Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Sviluppo locale e responsabilità sociale nella Chiesa Cattolica: un caso di studio

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di: Paolo Gheda e Elisa Pintus

EyesReg, Vol.2, N.4 – Luglio 2012.

La prima decade del terzo millennio si è aperta con un dibattito di ampio respiro sulla sostenibilità delle scelte economiche, politiche e sociali e sul loro impatto sulla società nel suo complesso. Una delle chiavi di lettura per superare l’attuale impasse secondo molti studiosi e operatori è data dalla volontà di riflettere su paradigmi e modelli d’azione connessi alla Responsabilità Sociale (RS). In particolare, la sfida futura sarà quella legata alla capacità di fare scelte sostenibili nel lungo periodo e di regolare il comportamento degli attori economici sociali e politici affinché vi sia maturazione condivisa di tali scelte. A tal proposito, un caso non privo di esemplarità è costituito dalle operatività nel sociale della Chiesa Cattolica, che storicamente si è conformata secondo direttrici, sebbene in parte irriflesse, proprie della RS, anticipando e ispirando le regole del non profit, facendo inoltre riferimento e valorizzando le risorse specifiche dei distretti regionali in cui ha operato.

I modelli di Public Governance e la teoria della responsabilità sociale

La gestione delle istituzioni pubbliche in Italia è ascrivibile ai modelli con una relazione specifica fra i processi di riforma intrinsecamente collegati alla natura istituzionale delle pubbliche amministrazioni (i modelli burocratici) e quelli che si ispirano ai comportamenti manageriali di stampo privatistico New Public Management (NPM). Si può evidenziare, in termini di azione di riforma del legislatore in Italia, che la Pubblica Amministrazione necessita non solo di un’azione di enforcement verso l’utilizzazione di strumentazioni, tecniche, approcci di management, ma anche di un riconoscimento del ruolo degli attori deputati allo sviluppo dell’azione pubblica, di tutti gli attori sia politici che organizzativi che sociali.

Il dibattito scientifico verte oggi sul riconoscimento della centralità del paradigma della Public Governance (PG) rispetto agli approcci di tipo NPM e Government (l’esercizio del potere decisionale derivante dal sistema istituzionale formale). Si configura quasi autonomamente ‘emblematicamente’ un approccio che affida alle istituzioni pubbliche il ruolo di regia dello sviluppo economico e sociale in virtù del sistema di relazioni che si definiscono (in modo temporaneo o stabile) tra i diversi attori del contesto locale quali enti pubblici, privati profit e non profit e cittadini e volto alla creazione partecipata di valore pubblico.

In siffatto quadro, la teoria della Responsabilità Sociale si innesta come condizione fondamentale per la determinazione di politiche pubbliche capaci di creare valore. Politiche pubbliche come scelte che si dettagliano in un insieme articolato di piani, obiettivi, azioni che, a loro volta, deve essere valorizzato in termini di output e outcome. Perché tali scelte siano coerenti in termini di relazione fra pianificazione (piani, obiettivi, azioni) e effetti immediati e di lungo periodo (output e outcome) non si può prescindere dall’attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità.

La sostenibilità deve tener conto della ‘condivisione’ delle scelte fra il più ampio spettro di portatori di interesse sia nella parte dell’attività connessa alla pianificazione che nell’effettuazione dei risultati.

La responsabilità deve tener conto della contribuzione specifica dei portatori d’interesse alla determinazione delle azioni e alla misurazione degli output e degli outcome.

La Responsabilità Sociale nell’azione dei policy maker deve essere intesa come capacità di ‘ascoltare’ concretamente e di creare sinergie partecipative con la pluralità di attori, di promuovere i valori fondanti la società, di pensare a uno sviluppo sociale ed economico sostenibile per le generazioni future e di seminare via via la legittimazione all’agire e il consenso collettivo in modo consapevole, in virtù di una valutazione degli effetti delle scelte nel breve, medio, lungo termine.

La Public Governance come tensione verso la RS accelera lo sviluppo di forme di “democrazia” partecipativa in cui la tensione è verso azioni di co-decisione, di convergenza di azioni, di compartecipazione, ma anche di corresponsabilizzazione. Insomma, è possibile prefigurare un’evoluzione verso uno stakeholder model della determinazione delle scelte pubbliche.

Esse dipendono, prioritariamente, dal riconoscimento del ruolo dei portatori d’interesse (Pintus, 2011):
• Elevata attenzione al grado di calibratura dei servizi finali verso i fruitori;
• Pressione sui livelli di accountability necessari da parte delle pubbliche amministrazioni;
• Volontà di determinare forme di disclosure riguardo a processi decisionali e analisi delle priorità strategiche della PA;
• Richiesta di coinvolgimento nella presa delle decisioni e nella loro implementazione;
• Capacità di sviluppo di azione di auditing interno alle pubbliche amministrazioni ed esterno ad esse con conseguente capacità di influenzare le decisioni di attori politici e organizzativi delle stesse.

