Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Quale futuro per il Made in Italy? Un’analisi comparata sul settore abbigliamento

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di: Donatella Baiardi, Carluccio Bianchi, Eleonora Lorenzini

EyesReg, Vol.3, N.6 – Novembre 2013.

Il progressivo abbandono delle produzioni low-tech tradizionali (abbigliamento, agro-alimentare, calzature, mobile) in atto nelle economie avanzate europee, e in Italia in particolare, può costituire una grave perdita per il sistema economico, per gli effetti sia diretti (su occupazione, reddito e bilancia dei pagamenti) sia indiretti (sulle imprese dell’indotto, ma anche sulla reputazione nazionale e sul turismo) che tali settori esercitano. Pertanto è opportuno comprendere se i settori low-tech possono rimanere competitivi anche nei Paesi avanzati, nonostante la crescente perdita in termini di quote di mercato e nonostante molti studi o pareri di esperti invochino la necessità di un cambiamento strutturale verso settori a maggiore contenuto tecnologico (Sapir et al., 2003; European Commission, 2004; European Commission, 2010).
Il presupposto della nostra analisi è che le economie avanzate possono continuare a competere nei settori tradizionali puntando sulla qualità piuttosto che sul prezzo. In effetti, nonostante i maggiori prezzi relativi, le imprese dei settori tradizionali possono comunque ottenere buoni risultati in termini di esportazioni promuovendo e garantendo più elevati standard qualitativi, i quali, se adeguatamente riconosciuti dai mercati, sarebbero in grado di generare una più bassa elasticità (1) della domanda estera al prezzo (per cui all’aumentare di quest’ultimo la domanda diminuirebbe meno che proporzionalmente). In tale prospettiva, ci si aspetta che un Paese che esporta prodotti caratterizzati da un elevato livello dei prezzi, ma anche da una reputazione superiore basata sulla qualità, esibisca una domanda rigida. Peraltro, nel tempo, tale domanda può diventare più elastica se i mercati percepiscono una diminuzione della qualità; in tal caso si genererebbe uno spostamento della domanda estera verso beni della stessa qualità prodotti da Paesi più competitivi sul fronte dei prezzi. Per contro, la domanda può rimanere rigida se i consumatori internazionali riconoscono la superiore qualità dei prodotti del Paese considerato, mantenendo di conseguenza un’elevata disponibilità a pagare per beni di elevato standard qualitativo.
Per questo motivo, si ritiene che uno studio comparato delle caratteristiche delle esportazioni dei maggiori competitor internazionali che associ l’analisi dell’elasticità della domanda estera al prezzo relativo all’esame della dinamica delle quote di mercato e dei prezzi all’esportazione su un orizzonte temporale di due decenni possa fornire indicazioni utili a giudicare la competitività dei prodotti italiani nel mercato globale. In tale contesto, il settore dell’abbigliamento è stato scelto, oltre che per il suo fondamentale ruolo nella bilancia dei pagamenti, anche per le esternalità positive generate in termini di reputazione del Made in Italy all’estero.

Metodologia

Al fine di ottenere i dati necessari per lo studio (volumi di esportazioni e prezzi relativi per 37 beni dell’abbigliamento a livello di 4 cifre della SITC-Standard International Trade Classification) e di poter effettuare un confronto tra l’elasticità dell’Italia e quelle dei principali competitor internazionali, sono stati considerati i flussi commerciali dei suddetti beni relativamente agli anni dal 1992 al 2011 per 12 Paesi tra i maggiori esportatori nel settore (Cina, Hong Kong, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Olanda, Spagna, Turchia, Regno Unito e USA), i quali insieme contano per il 72,2% del valore totale dell’export di abbigliamento nel 2011. I dati sono stati ricavati dal database COMTRADE gestito dall’ONU e organizzati in 12 panel, uno per ogni Paese. L’Italia detiene una posizione di primo piano nella classifica, essendo il terzo esportatore mondiale dopo Cina e Hong Kong. Tale posizione è determinata soprattutto da un elevato livello dei valori medi unitari (ottenuti per ciascun prodotto come rapporto tra valori e volumi di esportazioni in ogni anno), peraltro notevolmente cresciuto negli ultimi venti anni, mentre la quota di mercato in quantità è diminuita significativamente nello stesso periodo a favore delle economie emergenti (da qui in avanti la quota di mercato è intesa come rapporto tra le esportazioni del Paese e quelle dei 12 maggiori esportatori considerati). Per ogni Paese è stata stimata la seguente funzione delle esportazioni per dati panel:

dove i e t fanno riferimento rispettivamente al bene e all’anno, con i=1,…,N e t=1,…,T. Xit è il volume annuale delle esportazioni per ciascuno dei 37 beni dell’abbigliamento e RPit è il prezzo relativo delle esportazioni di ciascun bene. GDPWt è il PIL mondiale annuale in dollari constanti del 2005. Tutte le variabili sono trasformate in logaritmi naturali e per questo denominate lnXit, lnRPit e lnGDPWt.
I coefficienti e sono le elasticità al prezzo relativo e al reddito del settore abbigliamento. Le sono le costanti per ciascun bene e εit i termini di errore. Il nostro interesse principale è nella stima del coefficiente , che si suppone essere negativo. In valore assoluto ci si attende che Paesi come l’Italia, caratterizzati da beni di superiore qualità, abbiano un’elasticità di prezzo minore di quella degli altri Paesi. Ciò giustificherebbe il mantenimento di una specializzazione nei settori tradizionali. Prima di procedere alla stima delle elasticità sono stati effettuati i consueti test di radice unitaria, cointegrazione e Granger causality per dati panel. I test hanno fornito l’esito atteso, per cui per tutti i Paesi si è potuto procedere con l’analisi econometrica.

