di: Giovanni Barbieri
EyesReg, Vol.3, N.4 – Luglio 2013.
Io sono un veterano: c’ero fin dalla prima conferenza – Roma, CNR, novembre 1980, pochi giorni dopo il terremoto in Irpinia. Dopo più di trent’anni, con qualche emozione, sono dalla parte della sala di quelli che parlano nella tavola rotonda finale: di questo ringrazio voi tutti e in particolare Riccardo Cappellin. Sono un veterano, dicevo, ma attenermi all’argomento che mi è stato appena assegnato senza allargare lo sguardo ai lavori della conferenza non è facile. Il pregio di questi incontri dell’AISRe, lo dico da tempo, è l’intensità del confronto delle idee, a partire dalla ricchezza e varietà dei temi che presentati e discussi, anche per l’apertura disciplinare che i nostri “padri fondatori” hanno voluto dare all’associazione. Esco dalle nostre conferenze sempre stimolato e arricchito e ne tradirei lo spirito se – accanto al tema degli investimenti di cui Riccardo mi ha chiesto di parlare – non riportassi anche in questa tavola rotonda alcune riflessioni di questi giorni. [*].
La prima è in tema, ma per la verità l’ho fatta prima dell’inizio della conferenza. Qualche giorno fa è stato presentato il nuovo modello di iPhone: nulla di stupefacente, in verità. Quello che è stato relativamente sorprendente è che il giorno prima della presentazione ufficiale la stampa ha riportato la sintesi di uno studio di J.P.Morgan sull’impatto economico del nuovo prodotto: «We believe the release of iPhone 5 could potentially add between 1/4 to 1/2%-point to fourth quarter annualized GDP growth.».
Ieri l’altro è uscito sul New York Times un articolo brillante del nostro amico Paul Krugman (possiamo ben chiamarlo amico per il suo contributo alle analisi regionali: lo avevamo al tavolo della presidenza, con altri due premi Nobel, al cinquantesimo dell’ERSA). L’argomentazione di The iPhone Stimulus si può riassumere così: «Attenzione, chi plaude alle stime di J.P. Morgan si deve rendere conto che plaude a politiche di stampo keynesiano. Infatti, nel breve periodo quello che porta l’iPhone5 a dare un contributo al Pil Usa non sono gli effetti di offerta, non sono la qualità del nuovo modello (qualunque modello di iPhone venisse annunciato darebbe lo stesso contributo, tant’è vero che J.P.Morgan ha effettuato il suo studio senza conoscerne le caratteristiche); il contributo scaturisce dallo stimolo che la presentazione di un nuovo modello dà alla domanda aggregata.»
Dunque, proseguendo nella polemica che ormai da mesi lo oppone sia alle proposte repubblicane di politica economica negli Usa, sia alle politiche di austerità in Europa, Krugman ha buon gioco nel riproporre la ricetta keynesiana con politiche di stimolo della domanda. E qui, naturalmente, torniamo al tema che Riccardo Cappellin mi aveva suggerito.
Si temeva, due anni fa, che questa fosse una recessione “double dip”, con due minimi, a forma di W. Purtroppo, almeno in Europa, i timori si sono avverati. La prima fase della crisi, tra il 2008 e il 2009, si era manifestata in Italia con una caduta forte della produzione industriale e degli investimenti indotta dalla brusca contrazione del commercio mondiale, mentre la domanda interna per consumi aveva sostanzialmente tenuto. L’uscita dalla crisi era stata rapida e sostenuta da una forte ripresa dell’interscambio commerciale a livello globale, cui le nostre esportazioni si erano prontamente agganciate. Questa seconda fase recessiva, manifestatasi a metà del 2011 come crisi del debito sovrano italiano, ha caratteristiche molto diverse, il cui elemento più rilevante – insieme a qualche segnale di rallentamento della domanda internazionale, soprattutto per l’affievolirsi della crescita in Cina e negli altri Brics – è la caduta del potere d’acquisto e della domanda per consumi delle famiglie.
Anche a me sembra urgente, dunque, uno stimolo della domanda aggregata. Ma la vocazione della nostra associazione ci spinge a guardare in particolare alla domanda per investimenti pubblici e privati, e a sottolinearne l’importanza non soltanto in una prospettiva di stimolo della domanda nel breve periodo, ma anche di incremento dell’offerta di capitale fisso sociale, nel lungo.
Seconda riflessione. La conferenza ci ha offerto molti spunti di analisi e di interpretazione meritevoli di essere considerati nel passaggio dal terreno delle analisi a quello delle policy. In una delle sessioni organizzate che ho curato – questa delle sessioni organizzate è una delle cose più belle introdotte in queste ultime edizioni della conferenza – abbiamo discusso a lungo di consumo di suolo. Dopo protratte disattenzioni, il tema è stato posto di recente al centro del dibattito. Ieri ne ha parlato il Presidente del consiglio Monti, anche se limitatamente all’aspetto del consumo di suolo agricolo. Un aspetto su cui abbiamo discusso e su cui vorrei attirare la vostra attenzione è che una parte del consumo di suolo, forse quella più caratterizzante la “varietà italiana” dell’urban sprawl, è il consumo di suolo come conseguenza, o frutto avvelenato, del modello dello sviluppo distrettuale. Da oltre un decennio il modello distrettuale – anche se con enormi differenze tra comparto e comparto, e tra territorio e territorio – manifesta forti segnali di crisi. E come spesso accade, all’abbassarsi della marea diventano visibili le esternalità negative di quel modello di sviluppo: in particolare, il prezzo pagato dalla collettività e dai sistemi locali in termini di consumo di suolo. Queste considerazioni dovrebbero orientarci verso investimenti parsimoniosi nel consumo di suolo e attenti alle tematiche del riuso e della riqualificazione dell’esistente.
