Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Smart city e partecipazione: un’arena inclusiva per i cittadini? Il caso di Aalborg

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di: Letizia Chiappini

EyesReg, Vol.4, N.4 – Luglio 2014.

Il concetto di smart city è ormai un termine ampiamente abusato sia in ambito accademico sia extra-accademico. L’uso indiscriminato di questa espressione, smart city, fomentato anche dalla ‘voracità’ di diffusione della rete, rischia di far perdere quella forza evocativa di innovazione che invece dovrebbe contenere. Ogni termine che include molteplici sfaccettature, deve sempre essere accompagnato da un’analisi dei mutamenti dei bisogni, dei modelli culturali e valoriali, nondimeno dalla precisazione del contesto nel quale viene utilizzato.

L’appellativo città intelligente negli ultimi due decenni ha identificato in primo luogo la città digitale e poi la città socialmente inclusiva, introducendo così l’idea di miglioramento della qualità della vita nelle città e il coinvolgimento diretto dei cittadini tramite processi partecipativi. Benché il focus sembra essere sulla funzione delle infrastrutture ICT applicate ai sistemi urbani, vi sono filoni di ricerca “in cui si elabora il ruolo del capitale umano ed educativo, sociale e relazionale, nonché l’interesse ambientale come guida della crescita urbana” (Caragliu, et al. 2009: 51). È chiaro che la città del futuro non può essere solo digitale, pertanto l’articolo si attiene alla visione critica di città socialmente inclusiva e si focalizza sulla partecipazione che consente ai cittadini di far parte dell’arena politica e decisionale.

Lo studio di caso danese rappresenta un’ispirazione innovativa e un benchmarking per le città che si attivano per diventare smart. Aalborg è una delle smartest town in Europa: gli indicatori di smart governance utilizzati nel ranking del modello applicativo più diffuso (e ormai ‘datato’) di città intelligente comprendono tre differenti dimensioni. Secondo Giffinger (et al. 2007), ideatore della classifica sopracitata, la governance di Aalborg è la più ‘performante’ tra il campione di settanta città europee selezionate. Nel dettaglio si considerano:

-la trasparenza nelle dinamiche di governance;

-la qualità dei servizi pubblici e sociali;

-la partecipazione cittadina nella fase di decision-making (partecipazione alla vita pubblica);

Dopo una breve contestualizzazione del caso studio, si cerca di definire un modello ‘alternativo’ rispetto al concetto diffuso di smart city tecnologica, proponendo un idealtipo di città-comunità-sociale in cui si adotta una visione di smart city citizen-centric, coordinata da attori istituzionali ‘illuminati’ che privilegino il cittadino informato e incluso.

Nel corso del tempo il fenomeno smart si è affermato nel quadro scientifico globale ed è stato recepito dall’arena politica europea, la quale ha provveduto a supportare la città intelligente tramite policies volte a sostenere le azioni dei governi urbani a livello nazionale e locale. Nel panorama delle linee d’azione a livello europeo e nazionale vanno citate alcune delle politiche più rilevanti: Smart Cities EERA (Joint Programme, Research & Development), Stakeholders Platform (Industry) e il programma Horizon 2020 che approccia in modo sistemico il concetto di smart growth. Inoltre, la Commissione Europea ha introdotto la Smart Specialisation Strategy: la S3 fa parte di un ciclo progettuale volto a sistematizzare le politiche di ricerca e sviluppare strategie d’innovazione regionali  che valorizzino gli ambiti produttivi di eccellenza tenendo conto del posizionamento strategico territoriale  e delle prospettive di sviluppo in un quadro economico globale. Questo quadro normativo serve da framework  nel quale i vari players possono muoversi seguendo diverse direzioni e strategie d’intervento. Naturalmente tale quadro non è neutrale ma talora pregno di ideologie proprie della neoliberalizzazione di cui gli Stati moderni sono affetti. Come sostiene Ciciotti (2013: 125) è paradossale che in questa fase di grave crisi dello sviluppo nei paesi industriali avanzati:

 “[…] ci si concentri prevalentemente su politiche di natura macroeconomiche (per di più di stampo marcatamente neoliberista) e si tenga in poco conto il fatto che le città rappresentano il luogo di massima concentrazione della popolazione, dei consumatori, del capitale umano, delle conoscenze, della cultura, delle infrastrutture materiali e immateriali e delle capacità produttive, con tutti i problemi e le opportunità che da essa derivano.”

