi abbiamo assistito a molti programmi con risultati alquanto deludenti. Basti pensare al programma di ammodernamento delle stazioni ferroviarie che ha portato ad una installazione di un elevato numero di televisori, spesso di dimensioni rilevanti, destinati soprattutto a trasmettere pubblicità, ignorati da tutti, e parallelamente a uno smantellamento di servizi e strutture utili a supportare il viaggiatore: la quasi totale abolizione delle sedie, la riduzione in dimensioni dei tabelloni con gli orari e loro spostamento in luoghi spesso poco accessibili, sostituiti dai succitati mega-schermi pubblicitari, l’eliminazione dei servizi di trasporto bagagli, solo recentemente ripristinato in alcune stazioni (https://twitter.com/gborruso/status/388912012841209856).

Sembra di rivivere lo stesso periodo degli albori dei sistemi informativi territoriali quando il mercato italiano era dettato più dall’offerta che dalla domanda. Era il periodo dei SIT “chiavi in mano” nel quale venivano spese ingenti risorse nell’acquisto di Hardware e Software senza avere le idee chiare sulle esigenze dell’amministrazione e del loro possibile uso nella gestione della città. Il risultato è che oggi, dopo circa venti anni, solo qualche centinaio di comuni su un totale di circa ottomila ha in SIT degno di questo nome. Rischi analoghi sono molto probabili nella via italiana alle Smart Cities. Bisogna anche porsi un interrogativo: perché in una nazione che ha mostrato sempre forti repulsioni nei confronti delle tecnologie, periodicamente si manifestano forti accelerazioni nel settore dell’ICT?

In Italia ci sono sempre state forti remore nel confrontarsi con gli impulsi derivanti dall’innovazione perché l’adeguarsi a questi nuovi approcci porterebbe a modificare prassi e pratiche consolidate. Negli anni scorsi ci sono stati vari disegni di legge, per fortuna tutti naufragati, che cercavano di mettere il bavaglio alla rete, da sempre vista più come problema che come fonte di opportunità. L’Italia è la nazione nella quale la principale azienda di telecomunicazioni, in un primo tempo, ha riposto poca attenzione in internet, vedendosi poi costretta nel 1996, per rimediare all’errore, a rilevare videonline (http://www.vol.it) il più importante provider italiano dell’epoca, realizzando clubnet.

Che senso ha riempire la città di “lampioni wi-fi” se abbiamo una delle bande più “strette” d’Europa? Quale utilità ha per la popolazione la sostituzione dei cestini dei rifiuti con contenitori “intelligenti” dotati di microchip e GPS con la funzione di segnalare quando l’immondizia ha raggiunto l’orlo? Queste “raffinatezze” sono utili in paesi dove la raccolta porta a porta raggiunge la totalità delle abitazioni, non in città dove i rifiuti differenziati sono ben lontani dal 50%.

I problemi fondamentali da affrontare nelle città

Uno studio dell’Economist dimostra che nonostante Stati Uniti ed Unione Europea abbiano una consistenza demografica confrontabile, negli Stati Uniti una popolazione di 164 milioni di abitanti risiede nelle 50 principali aree metropolitane mentre l’Europa si ferma a 102 milioni.

Questa forbice comporta sorprendenti conseguenze in termini di produttività e dei redditi.

Il Prodotto Interno Lordo prodotto in queste aree metropolitane europee è il 72% di quello prodotto nelle 50 più grandi città americane.

Un articolo del Wall Street Journal del 2012 evidenzia come le principali aree metropolitane degli Stati Uniti producono un PIL superiore alle economie di intere nazioni.

Un articolo del Washington Post sottolinea come in 31 stati americani una o due aree metropolitane rappresentino la stragrande maggioranza della produzione economica della nazione ed in altri 15 stati, una grande area metropolitana da sola produce il la maggior parte del PIL. Il 50% percento del Prodotto Interno Lordo degli Stati Uniti è generato nelle principali diciassette aree metropolitane.

