di: Giovanni Rabino
EyesReg Vol.1, N. 1 – Maggio 2011.
Dato che il tempo passa ed i ricordi si affievoliscono, non mi pare inutile rammentare che con “mission accomplished!” (missione compiuta!) si usa ricordare, ironicamente, il discorso che George W. Bush, presidente USA, fece il 1 maggio 2003 sulla portaerei USS Abraham Lincoln, annunciando la vittoriosa conclusione della missione in Iraq contro Saddam Hussein … e che, come tutti sappiamo, è poi dovuta continuare finora in un contesto di diffusa guerriglia (neanche sopita tuttora).
Orbene, desiderando avviare una riflessione sullo stato di salute di quella corrente di studio, all’interno di quelle che sono[1] le cosiddette “scienze regionali”, quella corrente di studio variamente definita dei modellisti, dei sistemisti, dei “numerettari” (come amabilmente ci chiamava Franco Archibugi, uno dei padri nobili della scienza della pianificazione), nel sostenere la tesi poco ortodossa che “di risultati se ne sono ottenuti, e molti, e se ne stanno sempre più ottenendo”, non ho saputo resistere alla tentazione dell’auto-ironia del titolo (una ironia che, con un poco di pazienza, troverete spiegata nella frase conclusiva del pezzo).
Ma cosa mi induce a questo “pensiero difforme” sulla modellistica? Consacrazioni od altri riconoscimenti ufficiali? No di certo (se no, non sarebbe pensar difforme). Gusto della provocazione? Un pochino, per attizzare il dibattito. Profonde elucubrazioni? Qualche piccolina, forse (ma ne dico nel seguito).
Mi induce, in primo luogo, una serie di “segni”, leggibili confrontando un ora con un allora che si allontana (ahimè) nel tempo.
Ne riporto qualche esempio, a cominciare da queste due figure.
Sono “grosso modo” due mappe di “accessibilità”, la prima alla popolazione residente (1976), la seconda alla popolazione dei telefonini (2011). Ma corrono ben più di trent’anni tra le due; e l’evoluzione della tecnologia si vede tutta, da “bricolage” con la stampante a raffinata immagine “gis”.
Più di ciò, però, conta la differenza tra i “sorrisini” di sufficienza che accolsero quella mia e l’apprezzamento della seconda da parte di un celeberrimo urbanista. E molto si stupirebbero i miei giovani colleghi autori di quest’ultima se si sentissero apostrofare come “numerettari”
Il secondo esempio riguarda il Piano Regionale dei Trasporti della Regione Piemonte, del 1979. In quel piano veniva indicato l’uso di una opportuna metodologia (sostanzialmente, di un modello di trasporto) per la redazione dei piani comprensoriali dei trasporti. Ricordo, essendo coinvolto nella predisposizione del Piano, che taluni mi rinfacciarono, quanto meno come cosa buffa, questa richiesta metodologica all’interno di uno strumento di pianificazione (e sì che si era ancora in un periodo di razional-comprensività). Non genera invece stupore oggi (e sì che siamo in climi di comunicazione, argomentazione …) che procedure fondamentali per il piano, come V.I.A. e V.A.S., richiedano adeguati SIT, ben temperate batterie di indicatori, rigorosi metodi di comparazione tra alternative.
Ed da questo contesto traggo il terzo esempio. Tra i contenuti dello Studio di Impatto Ambientale (all’interno della VIA; per la VAS il caso è simile) è richiesto un “sommario delle eventuali difficoltà (lacune tecniche o mancanza di conoscenze)” incontrate nello studio. C’è da strabuzzare gli occhi; c’è, in uno strumento legislativo, il principio popperiano della “falsificazione”, la coscienza autocritica alla base del metodo scientifico!
Ed anche da questa ultima notazione il lettore,“if any”, comprenderà che ho scelto i tre esempi per valutare lo stato della modellistica sotto almeno tre luci (delle diverse che presenta): la prospettiva tecnico-metodologica, la valenza epistemica-concettuale e la rilevanza nelle pratiche di governance.
Quanto al primo aspetto, cassata una riduttiva interpretazione fondata sulla osservazione che “tecniche se ne sono sempre usate” con la contro-osservazione che l’uso delle tecniche richiede uno opportuno “skill”, ed in questo caso se ne richiede non poco[2], il progresso mi sembra incontestabile.
