Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Politiche di networking e modelli di sviluppo delle città knowledge production oriented

Print Friendly, PDF & Email

di: Silvio Brondoni e Margherita Corniani

EyesReg, Vol.2, N.2 – Marzo 2012.

Nell’odierno scenario geopolitico mondiale, per l’Europa, la sfida della globalizzazione consiste nel divenire un’economia della conoscenza molto competitiva, capace di una crescita economica sostenibile, sviluppo dell’occupazione e forte coesione sociale. Per conseguire questo ambizioso obiettivo le Comunità europee devono costruire una nuova governance, in grado di attivare un confronto multilaterale, in una logica worldwide, con altri Stati-Globali (US, China, India, Oil-Nations, ecc.) ed accogliere i network globali, la nuova realtà di imprese, quale motore dello sviluppo socio-economico.

In realtà, numerosi fattori esogeni impongono agli Stati-Nazione una visione globale, sempre più integrata e finalizzata allo sviluppo di grandi città leader nella knowledge production e, quindi, destinate ad accogliere le potenzialità di crescita dei network globali.

Nella moderna economia, l’urbanizzazione tende a rafforzarsi e a concentrarsi. Da una recente ricerca del McKynsey Global Institute (Dobbs et al., 2011) sul ruolo delle città nell’economia globale nel 2025 emerge che nel 2007 le 600 città più grandi concentravano 1,5 miliardi di persone (22% della popolazione globale, e 60% del GDP globale). Nel 2025, l’urbanizzazione delle prime 600 megalopoli aumenterà ancora, per giungere a 2 miliardi di abitanti (25% della popolazione mondiale). Inoltre, molte delle odierne grandi città dei Paesi sviluppati non rientreranno più, per ricchezza prodotta, nelle Top 25, ma saranno superate da centri urbani del Sud-Est e del Sud del Mondo, in paesi attualmente definiti emergenti o in via di sviluppo, (Cina, India e America Latina). In particolare, alcune delle attuali maggiori città europee (Milano, Francoforte, Bruxelles e Madrid) usciranno dalle Top 25 a livello globale.

Le nuove grandi città, metropoli di vaste dimensioni e già molto attive nello scenario economico globale e fortemente supportate dagli Stati-Nazione di cui sono espressione vitale, sembrano quindi assumere un ruolo trainante nella crescita socio-economica delle nazioni proprio perché si configurano come ‘global city’ di rango superiore, in quanto propongono la loro crescita (di territorio e di popolazione residente e gravitante) in una dimensione di knowledge production, ovvero ipotizzando il primato di collettività specificamente orientate a produzioni intangibili ed a consumi con prevalenti caratteri dematerializzati.

Le ‘global city’ divengono così il luogo aggregatore da un lato, di imprese e attività aziendali knowledge-based, e dall’altro di popolazioni che richiedono consumi con sofisticati livelli di immaterialità. Le grandi aree metropolitane di economia de-materializzata assumono così il duplice ruolo di knowledge hub dove si concentrano le attività di creazione della conoscenza e di consumer hub in cui si stabiliscono imprese che offrono beni diretti a soddisfare consumi con elevati contenuti immateriali.

Rispetto agli Stati-Nazione, le grandi città assumono un ruolo determinante nella economia globale, che riflette l’importanza dei mega centri urbani quali nuclei di innovazione e di sviluppo dell’economia della conoscenza e dell’immaterialità dei consumi. Le sfide lanciate dalle nuove grandi città si concretizzano quindi in un contesto urbano impegnato a soddisfare le esigenze dell’economia della conoscenza espresse dai grandi network globali, che in particolare si focalizzano su una domanda di consumi ad alta caratterizzazione immateriale.

Più in generale, il posizionamento competitivo delle ‘global city’, leva strategica di qualificazione delle città, si determina in rapporto ai diversi livelli di knowledge production che la governance delle singole metropoli è capace di attivare.

1)             Un primo modello di sviluppo delle città può individuarsi nelle condizioni di no-knowledge production, cioè di sostanziale rinuncia alla politica di insediamento di grandi network globali, nel passaggio dalle tradizionali realtà industriali tangible-based ad industrie con predominio di intangibili. È il caso di molte città europee (come Manchester e Sheffield) e in tal senso il caso italiano pare addirittura emblematico, fino a rappresentare un modello di non-sviluppo, definibile di ‘città a deriva immobiliare’.

In effetti, il declino della competitività internazionale delle imprese italiane ha avuto inizio con i primi anni ’70. Con l’adesione dell’Italia all’euro, anche le produzioni ‘Made in Italy’ hanno cessato di essere vincenti, essendo ormai impossibile pilotare la competitività dell’export con ricorrenti svalutazioni della lira. Negli ultimi anni, infine, i mercati globali stanno imponendo una forte ‘selezione vitale’ delle imprese marginali (senza marketing vision e con organizzazioni protoindustriali).

Così, per la debole proposta politica e la scarsa assistenza alle imprese, in Italia la politica industriale ha cessato di trainare lo sviluppo del Paese. Venuta meno la pianificazione e la programmazione per le grandi imprese industriali, anche le PMI incontrano enormi difficoltà di crescita e lo sviluppo industriale finalizzato del Paese ha lasciato il campo alla delocalizzazione degli impianti e alla destinazione immobiliare (residenziale o commerciale) delle aree dismesse, con aspettative di facili guadagni legate ad una ‘deriva immobiliare’.