D’altro canto, i distretti – come emerge dai lavori presentati – non manifestano soltanto segnali negativi. Dove sopravvive e prospera, anzi, il modello distrettuale manifesta la sua vitalità in modi nuovi. In queste giornate abbiamo sentito presentare casi di studio e riflessioni teoriche anche molto differenti. Ma al centro del dibattito – se mi è consentita una grande semplificazione – vedo due tematiche: la tematica relazionale e la tematica della conoscenza, e più in generale dell’informazione.
Da qui prende le mosse la mia terza riflessione. L’emergere di tematiche e fenomeni nuovi pone alla statistica ufficiale, al sistema statistico nazionale e all’Istat, una sfida nuova: quella di raccogliere e diffondere informazione statistica su questi nuovi fenomeni. La pongo come questione di responsabilità etica e di deontologia professionale, e non soltanto di aggiornamento delle prospettive, perché sono fermamente convinto che siano questi i termini della questione. Vi siete mai chiesti perché la statistica pubblica è pubblica? perché è una funzione sostenuta dalla fiscalità generale, come difesa, istruzione e sanità? La risposta più convincente la dà un altro Nobel, Joseph Stiglitz, che non soltanto sostiene che l’informazione è un bene pubblico, ma aggiunge che essa ha il compito di correggere le asimmetrie informative, a vantaggio di quei soggetti – cittadini, istituzioni e imprese minori – che non hanno la possibilità di raccogliere direttamente le informazioni loro necessarie, per il permanere di barriere all’ingresso che, ancorché abbassate, tuttora sussistono. Se è così, allora la statistica ufficiale ha una missione importante.
In concreto: se dalla conferenza AISRe emerge un fabbisogno di informazione su fenomeni nuovi, l’Istat deve raccogliere questa sfida. Ed è quello che l’Istat sta facendo.
Lunedì l’Istat ha lanciato ufficialmente il nuovo censimento delle attività produttive. Molti hanno notato che il censimento è partito con un anno di apparente ritardo rispetto all’abituale cadenza decennale (il precedente era del 2001). Il motivo dello slittamento, però, è un profondo cambiamento. Questo è non tanto un censimento delle imprese, ma un censimento per le imprese: sia nel senso che il questionario, pur complesso, è mirato a raccogliere le informazioni statistiche di cui le imprese ci hanno segnalato l’utilità; sia perché minimizza gli oneri di risposta, attraverso il passaggio dal tradizionale censimento a una rilevazione campionaria limitata a 260.000 imprese (su un totale di oltre 4 milioni).
Ultimo punto e chiudo: oltre alla sfida del censimento, gestita con modalità innovative ma tutto sommato tradizionale nei contenuti, ve n’è un’altra, che sta particolarmente a cuore a me e allo stesso presidente dell’Istat. È quella delle nuove misure del progresso, al di là del Pil e delle grandezze di contabilità nazionale. All’inizio del 2013 l’Istat pubblicherà il suo primo rapporto e le sue prime serie di indicatori sul benessere equo e sostenibile (Bes).
Ecco il pistolotto pubblicitario, direte. Non è così. Il tema è, a mio parere, molto rilevante in una sede scientifica come questa. C’è una profonda differenza tra le misure alle quali siamo abituati, come il Pil, e le misure del benessere. Le prime hanno il loro significato primario a livello nazionale, anche se possono essere articolate alla scala locale. Le misure del benessere, invece, trovano fondamento e radicamento sul territorio: quello che noi “scienziati regionali” sappiamo particolarmente bene è che quando parliamo di territorio non parliamo di una dimensione astratta ma del tessuto relazionale che si crea nei luoghi di residenza e di lavoro. Questo tessuto relazionale è produttivo di informazione, è produttivo di conoscenze, soprattutto è produttivo del modo concreto e quotidiano che abbiamo di vivere e operare.
Per questo sostengo che il rapporto nazionale sul benessere è solo un passo iniziale. Questa nuova sfida informativa è destinata al fallimento se non saremo capaci, come stanno facendo alcune città italiane, di articolare queste dimensioni a partire dal basso, dal livello locale e dalle conoscenze che vi si esprimono. Spingere in questa direzione è anche un compito della nostra associazione.
Giovanni Barbieri, ISTAT
Note
[*] L’articolo è basato sull’intervento alla tavola rotonda finale della XXXIII Conferenza Aisre di Roma, settembre 2012.
at 12:18
Da pianificatore del territorio e da frequentatore dell’AISRe dal 1985, condivido pienamente il rilievo dato al BES.
Non a caso a Palermo (2-3 settembre 2013), nell’ambito della XXXIV Conferenza AISRe,presiederò la Sessione da me proposta “Pianificazione e progettazione integrata per il territorio e la città… ecologica” (dopo la “prima puntata svoltasi a Torino nel 2011) dove centrale è la questione dell’approccio “multicriteria”.
A presto.
Stefano Aragona
Ing., PhD. , Ricercatore in Urbanistica
Master of Sciences in Economy Policy & Planning
Dipartimento Patrimonio, Architettura, Urbanistica
Università Mediterranea di Reggio Calabria
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