Certo è stato fondamentale in questo l’acculturamento generale della popolazione, e nella formazione informatica (ed anche scientifica) in particolare; ma va notato che da parte loro gli sviluppatori delle tecniche hanno positivamente reagito alle critiche degli anni ‘60-’70 (con strumenti meno costosi ed usabili facilmente; comunicazione efficace dei risultati; attenzione alla reperibilità dei dati; esplicita finalizzazione alla pianificazione …). E se qualche collega non vede subito applicato nelle pratiche l’ultimo “fichissimo” ritrovato tecnico scientifico, ciò forse non è poi tanto male. Da un lato, una fase sperimentale ed un cauto “rodaggio” sono valori per i modellisti; da un altro lato, lo dico per metafora, se una volta non avevamo l’auto (il mezzo), ora c’è il rischio di dare una Formula Uno in mano ad un “foglio rosa”, aspirante alla patente.
Nell’affrontare, poi, la valutazione della penetrazione dei metodi quantitativi nelle pratiche di pianificazione, occorre in primo luogo evitare la subdola (in particolare, per la “forma mentis” del numerettaro) trappola della “consecutio” apparentemente lineare: modellistica implica metodo scientifico (quello delle scienze naturali, nello specifico) implica pianificazione razional-comprensiva. E, siccome questa è desueta, anche la modellistica …. Parimenti è da evitare (questo è più facile pensarlo) la stretta associazione tra salute di piani e politiche (certo non floridissima) e fortune dell’uso della modellistica (magari in controtendenza[3]); e ciò rende ancora più difficile la nostra valutazione.
In effetti, i rapporti tra avanzamento tecnico (della modellistica), temperie cultural-scientifica, e diffusione delle applicazioni ci sono, ma possono essere laschi, talora dialogici, sempre difficili da riconoscere ed interpretare senza ambiguità. Così ci sarà certamente chi non è d’accordo con la mia visione ottimistica sul crescere dell’uso della modellistica, alimentata dalla convinzione che nella nostra società, sempre più tecnologizzata, la disponibilità dello strumento traina l’applicazione (e ciò, ancor di più, in una “economia della conoscenza” dove la crescente mercificazione dell’attività intellettuale sospinge in modo prepotente la ricerca scientifica e tecnologica, anche indipendentemente da una corrispondente adeguata consapevolezza e riflessione epistemica, teleologica ed etica).
Parimenti penso che qualcun altro forse eccepirà alla tesi che, facendo riferimento al predetto contesto di “società della conoscenza”, spazi sempre più ampi si vanno creando per pratiche modellistiche in piani e politiche (anche non esplicitamente enunciate), proprio in conseguenza della necessità di comprendere (ed in qualche misura influenzare) una pianificazione che va sempre più perdendo i caratteri di chiara azione ideologicamente orientata, per assumere quella di complesso meccanismo sociale auto-organizzato, volto al perseguimento di un insieme di obbiettivi estremamente variegato e spesso anche intrinsecamente conflittuale, non più adeguatamente veicolato in piani e politiche dagli apparati amministrativi propri delle forme tradizionali di democrazia rappresentativa[4].
Quanto infine alla terza chiave di lettura, quella della espansione della modellistica come espressione di una mentalità più “scientifica” (più precisamente, di quella delle scienze “dure”) nella società, mi si consenta di sottrarmi ad una disanima delle ragioni del si e del no, che mi porterebbero ad un banale compromesso tra “un pochino” ed “abbastanza”, anche perché sarebbe esercizio poco utile. Il dato che ritengo rilevante, per comprendere l’attività di modellazione di ora e di allora nel contesto scientifico e societale, è quel profondo cambiamento paradigmatico della scienza stessa che va sotto il nome di nuova “scienza della complessità”. Si è trattato di una vera rivoluzione (nel senso esatto usato da T. Khun), che, nel momento in cui la scienza classica ha cominciato ad affrontare i sistemi complessi, cimentandosi dunque anche con quelli “umani”[5], ha portato ad una completa ridefinizione della natura delle scienze stesse (della natura, dell’artificiale e dell’uomo) e dei rapporti intercorrenti tra queste.