Da queste statistiche ci si rende facilmente conto che per quanto non si prediliga vivere in grandi città, nella maggior parte dei casi ciò diventi una necessità. Tra i vantaggi del vivere in aree urbane rispetto ad aree meno accessibili vi sono quelli legati al valore aggiunto che nasce dalla vicinanza, dalle interazioni tra individui, gruppi e territorio, con le possibilità di imparare e trasferire la conoscenza. Le città, quindi, svolgono per l’umanità un ruolo centrale.

Nonostante siano radicalmente cambiati i contesti economici ed i modelli produttivi, la città rappresentano sempre l’elemento più vitale dell’economia di una nazione. In genere in ogni nazione sviluppata le città rappresentano il vero cuore economico ed i luoghi più densamente popolati sono più attraenti per le persone che vogliono condividere la conoscenza. Mentre un tempo i vantaggi erano strettamente connessi alla riduzione di costi di trasporto e di distribuzione oggi le città hanno dei grossi benefici in termini economici dovuti allo scambio di idee, si assiste quindi al passaggio da un’idea di città fondata sul concetto di localizzazione ad una città incentrata sull’interazione (Batty, 2013).

Nei prossimi anni assisteremo ad un incremento della popolazione mondiale di 2,3 miliardi di abitanti con un incremento medio della popolazione delle aree urbane del 30%. Entro il 2020 la popolazione urbana cinese diventerà il 60% del totale ed oltre 100 milioni di persone migreranno verso le aree metropolitane o contribuiranno alla creazione di nuovi centri urbani.

Questo fenomeno non si limiterà solo a nazioni nel quale si sta verificando un rapido sviluppo economico come Cina ed India, ma anche in Europa, come evidenzia un rapporto delle Nazioni Unite del 2011 “World Urbanization Prospects”, dove nel 2050 quasi il 90% della popolazione vivrà in aree urbane.

Ovviamente uno stile di vita “urbano” comporta una minore sostenibilità, un maggior consumo di energia, un maggior inquinamento, una maggiore produzione di rifiuti, ecc.

In Cina nei prossimi 5 anni si realizzeranno 45 aeroporti, l’80% delle emissioni di CO2 avviene nelle città, le aree urbane consumano il 75% dell’energia, ed il 50% delle perdite riguardati l’approvvigionamento idrico avviene in città.

Si stanno verificando alcune previsioni allarmanti evidenziate alla conferenza di Rio de Janeiro del 1992. Le risorse del pianeta vengono utilizzate dal 20% della popolazione, ma con la crescita economica di nazioni come la Cina, l’India, la Russia ed il Brasile, con un elevato numeri di abitanti potrebbe far saltare completamente il bilancio ambientale del pianeta.

Sono necessari, quindi, approcci intelligenti per risparmiare risorse economiche ed ambientali. Non è possibile riproporre uno sviluppo urbano basato sullo stesso modello che ha governato il processo di urbanizzazione verificatosi a partire dalla rivoluzione industriale fino ai giorni nostri.

Rispetto a queste problematiche diventa importante analizzare la città non solo cercando localizzazioni ottimali di attività o cercando le migliori teoriche destinazioni d’uso, ma cercando di comprendere le interazioni tra le persone che rappresenta il fondamento logico del vivere e lavorare in città (Batty, 2013).

Si deve quindi passare da un approccio basato sulla pura crescita fisica delle città, ad uno fondato sulla capacità di utilizzare in maniera corretta ed efficiente energia, acqua e altre risorse e di fornire una qualità della vita elevata. In pratica le città devono diventare molto più intelligenti nel programmare e pianificare la gestione e l’uso delle risorse esistenti.

Gli elementi principali di una Smart city

Identificare che cosa rende smart una città è legato alle differenti dimensioni, che si collegano a loro volta a concetti alquanto consolidati nella letteratura sulla città e le aree urbane. Nel significato di smart, la componente tecnologica è soprattutto collegata agli elementi e alle infrastrutture dell’ICT. Queste giocano un ruolo importante, in particolare come facilitatori dei processi di innovazione, condivisione e partecipazione attiva da parte dei cittadini/utilizzatori urbani, così come dello sviluppo di elementi tipici dell’economia della conoscenza. Seguendo alcune delle più interessanti interpretazioni, le Smart cities sono città in cui uno strato tecnologico viene sovrapposto alla struttura e intelaiatura urbana esistente, consentendo ai suoi cittadini e utenti di connettersi alla rete, interagire tra loro e con altri attori: pubblica amministrazione, fornitori di beni e servizi, ecc., di fatto ottimizzando la città e i suoi spazi. Dato che la popolazione mondiale sta crescendo e che tale crescita si aspetta avvenga soprattutto nelle città, la tecnologia può giocare un ruolo importante nel limitare il consumo di suolo e migliorare la qualità della vita.