La Chiesa cattolica e l’attività economica

Storicamente, l’attività economica, espressione propria dell’impresa, è stata inquadrata dal mondo cattolico prevalentemente in un’ottica sociale. La responsabilità, come espressione di eticità, ha sollecitato l’imprenditore credente a inserire la propria attività e i suoi risultati nel contesto del territorio, considerandola come elemento concorrente alla promozione del bene comune. Il documento chiave della Chiesa sulle questioni sociali, la Rerum Novarum di Leone XIII (1891), ha sottolineato come la logica competitiva ed egoistica propria del liberismo debba essere contemperata dalla disponibilità a rendere le proprie attività produttive in grado di realizzare interventi in favore della società, specialmente nelle sue maggiori urgenze, procedendo dal contesto regionale in cui si trovano ad operare.

Si è così affermata nella Chiesa l’idea che l’impresa non sia semplicemente l’esplicazione dei valori e dell’interesse del singolo, ma produca un bene comune, secondo un’attività inquadrabile nei termini dottrinali della RS. In ambito privato, la sensibilità cristiana ha così ispirato la tendenza di molti imprenditori, anticipando alcuni dettami che il Concilio Ecumenico Vaticano II avrebbe poi formalizzato negli anni Sessanta. Sotto il profilo della riflessione teorica, il pensiero sociale cattolico si è soffermato in varie occasioni sul tema della responsabilità dell’imprenditore, sottolineando, in particolare, il valore della dimensione soggettiva del lavoro (come espressione della persona), che deve prevalere su quella oggettiva (come complesso di attività): il ‘carisma’ dell’imprenditore e del dirigente cristiano si sarebbe manifestato, in generale, nello spirito di servizio, nella sensibilità umana, nel coinvolgimento e nella motivazione delle persone.

Oltre al magistero sociale, finalizzato soprattutto a stimolare attori esterni, la Chiesa è stata ed è a sua volta protagonista come attore istituzionale diretto della RS. Quale è stato ed è attualmente il ruolo del mondo cattolico nel quadro delle organizzazioni coinvolte nella RS come imprese, AAPP, in generale i portatori d’interesse? Quali i soggetti ecclesiali e i loro comportamenti? Esistono organizzazioni di carattere istituzionale come la Caritas, gli uffici di curia destinati al sociale, i consultori cattolici, gli uffici pastorali della Conferenza episcopale italiana. Altre organizzazioni non diocesane assai significative sono espressione del non profit collegato alle attività degli istituti di vita consacrata, in particolare nella forma di vita attiva affermatasi tra Otto e Novecento.

Il caso della Compagnia del Sacro Cuore

Un caso di studio assai interessante sul piano regionale e ancora interamente da studiare è costituito in Sardegna dalla Compagnia del Sacro Cuore che a partire dagli anni Venti del Novecento ha interpretato in modo originale il rapporto tra vita consacrata, impegno produttivo nell’ambito del non profit e RS intesa soprattutto come strategia di assistenza alle emergenze. Oggi essa conta diverse strutture operanti nel centro-sud dell’Isola (prevalentemente nell’Oristanese e nel Cagliaritano), che spesso integrano le varie attività produttive con quelle assistenziali, oltre a costituire in due casi (Putzu Idu e Villasimius) anche luoghi di accoglienza per colonie marine.

Sorta in Cagliari nel 1925 per iniziativa dei laici Evaristo Madeddu e Beniamina Piredda, la Compagnia – un istituto religioso con ramo maschile e femminile di carattere secolare, popolarmente noti come ‘Evaristiani’ ed ‘Evaristiane’ – ha da sempre interagito con il contesto regionale rispondendo in modo specifico alle sue diverse esigenze sociali, con il dare vita a strutture e attività in ambito assistenziale (la cura di orfani e anziani), educativo (dalla scuola dell’infanzia alla primaria e secondaria sino al supporto degli studenti universitari), specializzandosi in particolare nell’assistenza dei disabili mentali e funzionali attraverso metodologie e sensibilità pure anticipanti le raffinate strategie di intervento contemporanee (Gheda e Bobbio, 2008).

Sviluppatasi sin dalla fondazione intorno ad un core operativo di ispirazione aziendalistica, volto ad enfatizzare lo spirito di autosufficienza della comunità e dei singoli membri, la Compagnia ha adottato, invertendone i termini, il motto benedettino del “labora et ora”, rinunciando esplicitamente al sostegno della carità per fondare la propria sussistenza e capacità di intervento sul lavoro degli aderenti: esso si è sviluppato in chiave sostenibile specialmente in ambito agricolo, traendo ispirazione dalla tradizionale cultura della solidarietà contadina. Specializzati nelle colture viti-vinicole, gli Evaristiani hanno sviluppato una vasta produzione di vini Doc e Igt – per varietà una delle più significative nel panorama religioso – scommettendo, in chiave sostenibile, sul biologico come processo di lavorazione a basso impatto ambientale. La scelta di valorizzare nella fase della produzione e in quella della commercializzazione l’impegno dei disabili ospiti delle proprie strutture assistenziali, di ideare e realizzare anche con proprio personale progetti di fattoria didattica rivolti alle scuole pubbliche del territorio, di rivalutare aree di coltivazioni in precedenza depresse e, in alcuni casi, addirittura di valorizzare beni culturali di significato storico – archeologico rinvenuti nelle proprie proprietà, fanno della Compagnia del Sacro Cuore un caso di studio di indubbio interesse nel quadro storico e attuale degli intrecci tra Chiesa e RS (Gheda, 2011).

