Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Conflitto, disaccordo democratico e dinamiche territoriali

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di: André Torre

EyesReg, Vol.2, N. 1 – Gennaio 2012.

Spesso presentati come socialmente nocivi ed economicamente costosi, assimilati a comportamenti egoisti di tipo Nimby[1], i conflitti di utilizzo del territorio sono assunti come un’oscenità , ciò che induce a ricercare la loro spiegazione o la loro eliminazione, opponendoli ai processi di negoziazione. A partire dai risultati su una dozzina di “aree campioni”, è possibile mostrare che i conflitti giocano ancora un ruolo chiave/essenziale nei processi di amministrazione dei territori, contribuendo alle dinamiche territoriali e all’espressione democratica delle opposizioni.

Negli ultimi anni si evidenzia un aumento della contestazione delle scelte di pianificazione e della conflittualità circa gli utilizzi dello spazio, nonostante la moltiplicazione degli strumenti di concertazione e delle precauzioni prese dal legislatore in materia di pianificazione (studi d’impatto, inchiesta pubblica, dibattito pubblico…). Ne sono esempio l’aumento del numero dei ricorsi presso i tribunali amministrativi in materia di urbanistica e pianificazione (Barre e al. 2006), il duplicarsi delle associazioni di difesa dell’ambiente o dello stile di vita (Lecourt e Faburel 2008) e le opposizioni divulgate dai media come la stampa quotidiana (Darly 2009). C’è anche la sensazione che sia diventato difficile realizzare i progetti di infrastrutture o di interesse pubblico, o portare a termine la costruzione di grandi opere di pubblica utilità come aeroporti o impianti di trattamento dei rifiuti. Ciò nonostante, i conflitti sono principalmente espressioni di rivendicazioni legittime e di opposizioni democratiche a dei progetti di pianificazione che non godono di un consenso unanime (Torre e Traversac, 2011).

I conflitti nell’utilizzo del territorio

Gli studi condotti in una dozzina di “aree campioni” del territorio francese[2], dimostrano che i conflitti di utilizzo del territorio presentano delle forti regolarità. Il primo e il più importante oggetto di conflitto concerne il dominio fondiario e lo sviluppo residenziale, che si tratti di questioni dell’occupazione del suolo e di concorrenza fondiaria, di edificabilità con i permessi di costruire o di definizione e constatazione di zonizzazione come i PLU (Plans Locaux d’Urbanisme) le SCOT (Schémas de Cohérence Territoriale), in particolare nelle zone extraurbane e litorali (Kirat e Torre, 2008). Seguono le contestazioni attorno alle costruzioni di infrastrutture private, come le fabbriche, gli edifici industriali e commerciali, o pubblici con le infrastrutture del trasporto, dell’energia e della gestione dei rifiuti. Quindi i conflitti legati alla percezione di fastidi e rischi diversi (inquinamento, problemi olfattivi o acustici, …) dovuti ad attività produttive inquinanti e, nei territori rurali, i conflitti legati alle attività di caccia e alla biodiversità, con le contestazioni delle operazioni, la gestione della popolazione animale selvatica e la coabitazione con il turismo e l’utilizzo residenziale. Infine, la problematica dell’acqua (riviere, litorali, acquifere) occupa un ruolo crescente: come risorsa rara, è importante per le attività produttive, residenziali o ricreative, ma allo stesso tempo si tratta di una fonte di rischi, come le inondazioni o le alluvioni.

L’espansione urbana e l’influenza delle agglomerazioni svolgono un ruolo essenziale in questi processi, intorno alle città o sulle fasce costiere, e conducono alla creazione di due grandi categorie di conflitti di occupazione dei suoli:
– i primi rilevano dell’estensione urbana e sollevano la questione delle caratteristiche di un habitat più o meno denso;
– i secondi sono legati alla disposizione delle infrastrutture per la città (infrastrutture di trasporto, di produzione di energia o di stoccaggio dei rifiuti), che si trovano localizzati sul fronte di urbanizzazione o dentro le zone extra urbane più lontane.

I conflitti sono degli indicatori di innovazione territoriale

Presi in esame sia gli attori della società civile (che raggruppano i residenti e gli operatori sociali), pubblici (Stato e collettività locali) e privati (imprese), i conflitti di utilizzo del territorio nascono, nella loro diversità, molto lontano dal solo fenomeno Nimby. Segnano delle opposizioni multiple, dalle quali non è esclusa la dimensione strategica, ma che rivelano innanzitutto le modificazioni e i cambiamenti che si verificano nei territori. Ogni cambiamento, ogni innovazione, provoca opposizioni o resistenze, più o meno fondate o pertinenti. Queste opposizioni possono trasformarsi in conflitti, che si tratti di progetti di costruzione di un nuovo aeroporto o di un impianto di trattamento dei rifiuti come del tentativo di occupazione di un vicino su una servitù di passaggio. Evidentemente l’entità dei conflitti è commisurata all’importanza degli obiettivi, così che i piccoli conflitti sono circoscritti a livello locale a poche persone, mentre i conflitti legati alle grandi infrastrutture durano numerosi anni e coinvolgono molteplici attori, non sempre presenti localmente (vedi l’interesse e l’impegno per la difesa di spazi notevoli o i tracciati del TGV).