Risultati

I risultati più significativi ottenuti sono quelli relativi alla stima delle elasticità di prezzo su diversi periodi del ventennio considerato e al loro confronto in termini dinamici, insieme all’analisi di quote di mercato e prezzi dei prodotti (2). Le Figure 1 e 2, al riguardo, riportano sull’asse orizzontale i valori medi unitari e su quello verticale le elasticità di prezzo ottenute per i beni dei diversi Paesi attraverso la stima di rolling equations su un intervallo temporale di 9 anni. I grafici fanno riferimento, rispettivamente, al primo e all’ultimo sottoperiodo considerati (1992-2000 e 2003-2011). Ogni figura è divisa in quattro quadranti, usando come linea di partizione la media dei valori medi unitari e delle elasticità di prezzo di tutti i Paesi nell’intervallo temporale prescelto, con le quote di mercato medie a determinare la dimensione dei cerchi per ciascun esportatore. Come si può notare dal confronto tra i due grafici, i prezzi dei nostri prodotti sono notevolmente cresciuti nel tempo, e nel secondo sottoperiodo (Figura 2) l’Italia può essere considerata un outlier rispetto agli altri Paesi, anche europei.

Figura 1 – Posizionamento dei Paesi in termini di valori medi unitari e elasticità al prezzo, anni 1992- 2000

Note: Le elasticità di prezzo sono stimate per il rolling period 1992-2000. La grandezza del cerchio è data dalla quota di mercato media in volumi per lo stesso periodo. Per ottenere un risultato significativo, per la Cina il periodo considerato è il 1992-2006. L’elasticità di prezzo per l’Indonesia non è significativa nel periodo considerato.

Figura 2 – Posizionamento dei Paesi in termini di valori medi unitari e elasticità al prezzo, anni 2003-2011

Note: Le elasticità di prezzo sono stimate per il rolling period 2003-2011. La grandezza del cerchio è data dalla quota di mercato media in volumi per lo stesso periodo. Le elasticità di prezzo per Indonesia e Turchia non sono significative nel periodo considerato.

Questa evidenza può essere dovuta al fatto che l’Italia è rimasta l’unico Paese in cui è ancora presente una solida struttura produttiva settoriale (come evidenziato anche dai dati sull’occupazione e sul valore aggiunto dell’abbigliamento, notevolmente superiori a quelli degli altri Paesi europei), che punta sulla qualità, con un progressivo abbandono da parte delle aziende che non riescono a stare sul mercato di fascia alta. Per contro, gli altri Paesi avanzati si stanno progressivamente specializzando in attività a valle della filiera, determinando una nuova configurazione della global value chain (Gereffi, 1994, 1999 and Gibbon, 2002). Sebbene la quota di mercato dell’Italia in quantità sia diminuita nel tempo (come evidenziato dalla grandezza dei cerchi nel grafico) la domanda estera è rimasta rigida (nettamente inferiore a 1) e quindi poco sensibile a eventuale aumenti di prezzo. Questi risultati indicano la persistenza di una forte posizione competitiva dei prodotti italiani e quindi la possibilità di ulteriori penetrazioni nei mercati internazionali più dinamici.

Conclusioni

L’analisi svolta ha confermato come i prodotti italiani dell’abbigliamento, sebbene caratterizzati da valori medi unitari all’esportazione decisamente superiori alla media, esibiscano una domanda rigida sul mercato internazionale unita a una quota di mercato ancora considerevole. Per tale motivo investire in tale comparto risulta ancora profittevole, nonostante molti esperti invochino per i Paesi avanzati un cambiamento strutturale verso settori a più elevato contenuto di tecnologia.

Da un punto di vista metodologico, elasticità di prezzo, valori medi unitari e quote di mercato, considerati insieme, appaiono indicatori appropriati per valutare la competitività dei beni prodotti nei mercati internazionali.

Donatella BaiardiUniversità di Pavia e Università di Milano Bicocca

Carluccio BianchiUniversità di Pavia

Eleonora LorenziniUniversità di Pavia

 

Bibliografia

Baiardi, D., C. Bianchi, E. Lorenzini (2013), The Clothing Export Performance and Prospects for Advanced and Emerging Economies: Evidence from a Panel Data Analysis. Università di Pavia, Department of Economics and Management Working Paper n. 40, Aprile 2013.

European Commission, (2004). Facing the Challenge: The Lisbon Strategy for Growth and Employment. Brussels: European Commission.

European Commission, (2010). Europe 2020: A Strategy for Smart, Sustainable and Inclusive Growth. Commissione Europea, Bruxelles.

Gereffi, G., (1994). The Organization of Buyer-Driven Global Commodity Chains: how US Retailers Shape Overseas Production Networks. In Gereffi, G., Korzeniewicz, M. (a cura di), Commodity Chains and Global Capitalism. Greenwood Press, Westport CT, pp. 95-122.

Gereffi G., (1999). International trade and industrial upgrading in the apparel commodity chain. Journal of International Economics 48, 37-70.

Gibbon, P., (2002). At the Cutting Edge? Financialisation and UK Clothing Retailers’ Global Sourcing Patterns and Practices. Competition and Change 6, 289-308.

Sapir, A, P. Aghion, G. Bertola, M. Hellwig, J. Pisani-Ferry, J, D. Rosati, J. Viñals, H. Wallace, (2003). An Agenda for a Growing Europe: The Sapir Report. Commissione Europea, Bruxelles.

(1)  Da qui in avanti ci si riferirà all’elasticità sempre in termini assoluti.

(2)  Per una trattazione più esaustiva rimandiamo a Baiardi, Bianchi, Lorenzini (2013).

 

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