La sfida è comprendere quale paradigma di smart city possa dirimere al meglio le azioni delle istituzioni e includere in esse anche i cittadini, riconoscendoli non solo come tali, con una propria capacità di exit, ma soprattutto elevare il loro status a capacità di voice, promuovendo il loro coinvolgimento in materia pubblica. È convinzione di chi scrive che per poter avviare un processo di governance partecipativa, occorre in primis identificare gli attori in campo, i valori, le risorse, le aspirazioni e per dirlo con un termine di Amartya Sen le capabilities che ogni città e i suoi cittadini possiedono.

La partecipazione non è un aspetto semplice da trattare, tuttavia questo discorso si presta al fenomeno delle smart cities perché evidenzia le forme di controllo e regolazione degli interessi e delle attività private e pubbliche (Goldsmith, 2001). Beninteso, fornire una definizione di pubblico potrebbe voler dire spalancare le porte che conducono in molteplici direzioni, quali il welfare state, i regimi democratici, le arene deliberative, le forme di partnership, il mondo dei servizi, le politiche sociali, le forme associazionistiche, le imprese sociali… Per analizzare la natura della partecipazione e dunque l’inclusione dei cittadini (applicata allo studio di caso) si fa riferimento al modello teorico proposto da Bifulco e de Leonardis (2002), il quale individua alcuni criteri che esprimono e qualificano ciò che è di interesse pubblico, al di là del soggetto erogatore e della materia trattata. Sinteticamente, l’attenzione nei confronti del pubblico declinato ai processi partecipativi, si focalizza sulle modalità attraverso le quali il percorso partecipativo genera processi di messa in visibilità, di generalizzazione e di riconoscimento di beni in comune. Pertanto le istituzioni dovrebbero avere la capacità di far emergere argomenti e questioni sociali, solitamente relegati alla sfera privata, consentendo sia una maggiore conoscenza sia un’effettiva partecipazione dei cittadini. Dunque anche le voci più deboli, solitamente escluse, dovrebbero entrare a far parte di questo processo di apprendimento collettivo. Il compito dei governi locali è quello di offrire spazi virtuali e/o fisici per favorire la partecipazione e la concertazione su problematiche di interesse comune, riconoscendo in tali ‘pratiche’ un bene pubblico. La gestione della partecipazione è complessa e articolata, in essa è fondamentale definire le condizioni ottimali affinché tali processi risultino efficaci in termini di inclusione e rappresentanza concreta. La partecipazione può celare contraddizioni e ‘forme di tirannia’ (Vicari, 2005). Analizzare il coinvolgimento dei cittadini senza considerarlo forzatamente come tappa verso l’innovazione significa evitare di creare nuovi miti e di alimentare di conseguenza la retorica di taglio celebrativo. Come si comprende dallo studio di Aalborg, le forme di impegno politico e di partecipazione dei cittadini sono oggetto di diverse iniziative: audizioni cittadine (public hearing), referendum di iniziativa popolare, firme di petizioni. È bene ricordare che i meccanismi di coinvolgimento dei cittadini sono diventati la norma dei discorsi politici delle smart cities, nonostante la difficoltà imprescindibile di tradurre queste affermazioni in pratica.

Come si può pensare di trasformare la città in smart city senza che i cittadini ne siano direttamente coinvolti? L’obiettivo è verificare se nel contesto territoriale in analisi, vi sia realmente una modalità di participatory governance e come questa avvenga. Si fa particolare riferimento alla tipologia dei soggetti e all’oggetto della partecipazione, agli spazi nei quali quest’ultima avviene e agli strumenti utilizzati. In questi termini Aalborg rappresenta una ‘pratica buona a’ coinvolgere i cittadini e riconoscere l’importanza dell’attivazione del contesto locale e delle risorse insite in esso.