I conflitti d’uso costituiscono così degli indicatori delle evoluzioni sociali, tecniche ed economiche, dei rivelatori di novità e delle innovazioni sul territorio. Testimoniano delle opposizioni che trovano questi ultimi, delle negoziazioni attorno alla loro messa in opera, della loro accettazione o del loro eventuale rifiuto, così come delle discussioni che le accompagnano. Ma sono ugualmente dei fattori di innovazione. Infatti, durante le fasi del conflitto, certe volte lunghe, si assiste a ricomposizioni sociali e a cambiamenti di natura tecnica o giuridica. Nuovi gruppi di interesse appaiono o prendono il potere; gli abitanti lungo il fiume di una fabbrica che inquina i fiumi vogliono far sentire la loro voce ed imporre alcune loro scelte, i nuovi residenti di una zona extraurbana vogliono imporre progressivamente il loro punto di vista per quanto riguarda la costruzione delle infrastrutture di fronte agli abitanti tradizionali. Si introducono dei cambiamenti tecnici (modificazioni delle rotte delle strade, protezioni acustiche, interramento o abbassamento di edifici , modificazioni dei PLU…). Rimangono, dopo il conflitto, i nuovi accordi a livello locale, le nuove modalità di amministrazione, le nuove configurazioni delle tavole rotonde, così come gli atti tecnici che risultano dai negoziati precedenti. I conflitti sono anche momenti di innovazione e di creatività, che emergono contemporaneamente ad evoluzioni territoriali o che sono alla loro origine.

Costruire i territori mediante tentativi ed errori

Contrariamente all’idea secondo la quale i conflitti costituiscono il termine ultimo di un lungo processo di degradazioni delle relazioni, molti anticipano l’azione e avvengono prima del suo avvio. Il caso più eclatante è quello dei ricorsi ai tribunali depositati in seguito alle dichiarazioni o alle inchieste di pubblica utilità. In questo caso gli attori locali (sovente le associazioni) preferiscono anticipare e far emergere il problema davanti alla giustizia o ai media ancor prima dell’inizio della costruzione e delle operazioni di produzione.

Questa attitudine deriva dall’apprendimento progressivo, da parte delle popolazioni locali, dei meccanismi di concertazione, così come dalla difficoltà a far demolire opere già edificate. Dimostra come i conflitti disegnino un processo di prove e di errori nella costruzione del territorio e nelle dinamiche di sviluppo territoriale. Essi costituiscono, in effetti, altrettanti test sulla qualità e la ricezione delle decisioni di assetto del territorio, che ricevono una conferma o un rifiuto a grandezza naturale. La decisione di espandere nuove aree industriali e commerciali nel PLU è oggetto di un conflitto la cui nascita diventa determinante per l’orientamento futuro della crescita di una agglomerazione: piuttosto industriale o residenziale? Troviamo un’idea cara a Sen (1987), quella è di correggere le mancanze della democrazia e della presa di decisioni imperfette per le reazioni delle popolazioni, che integrano questi elementi nelle loro informazioni di base. Gli atti conflittuali danno così vita ad un processo di apprendimento territoriale, nel quale si gioca un doppio movimento: durante i conflitti gli agenti imparano gli uni dagli altri, ed ogni conflitto rivela il giusto o i limiti delle decisioni prese dagli attori pubblici o privati, ai quali offre un’arena di reazione; dopo ogni conflitto si può correggere il tiro. Questo processo di prove e di errori costruisce i sentieri di sviluppo, per esempio confermando o rifiutando la messa in opera di nuove infrastrutture o decidendo modi di occupazione dei suoli.

Conflitti e democrazia locale: discussione

Una buona parte dei conflitti, in particolare quelli legati alle infrastrutture o alle contestazioni dell’uso del territorio, costituiscono delle piattaforme di discussione per le categorie di attori trascurati o dimenticati nelle procedure amministrative o negli arbitrati. Si può considerare, secondo Hirschman (1970), che quando una parte della popolazione giudica una decisioni o un’azione contraria alle sue aspettative, ai suoi interessi, o ai suoi progetti, essa dispone di tre soluzioni:
– La lealtà (loyalty), che consiste nell’accettare la decisione presa e a “giocare il gioco” in silenzio;
– L’exit, che consiste nell’abbandonare il terreno (ad esempio delocalizzarsi o lasciare l’attività esercitata)
– Il discorso (voice), che consiste nell’opporsi, in maniera legale o illegale, alla decisione presa e a contestarla.