Purtroppo, per quanto se ne sia fatto un gran parlare, la conoscenza di questa nuova scienza è restata, nell’ambito delle discipline di nostro specifico interesse, appannaggio di pochi studiosi, per i più limitandosi ad alcuni aspetti, certo notevoli, ma di superficie (auto-organizzazione, fenomeni emergenti, reti complesse,…), senza approfondimento delle forti valenze epistemiche di questo nuovo modo di vedere scientifico e delle profonde implicazioni che ciò comincia a comportare e sempre più comporterà sul funzionamento della società (Rabino, 2011b). Non ho molto spazio qui per documentare l’affermazione, ma basta che il lettore scavi nell’impatto sociale di Facebook o nell’impatto territoriale dell’alta mobilità fisica (TAV, aerei,…) e comunicazionale (cellulari, TV, … ).
E’ questo un terreno di lavoro estremamente promettente per noi modellisti (ad esempio, c’è tutto il campo della pianificazione e delle politiche da riconsiderare alla luce del nuovo paradigma) dove, fatta la dovuta riconsiderazione della nostra “forma mentis” e del nostro modo di ragionare ed operare per adeguatamente ricollocarci nel nuovo approccio scientifico (Rabino, 2011c), ci troviamo avvantaggiati, rispetto ad altri, nella esplorazione.
Ma, per concludere, quale è il bilancio dell’approccio “modellistico” a tutt’oggi?. Da tutto quanto sopra accennato, io ne ricavo un “mission accomplished”. E’ doveroso, però, che sia meglio specificato con un altra citazione, un aforisma monito per noi “numerettari”, ma anche per gli urbanisti e gli economisti in difficoltà nel trattare le nuove città ed i territori contemporanei, e più in generale per tutti quegli studiosi che si cimentano con la società umana nella sua inarrestabile affascinante mutevolezza, un aforisma di cui –mi scuso- non sono riuscito più a trovare l’autore: “quando finalmente avevamo trovato le soluzioni, ci hanno cambiato i problemi”.
Giovanni Rabino, Politecnico di Milano
Riferimenti bibliografici
Rabino G. (2011a) L’evoluzione delle scienze regionali nel mondo ed in Italia, Comunicazione alla XXXII Conferenza AISRe, Torino, 15-17 settembre.
Rabino G. (2011b) Le ontologie nella società dell’informazione, Scienze Regionali, 10 (in corso di pubblicazione).
Rabino G. (2011c) Language of professional, language of scientist: can complexity science make each other understandable?, Comunicazione al workshop satellite su Policy Modelling della European Conference on Complex Systems, Vienna, 13-16 settembre.
Note
(1) O furono? questa la getto lì, rinviando a Rabino (2011a)
(2) Considerato che, insieme alla competenza specifica sul modello/metodo, occorre un significato livello di alfabetizzazione informatica indispensabile per la sua applicazione, altrimenti non possibile per l’onere computazionale di tutte le tecniche attinenti il trattamento del territorio opportunamente “spazializzato”.
(3) Cito, ad esempio, una per tutte, le “successful stories”, nella pianificazione in Toscana, delle applicazioni modellistiche del Laboratorio LISTA dell’Università di Pisa, di Silvana Lombardo e suoi stretti collaboratori. Ma tante altre buone pratiche ho sentito riferite alle conferenze INPUT (Informatica Nella Pianificazione Urbana e Territoriale) da studiosi (ed anche da funzionari pubblici) di Napoli, Torino, Cagliari, Alghero, Bari, Potenza, Trieste … e, dato significativo e piacevole, fatte da giovani motivati ricercatori.
(4) Forse qualcuno decodificherà quanto detto come “piano tecnico-liberista”, riferendosi ad una ben nota quadripartizione: negazione del piano, piano razional-comprensivo, piano negoziale o concertato ed appunto piano tecnico-liberista (in relazione a diverso “potere” conoscitivo ed attuativo del soggetto pianificatore). E’ una interpretazione che, però, non condivido perché fa riferimento, errando, ad un modello sociale (diverso da quello di cui sto dicendo) di un periodo storico ormai largamente superato.
(5) Mi si consenta il ricordare che anche noi modellisti della conoscenza e dell’azione sui territori abbiamo arrecato un certo (quanto significativo, lo lascio valutare ad altri) contributo a questa grande impresa culturale (per esempio, anche solo col fornire la lezione degli errori da noi commessi nell’approccio alla pianificazione).
at 06:58
Buona l’intenzione, ma in ritardo
at 07:17
Preciso : il danno è stato fatto e, ora, occorre ricostruire:
una cultura di piano
i fondamenti scientifici