Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Le città del presente, le città del futuro: la società

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di: Arnaldo Bagnasco

EyesReg, Vol.2, N.2 – Marzo 2012.

Con che società hanno, avranno a che fare le città? Quale sarà, per così dire, la materia prima sociale delle città? Dopo una prima parte su questa domanda, aggiungerò qualcosa sul ruolo centrale delle città nella strutturazione e per gli equilibri della società, che diventano ancora più evidenti in epoca di crisi, e spero con questo di rimandare la palla ad altri che interverranno. Mi limiterò ovviamente a poche indicazioni, che indicano solo una prospettiva da cui osservare le cose.

I primi anni Ottanta hanno segnato un momento di passaggio dagli assetti sociali dell’età del capitalismo organizzato a quelli incerti dell’età della deregolazione. Nei primi tre, quattro decenni dopo la guerra in tutti i paesi avanzati si era verificato un tropismo verso il centro della scala sociale (in termini di reddito, sicurezza, condizioni di vita, istruzione, ecc.). Per far fronte a difficoltà diverse dell’economia, la ricetta della deregolazione ha rimesso in moto la crescita, ma anche ha smontato una vecchia società, con poche o nessuna idea su come rimontarne una in grado di funzionare. Vale l’osservazione sintetica di Dahrendorf: provisions (beni, ricchezza) e entitlements (opportunità riconosciuta di accedervi) non vanno più insieme. In una sua versione successiva: sembra che sviluppo economico, coesione sociale, qualità democratica non riescano più a crescere insieme. In effetti, come conseguenza sintetica verificabile,  è aumentata la disuguaglianza sociale. La successiva crisi finanziaria ha fatto il resto, e anche l’economia è entrata in difficoltà, con ulteriori effetti sulla coesione.

Si possono esprimere sinteticamente queste tendenze di nuova stratificazione? Un’immagine è quella della polarizzazione sociale: “cittadini per difetto” e “cittadini per eccesso”, i primi in grado di muoversi nelle nuove condizioni e di profittarne, i secondi intrappolati in percorsi di vita impoveriti nei diritti e instabili nelle condizioni di lavoro  (così Robert Castel). Le  tendenze di polarizzazione agiscono nel profondo, ma per descrivere la condizione di oggi proporrei piuttosto l’immagine della divaricazione sociale, per indicare che in realtà (e in Italia in particolare), la maggior parte della popolazione – che al culmine della fase precedente si considerava da noi di ceto medio per il 60% – si trova fra quelle due condizioni, e che si è piuttosto verificato un allungamento della stratificazione nel mezzo della scala. Dobbiamo conoscere meglio le figure ai margini  e i loro problemi, ma anche bene la varietà di condizioni, di risorse, di opportunità di chi si trova nel mezzo: la diversità delle occupazioni e delle condizioni di vita aumenta, non diminuisce, e non può dunque essere chiusa in schemi che semplificano troppo. François Dubet, per esempio, ha attirato l’attenzione anche sulle “disuguaglianze multiple”: in gioco non c’è solo una dimensione di status, come essere donna, giovane, immigrato, e così via, ma ci sono combinazioni: essere donna e quadro di una azienda, giovane e studente in una buona o in una cattiva università, precario, ma con un lavoro creativo. Nonostante ciò, non è comunque corretta un’immagine di società sfatta, nella quale differenziazione e individualizzazione hanno tagliato alla radice le possibilità di aggregazione e di reazioni organizzate alle difficoltà.

I problemi che derivano da queste tendenze si scaricano direttamente sulle città. Ma importante è il possibile ruolo che queste  possono giocare. Anche a tale riguardo non posso che suggerire una prospettiva dalla quale guardare le cose.

L’Europa non è il continente più urbanizzato, ma non esiste nessuna altra parte al mondo in cui la città inquadri il territorio con una tale onnipresenza. Storicamente la loro importanza come pivot politico e economico è stata decisiva; per l’Italia ce lo ha spiegato Cattaneo, ma vale in genere per l’Europa. La loro importanza è stata molto sottovalutata nell’interpretazione della  costruzione e della gestione del modello Europeo di equilibrio fra sviluppo e coesione sociale. Vale naturalmente anche il contrario: il peso per la modernizzazione complessiva  è stato rilevantissimo per i paesi che hanno poco investito sulle città; fra questi certamente l’Italia. Oggi le città sono tornate all’attenzione politica, ma spesso un in clima di scaricabarile, piuttosto che  di vero riconoscimento del loro ruolo essenziale di pivot economico e politico dell’intero sistema.

Bisogna invece prendere sul serio l’idea della città come attore economico e politico relativamente unitario. A questo riguardo è stata, e continua a essere  importante, fra alti e bassi, l’esperienza della pianificazione strategica, questa forma di pianificazione soft

che non trasferisce poteri, e fa crescere capitale sociale locale. Ricordiamone qualche carattere:

  • costruire un’immagine per quanto possibile condivisa della città e delle sue priorità, possibilità, problemi (le sue metodiche valgono anche per il welfare locale)
  • messa in rete di istituzioni pubbliche e private, con procedure relative capaci di orientare a scelte condivise che si integrano sul più lungo periodo.
  • favorire in questo modo la discussione e abituare all’argomentazione pubblica delle diverse posizioni (pedagogia democratica)
  • Capacità di affrontare il problema decisivo: come convincere attori che possono spostarsi a giochi cooperativi di lungo periodo?

La pianificazione strategica richiede una forte leadership politica, ma aiuta la politica a fare il suo mestiere.

E’ evidente in questi processi il ruolo dei ricercatori sociali di varia specializzazione, chiamati a collaborare al design istituzionale. Ciò richiede in sostanza di addestrarli a essere architetti  in grado di contribuire  appunto al disegno delle istituzioni sociali.

Arnaldo Bagnasco, Università di Torino

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1 Comment

  • francesco

    Il concetto di città dovrebbe essere ridisegnato: la città è un luogo dove le persone vivono, lavorano e dormono. Da cellule scollegate a entità in coallegamento . Un paragone con le antiche città greche: la vita , politica, produttiva, religiosa, democratica avveniva all’Interno delle polis, ora tutto ciò è su un circuito televisivo o mediatico all’interno di reti non fisiche tra le città di ogni paese. Siamo soli ma allo stesso tempo collegati tra città . Quello accade in una metropoli influenza un circuito mediatico che coinvolgerà le city del mondo. Il loro ruolo è attivo e gli individui sono parte di una cellula attivata.
    Saluti Francesco

 
 

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