L’impegno nel conflitto comporta la discussione. Benché manifesti un disaccordo con i progetti o le azioni in corso o in progettazione, non conduce ad una rottura del dialogo con le parti avverse e non mira alla loro distruzione, contrariamente ai conflitti armati per esempio (Wieviorka, 2005). Si tratta, al contrario, di una opposizione tra persone che condividono un obiettivo di sviluppo o un progetto comune, e cercano di convivere su uno stesso territorio ma divergono per quanto riguarda i mezzi e le tecniche di realizzazione. Per esempio, un disaccordo sull’occupazione di uno spazio per un parco di divertimento o per un parco naturale, o ancora l’opposizione sul tracciato o l’opportunità di una linea del TGV. I conflitti manifestano la possibilità di uno scambio democratico a minima e di una discussione aperta sui mezzi per raggiungere uno sviluppo comune, vedere le finalità stesse di questo sviluppo, ad esempio sostenibile o industriale. Mantengono lo scambio e il dialogo, anche durante le fasi più tese di opposizione.

Conclusioni

Non semplifichiamo i conflitti d’uso, che non sono intrinsecamente né buoni né cattivi. Espressioni di disaccordo e di opposizione sovente legittime, contribuiscono a ridisegnare le preferenze e i punti di vista degli attori, convalidando l’interesse generale strada facendo. Una società nella quale non esistono conflitti è una società ferma, come una dittatura che non lascia spazio alle opposizioni e imbavaglia le differenti forme d’innovazione o di creatività. Al contrario, un eccesso di conflittualità può portare alla ricerca della distruzione degli avversari e all’entropia.

Le dinamiche dei conflitti e delle negoziazioni devono comprendersi, nelle società democratiche, come aspetti rilevanti di uno stesso processo di amministrazione del territorio caratterizzato dall’alternanza di fasi conflittuali e di pacificazione. Fatto di momenti di conflittualità, nelle quali si esprimono le opposizioni e i punti di vista e si stringono le alleanze fondatrici, nondimeno riposa su tappe più consensuali, segnate dalla condivisione di accordi, concessioni e di rinunce mutuali. Questi accordi costituiscono uno dei fermenti della dinamica del territorio, per la loro capacità di generare progetti comuni. Ma sono ugualmente l’espressione di diversi punti di vista e di altre forze sociali, portatori di progetti di sviluppo o di differenti società, che vanno a costituirsi e ad opporsi nel processo conflittuale, in un movimento continuo di rinnovamento delle dinamiche territoriali.

André Torre, INRA, Paris, France

per la traduzione, la redazione ringrazia la collaborazione di Ingrid Bredy

Bibliografia

Barré, M-D., Aubusson de Cavarlay, B., Zimolag, M. 2006. Dynamique du contentieux administratif. Analyse statistique de la demande enregistrée par les tribunaux administratifs, Rapport pour la Mission de recherche Droit et justice, Ministère de la Justice, Paris.

Darly, S. 2009. Faire coexister ville et agriculture au sein des territoires périurbains. Antagonismes localisés et dynamiques régionales de la conflictualité, Thèse de Doctorat, EHESS, Paris, 480p.

Hirschman, A.O. 1970. Exit, Voice and Loyalty, Responses to decline in firms, organizations, and States, Cambridge, Harvard University Press, Cambridge, MA.

Kirat, Th., Torre, A. 2008. Territoires de Conflits. Analyses des mutations de l’occupation de l’espace, L’Harmattan, Paris.

Lecourt, A. et Faburel, G. 2008. « Comprendre la place des territoires et de leurs vécus dans les conflits d’aménagement. Proposition d’un modèle d’analyse pour les grands équipements », in Kirat Th. et Torre A. (eds), Territoires de Conflits – Analyse des mutations de l’espace, L’Harmattan, Paris.

Torre, A., Melot, M., Bossuet, L., Cadoret, A., Caron, A., Darly, S., Jeanneaux, Ph., Kirat, Th., Pham, H.V. 2010. « Comment évaluer et mesurer la conflictualité liée aux usages de l’espace ? Eléments de méthode et de repérage », VertigO – la revue électronique en sciences de l’environnement, Volume 10 Numéro 1, avril, [En ligne], http://vertigo.revues.org/9590.

Torre A., Traversac J.B., 2011, Territorial Governance. Local Development, Rural Areas and Agrofood Systems, Heidelberg & N. York: Springer Verlag.

Sen, A.K. 1987. On Ethics and Economics, Oxford, Blackwell.

Wieviorka, M. 2005. La violence, Hachette Littératures, Paris.

Wolsink, M. 1994. “Entanglement of interest and motives: assumptions behind the Nimby theory on facility siting”, Urban studies, Vol. 31, N.6, pp. 851-867.

Note

[1] Not In My BackYard. Per questo termine, si intende che le persone che si oppongono a un progetto, in particolare pubblico, hanno coscienza dell’interesse collettivo che presentano, ma che, a causa di un comportamento opportunista, rifiutano che quest’ultimo si svolga “nel loro giardino” (Wolsink, 1994).

[2] Bassin de la Charente, Bassin d’Arcachon, CC de Montrevel, Corse, Estuaire de la Seine, Estuaire de la Loire, Chaine des Puys, Ile de France, Littoral Languedocien, Monts d’Ardèche, Pays Voironnais, Réunion.

[3] Il metodo di analisi dei conflitti, costruito sulla condivisione degli indicatori quali l’analisi dei giudizi dei tribunali, lo studio della “Presse Quotidienne Régionale” e degli incontri con gli esperti e i beneficiari locali è descritta in Torre e al., 2010.

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