2)             Agli agglomerati urbani di tipo no-knowledge production si contrappongono le città con modelli di sviluppo basati su livelli di knowledge production differenziati. In particolare, una condizione di low- knowledge production individua un modello di sviluppo riferibile ad una ‘città villaggio globale’, che oggi pare ben configurarsi al profilo di sviluppo di Milano, delineando la primaria causa del declino della metropoli lombarda nel futuro scenario di competitività globale (studio McKinsey Global).

In realtà, anche per la governance delle città, i mercati globali determinano nuovi confini di intervento sociale ed economico, con una profonda modificazione dei rapporti temporali e spaziali di relazione e di interazione che specificatamente evidenziano, da un lato il tempo come fattore competitivo (time-based competition) e dall’altro l’abbandono di domini chiusi, coincidenti con particolari contesti fisici o amministrativi (un paese, una regione, un’area geografica, ecc.) (market-space competition); di conseguenza appare fallace ricercare la efficacia e l’efficienza di risoluzione dei problemi di una grande città come Milano nella conquista di spazi fisici semplicemente più vasti (aree metropolitane), ma piuttosto si manifesta la necessità di definire nuovi contesti di consenso basati sulla conoscenza e sulla capacità progettuale.

3)             Infine, il modello di sviluppo della ‘city world’ (high-knowledge production) ipotizza una knowledge production strutturale e di elevato livello, che caratterizza l’identità della città stessa, ovvero le caratteristiche di lavoro offerte dal sistema delle imprese presenti e dalle caratteristiche dei consumi richiesti dagli abitanti (residenti e gravitanti).

I nuovi modelli di sviluppo delle città che polarizzano le imprese globali e focalizzate sulla knowledge production presuppongono un nuovo equilibrio tra abitazioni, aree verdi, strutture commerciali e insediamenti post-industriali, laboratori di ricerca; ed altresì richiedono un forte presidio dei luoghi preposti alla cultura, all’entertainment e alla socialità, favorendo la domanda di consumi immateriali avanzati a prezzi decrescenti. In altri termini siti caratterizzati da: autonomia e forte integrazione nel territorio dove l’economia immateriale di consumo legata alla produzione delle conoscenze si integra con l’innovazione e un terziario commerciale avanzato, come pare possa qualificarsi il progetto di Renzo Piano della ‘città infinita’ di Sesto San Giovanni, contrassegnata da confini fisici labili e fortemente orientata ad una market-space competition di network globali.

Le grandi imprese connotate da una forte knowledge production si orientano infatti a localizzarsi in aree metropolitane che –analogamente ai tradizionali sistemi di produzione industriale– sono in grado di agevolare la creazione e la diffusione di conoscenze.

In effetti, il ruolo delle ‘city world’ come consumer hub è indissolubilmente connesso a quello di knowledge productioncity, dal momento che nelle ‘city world’ sono presenti i high-knowledge worker, fattore produttivo chiave dell’economia dematerializzata e fascia superiore della domanda di consumi immateriali, per il loro elevato livello culturale e maggior reddito disponibile; inoltre, il consumer hub delle ‘city world’ è sostenuto dalla presenza dei low-knowledge worker, cioè lavoratori occupati nella manifattura e nei servizi a basso contenuto di conoscenza, e dei no-knowledge worker, cioè addetti a produzioni e servizi di base, i cui consumi concorrono comunque a garantire un’articolata offerta di beni. Il ruolo di knowledge production-hub delle ‘city world’ e la percezione di migliore qualità della vita associata a queste città globali costituiscono pertanto un catalizzatore ed un acceleratore dei consumi immateriali offerti dalle metropoli stesse, contribuendo anche per questa via a renderle maggiormente attrattive, e quindi più competitive, rispetto ad altre città. In effetti, le strutture di sviluppo dei consumi, come i centri commerciali fisici e virtuali, nelle grandi città globali divengono luogo centrale dei consumi immateriali ed improntano il livello dei consumi, scegliendo combinazioni di fattori immateriali da offrire secondo un meccanismo di relazione che informa e forma il mercato per l’acquisizione di capacità e bisogni che evolvono e si sviluppano grazie alla presenza di offerte competitive. Sono quindi sempre più le offerte delle imprese ad indirizzare l’immaterialità dei consumi e ad improntare il tipo di sviluppo che una città può perseguire, secondo un principio per cui non esiste limite allo sviluppo della componente immateriale dei consumi, soprattutto nel sistema di azione e reazione competitiva che si genera tra imprese nei contesti ad alta intensità commerciale, quali sono le grandi città. Ecco quindi gli effetti di lungo periodo che la componente immateriale di offerta è in grado di generare, alimentando consumi immateriali che evolvono e crescono grazie alla presenza di alternative che formano l’humus per lo sviluppo delle grandi città e dei consumi che in esse possono essere realizzati.

Silvio M. BRONDONI, Margherita CORNIANI

ISTEI, Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Bibliografia

Dobbs R., Smit S., Remes J., Manyika J.,  Roxburgh C., Restrepo A. (2011), Urban World: Mapping the Economic Power of Cities. McKinsey Global Institute, marzo. 1-47.


Condividi questo contenuto
 
 
 
 
 
 
 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *