Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Dobbiamo avere paura delle multinazionali emergenti?

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di: Roberta Rabellotti e Marco Sanfilippo

EyesReg, Vol.1, N. 4 – Novembre 2011.

Uno dei fenomeni più interessanti del processo d’integrazione economica internazionale è la crescente importanza delle imprese multinazionali dei paesi emergenti. Secondo l’ultimo rapporto UNCTAD (2011), nel 2010 i flussi d’investimenti diretti esteri (IDE) provenienti dalle economie in transizione e dai paesi in via di sviluppo sono cresciuti del 21% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il 29% dei flussi mondiali. Il dinamismo dei paesi emergenti fa da contraltare alla riduzione del peso delle multinazionali dei paesi sviluppati, e specialmente di quelle europee che nel 2010 rappresenta solamente la metà rispetto al picco raggiunto nel 2007.

Nell’ambito di questo fenomeno, particolare attenzione è rivolta dai media agli investimenti delle multinazionali emergenti (MNE) nei paesi avanzati. Spesso, vi sono timori legati alla presenza nell’ombra dei governi, in particolare di quello cinese, poiché molte delle imprese che si espandono all’estero sono a capitale pubblico e anche quelle che non lo sono ricevono un forte supporto sia a livello politico sia economico. Nel caso di acquisizioni poi, vi è grande incertezza intorno alla possibilità di sopravvivenza delle imprese acquisite, oltre che per l’impatto sull’occupazione locale e, ancora, per il rischio di perdita di capacità tecnologica e competenze avanzate. Tra gli aspetti positivi c’è l’iniezione di capitali “freschi”, particolarmente importante in un periodo come questo caratterizzato da scarsa crescita economica.

In questo contributo, focalizzandoci sul caso degli investimenti cinesi in Europa e in Italia, vogliamo analizzare le motivazioni principali delle multinazionali dei paesi emergenti e i loro principali fattori di localizzazione a livello territoriale.

Sulla base dell’evidenza empirica raccolta in uno studio curato dagli autori (Pietrobelli, Rabellotti e Sanfilippo, 2011) per il quale è stata costruita una banca dati originale che raccoglie informazioni sul totale degli investimenti cinesi in Italia, le imprese cinesi sono spinte da due motivazioni prevalenti: (1) la ricerca di nuovi mercati; e (2) la ricerca di risorse strategiche.

Rispetto alla prima tipologia d’investimenti, va notato come l’obiettivo delle imprese cinesi in Italia, e in generale in Europa, sia cambiato nel tempo da una strategia prevalente fino alla prima metà del 2000, in cui gli investimenti potevano essere considerati di tipo ‘difensivo’, cioè finalizzati a rafforzare le relazioni commerciali con il paese di destinazione, a una fase più recente in cui prevalgono finalità più ‘offensive’, ovvero investimenti che hanno come obiettivo la creazione di nuove opportunità commerciali edi avvicinamento ad una clientela più sofisticata al fine di interpretarne meglio le esigenze e di adattare i prodotti alle caratteristiche della domanda. Inoltre, le imprese cinesi con la loro presenza in Europa ambiscono a promuovere i loro marchi, migliorando la loro reputazione nei mercati internazionali così come in quello domestico.

A questo riguardo, un caso molto interessante è quello di Haier, dal 2010 il più grande produttore al mondo nel settore della refrigerazione e delle lavatrici. Nel 2003, Haier ha stabilito a Varese la propria sede per coordinare le attività di marketing e di vendita per l’Europa occidentale portando in seguito a termine due importanti acquisizioni in Veneto: Meneghetti, un produttore di frigoriferi e Elba, specializzata nella produzione di accessori per la cucina. Le acquisizioni sono state motivate da un lato dalla necessità di superare le barriere tariffarie imposte dall’UE e dall’altro dall’obiettivo dell’impresa di migliorare le proprie competenze in termini di produzione e di design per sviluppare e produrre beni per il mercato europeo e per la fascia più alta del mercato cinese. Infatti, nonostante lo spostamento a Parigi nel 2010 della direzione commerciale e marketing, la presenza di Haierin Italia si è ulteriormente rafforzata negli ultimi anni in termini di dipendenti nelle fase produttiva e dello sviluppo del prodotto.