Tuttavia oggi il rischio è che i decisori finali, i politici, i cittadini e le imprese si focalizzino soltanto sulla moda e la fascinazione del lato tecnologico dell’“intelligenza”, con poca attenzione al suo inserimento all’interno del processo di pianificazione e progettazione urbana. In una Smart city l’infrastruttura tecnologica connessa all’ICT è centrale, nello stesso modo in cui nel passato lo era la realizzazione di nuovi edifici, strade, ferrovie, linee e reti telefoniche e di distribuzione dell’energia. Tali infrastrutture da un lato supportavano i bisogni della popolazione mentre dall’altro influenzavano le modalità con cui le persone interagivano con lo spazio urbano. Le infrastrutture di una Smart city dovrebbero pertanto giocare un ruolo simile, basandosi pertanto su una pianificazione focalizzata, in quanto il loro utilizzo non deve essere limitato al breve termine, ma dovrebbe essere persistente, avendo in mente che le impostazioni date oggi influenzeranno i modi in cui i cittadini interagiranno con la città nei tempi presenti e futuri. Nella Smart city quindi la metafora della rete si sovrappone alla metafora urbana, in tal senso agendo quale nuova, differente infrastruttura capace di incanalare relazioni e interazioni, nonché essere influenzata e plasmata da tali processi, in modo similare a una rete di trasporto pubblico che si sviluppa in una città per connettere e servire luoghi, e successivamente evolve dando vita a ‘nuovi’ luoghi. La città dovrebbe pertanto presentarsi come una “piattaforma abilitante per le attività che i cittadini sono in grado di sviluppare, collegando quelle ereditate dal passato con quelle che si potranno realizzare nel futuro, non focalizzandosi soltanto sulle applicazioni ma sulla possibilità che i cittadini hanno di realizzarle”. Una città smart dovrebbe pertanto basarsi su tre diversi ‘pilastri’ (Figura 1):

  1. Connessioni – quali le reti e le infrastrutture tecnologiche;
  2. I dati – aperti, pubblici o di interesse pubblico per consentire lo sviluppo di soluzioni innovative e l’interazione tra I cittadini/utenti della città;
  3. I sensori – compresi I cittadini (Goodchild, 2007a; 2007b; 2009), in grado di partecipare attivamente anche ‘dal basso’ alle attività della città.

Figura 2. I “Pilastri” che sostengono la Smart city e la sua Governance (Murgante e Borruso, 2013)

 

Tali pilastri dovrebbero essere tenuti assieme da una governance in grado di collegarli, fornendo una direzione e una ‘vision’ alla città. Tale governance dovrebbe regolare la Smart city in un modo neutrale, senza entrare nel dettaglio delle applicazioni e dei contenuti.

La Smart city quindi si pone come progetto urbano, come una grande infrastruttura e come una metafora della rete in un contesto urbano. In una frase, una Smart city diventa l’ambiente in cui una serie definita di elementi (sensori, dati, connessioni), armonizzata da un insieme limitato di regole di base, fornisce a enti pubblici, cittadini, associazioni, imprese, ecc., la possibilità di sviluppare nuove applicazioni e soluzioni in grado di migliorare la vita della città stessa, lasciando, di fatto, a questi ultimi attori, l’iniziativa dello sviluppo e di creare nuovi mercati e realtà.

Smart city, programmazione e progetti

Nella costruzione delle Smart Cities è fondamentale ragionare in un’ottica interdisciplinare ed intersistemica. Programmi rivolti al puro potenziamento tecnologico, per quanto di indubbia utilità, se completamente sconnessi dal contesto e soprattutto dalla città possono diventare un inutile spreco, escludendo, tra l’altro, parti consistenti della popolazione urbana e rafforzando le ineguaglianze anziché ridurle.

Uno degli elementi centrali nella costruzione di un programma è la verifica di compatibilità e la complementarietà di questo programma con gli altri programmi in itinere o conclusi da poco, oltre che delle possibili sovrapposizioni con altre iniziative (Archibugi, 2002).

In quest’ottica diventa centrale nella costruzione di una Smart City perseguire obiettivi di sintesi tra il programma riguardante la città intelligente e tutti quei piani e programmi ricadenti sull’area di studio (Piani regolatori generali, piani particolareggiati, piani settoriali, piani strategici, programmazione complessa, ecc.). Si tratta, quindi, di utilizzare il grosso impatto delle tecnologie sulle nuove forme di policy e di pianificazione. Bisogna interpretare i sei assi principali riguardanti le città intelligenti, ovvero la declinazione dell’aggettivo “Smart” in Economy, Environment, Governance, Living, Mobility, People, non in maniera strettamente connessa alle tecnologie, ma considerando il valore aggiunto che l’innovazione può apportare ai programmi in atto o predisponendo un apposito programma complementare a molti che possa produrre utili sinergie.

Alla luce di questa affermazione, riflettendo sulle esperienze degli ultimi periodi, è facile riscontrare errori non banali nei bandi riguardanti le città. Non è stato fatto, ad esempio, nessuno sforzo per cercare importanti sinergie tra i due bandi, usciti nello stesso periodo, riguardanti rispettivamente le Smart Cities e quello riguardante il recupero delle aree urbane degradate (“Piano Nazionale per le Citta”). In altre parole, si tratterebbe di considerare lo ‘strato tecnologico’ delle Smart Cities non soltanto sotto forma di gadget o di accessorio, ma in quanto compatibile e inserito nell’ambito del processo di programmazione, pianificazione, progettazione e gestione della città.

 

Conclusioni

Uno studio dell’European Samsung Lifestyle Research Lab ha elaborato un Samsung Techonomic Index che evidenzia i consumi in tecnologie nelle varie nazioni europee. L’Italia, nonostante la profonda crisi economica, ha i consumi più alti in tecnologie in Europa. La spesa media degli Italiani è di circa 559 euro in prodotti hi-tech, praticamente il doppio dei francesi (223 euro) e inglesi (274 euro) e molto superiore a quella dei tedeschi 323 euro. In questo scenario dove le tecnologie sono sempre al primo posto della lista dei desideri diventa molto popolare per il decisore riempire le citta di gadget elettronici o appaltare applicazioni per tablet e smartphone. Un po’ come accade per i bambini con i videogiochi, i decisori hanno concentrato l’attenzione sulle applicazioni mobili perdendo di vista la città nel suoi insieme, molto spesso lo stesso concetto di città.

Il termine smart è il più popolare in questo periodo ed è adottato in qualsiasi contesto riguardante la città. Si tratta di una sorta di prefisso telefonico da anteporre ad ogni termine o concetto già definito in letteratura. Viene molto di frequente adottato nel linguaggio comune ed in tutti i tipi di pubblicità, un po’ come nei disegni animati dei puffi abbiamo la “puf-foresta”, le “puf-bacche” le “puf-fragole” ecc. (Murgante e Borruso, 2014). Allo stesso modo la partecipazione diventa smart participation, i trasporti diventano smart mobility e anche triangolo della sostenibilità diventa il triangolo smart. Gli stessi sei assi delle smart city, considerati in una prospettiva di integrazione, spesso descritti come una rivoluzione culturale, non sono altro che la prima lezione di pianificazione urbana. È del tutto evidente che la mobilità ha stretti rapporti con l’economia, le persone, la governance, l’ambiente e la qualità della vita.

Ad esempio, Masdar City considerata uno dei simboli delle città intelligenti progettata da Foster and Partners, è certamente una città pensata in funzione di tutte le precauzioni in termini di risparmio energetico e riduzione delle emissioni. La domanda è: è sostenibile una sorta di città futuristica realizzata nel deserto? Non è da mettere in discussione la qualità e i dettagli del progetto, ma l’idea di base.