Aalborg è una città europea di medie dimensioni situata nella regione dello Jutland settentrionale; facendo parte dell’area scandinava la città possiede una lunga e importante tradizione nella pianificazione urbana la quale comprende tutti quei processi volti a migliorare il dialogo tra pubblica amministrazione e cittadini (Flyvbjerg, 1998). Il Danish Planning System tutela la partecipazione dei cittadini grazie alla regola delle eight weeks hearing in cui i cittadini sono chiamati a discutere gli interventi e i progetti urbanistici decisi dalle istituzioni locali. Numerosi sono i progetti culturali avviati nella città: Nordkraft, House of Music e Utzon Center, quest’ultimo rappresenta una delle iniziative più interessanti studiate sul campo. I pianificatori di Aalborg intervistati hanno dichiarato la volontà di allestire una mostra temporanea mirata a diffondere le nuove visioni urbane tentando così di includere i cittadini nella fase di progettazione. In questo luogo simbolico per la città viene presentato il new municipal plan e si chiede ai cittadini di esprimere desideri, visioni ed esperienze da ‘taggare’ su una grande mappa di Aalborg ponendo così l’accento di città come bene comune. Il dibattito pubblico che nascerà e i risultati raccolti dalla mostra saranno poi analizzati e indicizzati per lo sviluppo urbano futuro della città scandinava: questa è una delle molteplici pratiche volte a implementare la partecipazione dei cittadini, che sia essa dichiarata smart o non smart. Beninteso, il contesto danese presenta dei vantaggi connaturati nel quadro normativo e politico da cui non si può prescindere, come esplicitato pocanzi.

Tuttavia quello che emerge dall’esperienza ancora in corso delle smart cities europee è la necessità di una politica per le città, per evitare approcci ‘slegati’ e poco applicativi. In accordo con Ciciotti (2013: 127), la linea d’azione attuata finora presenta debolezze in quanto agisce in modo parziale o settoriale, incapace dunque di riconoscere l’aspetto sistemico insito in questo fenomeno di città intelligenti. “Si tratta di operare secondo la logica dello sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, centrato su un modello di governance bottom–up” (ibidem).

In conclusione si vuole proporre una visione di città smart basata sulla letteratura e le ricerche esistenti, che tenga in considerazione i risultati tratti dal caso studio.

Figura 1. La visione di Smart City citizen-centric. Elaborazione propria.

La conversione di una città in smart city è un percorso non privo di ostacoli; sono necessarie idee, capacità riconosciute, expertise e una nuova classe dirigente all’altezza della sfida, capace di darsi obiettivi sinergici tra loro e di ascoltare e interpretare i ‘cangianti’ bisogni dei cittadini. Solo in tal modo si avvieranno processi partecipativi effettivi. La città deve entrare a far parte dell’agenda quotidiana dei cittadini: la sostenibilità e la materia pubblica sono preziose ed esse devono trasformarsi in un desiderio e una convenienza per tutti.

Letizia Chiappini, Università Milano-Bicocca

Riferimenti bibliografici

Bifulco L., de Leonardis (2002), Pratiche e retoriche dell’intermediazione amministrativa, in Battistelli F. (a cura di), La cultura delle amministrazioni pubbliche fra retorica e innovazione, Milano: Franco Angeli, 109-129.

Caragliu A., Del Bo C., Nijkamp P. (2009), Smart cities in Europe, 3rd Central European Conference in Regional Science, CERS: ftp://zappa.ubvu.vu.nl/20090048.pdf, 45-59.

Ciciotti E. (2013), Il nuovo ruolo delle città in un periodo di cambiamenti strutturali, in EyesReg Giornale di Scienze Regionali, 3, 6: 124-128.

Flyvbjerg B. (1998), Rationality and Power. Democracy in practice, Chicago: The University Chicago Press.

Giffinger R., Fertner C., Kramar H., Kalasek R., Pichler-Milanović N. (2007), Smart cities – Ranking of European medium-sized cities, Wien, online:http://www.smartcities.eu/download/smart_cities_final_report.pdf .

Goldsmith M. (2001), Urban Governance, in Paddison R. (eds.) Handbook of Urban Studies, London: Sage Publications, 325-334.

Vicari Haddock S. (2005), La rigenerazione urbana: frammentazioni e integrazioni, in Bifulco L. (a cura di), Le politiche sociali, Roma: Carocci, 117-133.

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