Per quanto riguarda invece la seconda tipologia d’investimenti, quelli volti alla ricerca di risorse strategiche tra cui tecnologie avanzate, conoscenze specializzate, competenze a livello manageriale, accesso a reti di distribuzione e acquisizione di marchi, l’evidenza empirica mostra che le imprese cinesi tendono a utilizzare le acquisizioni di imprese europee per superare rapidamente gli svantaggi in termini di tecnologia e competenze. In questa logica si possono inquadrare gli investimenti esteri cinesi nel settore automobilistico, settore nel quale l’Italia conta una forte tradizione. L’Italia è considerata un avamposto tecnologico, dove acquisire soprattutto competenze di design necessarie per migliorare la competitività dell’industria automobilistica cinese in primo luogo nel mercato interno, e forse, in un futuro non lontano, anche nel mercato internazionale. In particolare, l’area di Torino, dove è presente l’intera filiera dell’auto, dal design alla produzione, ha attratto due tra le principali imprese cinesi del settore, Changan e Anhui. Le due imprese, rispettivamente nel 2004 e nel 2005, hanno aperto a Torino un proprio centro di ricerca e sviluppo e di design, nei quali lavorano ingegneri italiani e cinesi in collaborazione con altre imprese della filiera e con centri di ricerca locali, tra cui il Politecnico.

I casi di Haier, Changan e Anhuimostrano come le imprese cinesi siano motivate nelle loro scelte localizzative a sfruttare le economie di agglomerazione esistenti nei distretti industriali (Mariotti et al., 2010; De Propris et al., 2005).L’elevata specializzazione dell’Italia in settori quali l’automobile, il tessile, i macchinari e i beni per la casaè un importante fattore di attrazione per le multinazionali dei paesi emergenti, e specialmente per la Cina, il cui obiettivo è quello di migliorare il livello qualitativo della propria struttura produttiva. In questo senso, si spiega la scelta di Haier di localizzarsi proprio a Varese dove sono presenti tutte le più importanti multinazionali del settore e un numero consistente di piccole e medie imprese specializzate nella produzione di beni intermedi e servizi. Varese è quindi un distretto produttivo specializzato nella produzione di elettrodomestici per la casa e gli investitori cinesi localizzandosi qui, ambiscono a sfruttare quelle economie di agglomerazione derivanti dalla presenza contemporanea nell’area di lavoratori e fornitori specializzati e dalla disponibilità di conoscenze specifiche sui mercati e sulle tecnologie.

Se le intenzioni delle multinazionali cinesi appaiono chiare, la loro effettiva capacità di utilizzare ed assorbire le risorse strategiche acquisite nonché di sfruttare le economie di agglomerazione dei distretti nei quali si localizzano è invece tutta da vedere. L’evidenza empirica esistente sottolinea l’importanza della distanza culturale e delle differenze nel modo di gestire le imprese che spesso rappresentano una barriera insuperabile per il successo dell’acquisizione di capacità tecnologiche e manageriali. Rimanendo in Italia, l’acquisizione della Benelli da parte di Quianjiang, il più grande gruppo cinese nel settore dei motocicli, è un esempio di come i problemi di comunicazione, specialmente nell’area tecnica e nella gestione delle risorse umane e la difficoltà nella comprensione e nella gestione dell’ambiente istituzionale del paese ospitante, possano generare ritardi e ostacoli nello sviluppo d’importanti progetti produttivi. Peraltro, la letteratura propone anche esempi di successo come nel caso dell’acquisizione dell’IBM da parte di Lenovo, dove la decisione di mantenere una gestione internazionale, mostra come la capacità di integrare la cultura cinese con lo stile di gestione occidentale sia un fattore chiave nel successo dell’operazione (Goldstein, 2007).

In conclusione, l’evidenza sugli investimenti delle imprese cinesi in Italia rivela un tentativo di accedere alle competenze più avanzate disponibili nel nostro paese, tuttavia è chiaro che l’acquisizione di conoscenze spesso scarsamente codificate e lo sfruttamento delle economie di agglomerazione non si raggiungono automaticamente con la localizzazione nei distretti. Comprendere meglio attraverso quali strategie, con quali risorse e con quali risultati le imprese cinesi stiano effettivamente cercando di inserirsi a livello locale e in particolare nelle reti locali di conoscenza è un importante ambito di ricerca futura, fondamentale per disegnare risposte appropriate di politica economica.

Roberta Rabellotti – Università del Piemonte Orientale
Marco Sanfilippo – Istituto Universitario Europeo

Riferimenti bibliografici

De Propris L., Driffield N., Menghinello S. (2005), Local industrial systems and the location of FDI in Italy, International Journal of the Economics of Business, 12, 1: 105-121.

Goldstein A. (2007), Multinational Companies from Emerging Economies. Composition, Conceptualization and Direction in the Global Economy, Londra: Palgrave Macmillan.

Mariotti S., Piscitello L., Elia, S. (2010), Spatial agglomeration of multinational enterprises: the role of information externalities and knowledge spillovers, Journal of Economic Geography, 10: 519-538.

Pietrobelli C., Rabellotti R., Sanfilippo, M. (2011), Chinese FDI Strategy in Italy: The “Marco Polo” Effect, International Journal of Technological Learning, Innovation and Development, (in via di pubblicazione).

UNCTAD (2011), World Investment Report, Ginevra: UNCTAD.

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