Nuovi modelli per lo sviluppo locale

Il caso della Compagnia del Sacro Cuore si inserisce nella direzione tratteggiata in questa sede. Essa può venire intesa quale espressione della Chiesa nel quadro di un modello di Public Governance che riorienta logiche ispirate al welfare statale in chiave locale. Si tratta di scelte che valorizzano modelli di coinvolgimento dei portatori d’interesse, come parte della società, secondo approcci di sostenibilità delle scelte e di responsabilità.

In questo caso, il modello istituzionale sostenibile, la regia istituzionale pubblica ‘lavora’ su più livelli:
• Nazionale che orienta le scelte di sviluppo locale legate all’adesione da parte della Compagnia alla normativa vigente;
• Regionale che determina il framework di regolazione del comportamento delle imprese non profit;
• Aziendale che è caratterizzato da una puntuale specificazione delle norme di comportamento dell’Opera che aderisce alla normativa vigente.

Tale ‘segmentazione’ istituzionale è un ‘seme’ del framework giuridico auspicato. A parere di chi scrive i modelli di Public Governance dovrebbero ispirarsi alla relazione fra modelli di decentramento istituzionale e principi di sussidiarietà secondo una logica di rete collaborativa fra una pluralità di livelli di governo e istituzioni. In questo caso osservato possiamo trovarne tracce anche nell’intuizione della necessaria relazione fra decentralizzazione ascendente e sussidiarietà secondo l’equità individuale creando cioè una capacità adattiva a livello locale (Dafflon e Madies, 2012). L’Opera nel 2012 ottiene dal livello di governo sovranazionale – EU – la conferma di quanto anticipato da anni nella strategia di prodotto. Infatti, l’Unione Europea nel 2012 ha regolamentato la produzione del vino biologico.

La creazione di valore della Società è oggi sempre più legata al benessere – valorizzato in termini non solo direttamente di puro profitto economico – frutto di valutazioni nel tempo, anche medio – lungo delle scelte effettuate consento così di promuovere un nuovo modello economico sostenibile (Caselli, 2011).

Il caso di specie è significativo nella dimostrazione che, puntando sin dalla regolazione istituzionale sull’autosufficienza economica, si possano creare filiere di sviluppo locale concatenate: l’impresa vinicola fondata sul motto benedettino riadattato “labora et ora” che trae la sua forza dalla terra, la ‘scommessa’ premonitrice di puntare su prodotti biologici (la cui tracciabilità è verificabile senza filtri all’accesso via internet), il lavoro affidato a lavoratori diversamente abili che aiutano e sono aiutati, la pervasiva citazione del fondatore dell’Opera (nei nomi dei vini, per esempio) che funziona da strumento di marketing per un passa parola incisivo, nella registrazione del nome dei vini (attenzione al brand).

Le filiere di sviluppo sostenibile, in alcuni casi valutabili in termini di valore economico per l’azienda, per il sistema locale, per la ricchezza regionale, solo dopo tempi medio-lunghi, sono lo scenario di riferimento per la relazione fra modello istituzionale e modello economico sostenibile.

Il modello sociale sostenibile è generalmente riscontrabile nella capacità dell’organizzazione non profit di “raccogliere” l’humus identitario locale. Il case study della Compagnia del Sacro Cuore qui presentato, emblematicamente, mette in connessione l’originalità delle specificità religiose con le tradizioni locali frutto del patrimonio identitario proprio della Sardegna.

La rilevazione dei tratti distintivi di una micro comunità, l’Opera (terreno e vitigni, persone disabili, storia di sussidiarietà dei componenti, ecc.), e la loro esaltazione ai fini dello sviluppo di un’intrapresa sono il fil rouge che ‘mette in rete’ il valore sociale dell’operazione economica con la storia millenaria identitaria di una regione che ha saputo antropologicamente ‘trattenere’ il suo valore. Questa messa in rete locale si sposa con la tendenza globale alla sostenibilità sociale delle scelte economiche e istituzionali ormai riconosciuta come necessaria. Questa messa in rete dello sviluppo locale è quindi anche un auspicio per un futuro più sostenibile e responsabile.

Paolo Gheda ed Elisa Pintus, Università della Valle d’Aosta

Bibliografia

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Dafflon B. e Madies T. (2012), Decentramento – Alcuni principi tratti dalla teoria del federalismo finanziario, Soveria Mannelli, Rubbettino.

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