Nell’analizzare tecnologie applicate alla città è fondamentale distinguere se le innovazioni hanno rapporti con l’ambiente urbano o meno. La domanda principale da porsi è: sono queste tecnologie utili per la città o si tratta semplicemente di soluzioni alla ricerca di per un problema? Il problema è che non è facile distinguere chiaramente questi due aspetti anche a causa della campagna di comunicazione organizzata dai produttori di dispositivi e da alcune comodità che diverse applicazioni producono. Secondo Alberto Brandolini “the amount of energy necessary to refute bullshit is an order of magnitude bigger than to produce it” [2]. I principali sforzi nei prossimi anni devono essere concentrati nel distinguere ciò che è bullshit da ciò che è utile per la città.

Beniamino MurganteUniversità della Basilicata

Giuseppe BorrusoUniversity di Trieste

Bibliografia

Archibugi F. (2002) Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico, Alinea Editrice

Batty B. (2013) The New Science of Cities, The MIT Press.

Goodchild, M.F. (2007b): Citizens as sensors: the world of volunteered geography. GeoJournal 69(4), 211–221, doi:10.1007/s10708-007-9111-y

Murgante B., Borruso G. (2013) “Cities and Smartness: A Critical Analysis of Opportunities and Risks” Lecture Notes in Computer Science vol. 7973, pp. 630–642. Springer-Verlag, Berlin Heidelberg. ISSN: 0302-9743, DOI: 10.1007/978-3-642-39646-5_46

Murgante B., Borruso G. (2013) “Smart cities or dumb cities? Città, riqualificazione urbana e pioggia di dispositivi elettronici” Rivista GEOmedia, Vol. 17, n. 4, p. 48.

Murgante B., Borruso G. (2013) “Smart cities or dumb cities? Città e applicazioni per smartphone” Rivista GEOmedia, Vol. 17, n. 5, p. 48.

Murgante B., Borruso G. (2014) “Smart cities or dumb cities? Le vere sfide delle città intelligenti” Rivista GEOmedia, Vol. 18, n. 1, p. 46.

Murgante B., Borruso G. (2014) “Smart City or Smurfs City” Lecture Notes in Computer Science vol. 8580, pp. 738–749. Springer International Publishing Switzerland DOI: 10.1007/978-3-319-09129-7_53



[1] Realtà cui non siamo tuttavia troppo lontani, non per via di ingombranti caschi contenenti televisori personali, quanto per l’immersione pressoché totale che una buona parte della popolazione dei paesi industrializzati ha ormai in dispositivi quali smartphones e tablet (http://www.tecnostress.it/smartphone-addiction-cause-sintomi-e-abitudini-patologiche-in-infografica.html).

[2] https://twitter.com/briandavidearp/status/481304548305555456/photo/1

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2 Comments

  • Francesco Rotondo

    E’ un articolo molto interessante anche se in Italia, nonostante si continui a parlare di governo del territorio la pianificazione non ha assunto l’effettivo ruolo di coordinamento delle numerose discipline in essa coinvolte. Ad esempio, non solo nelle politiche urbane non si considerano integrate le azioni per favorire l’informatizzazione della città in un’ottica “Smart” ma addirittura il governo propone due distinti disegni di legge uno per il governo del territorio (DDL Lupi) e uno per il consumeo di suolo (DDL Puppato)… COme dire che da un aparte si disciplina la trasformazione ossia il “consumo” di suolo e dall’altra si disciplinano le modalità per non consumarlo … Follia 😉
    Ritornando alle smart cities, occorre come al solito notare che risulta difficle pe run decisore che non comprende di cosa si stia parlando fare le scelte giuste … ritornando al solito problema del bagaglio di conoscenze dei decisori politici e sulla loro modalità di selezione che nella ns. nazione non si presenta per nulla soddisfacente … complimenti per l’interessante l’articolo

  • poltrona sacco

    Lo consiglio! Raffaello Marchesi

 
 

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