di: Lorenzo Ciapetti e Alessandro Dardanelli
EyesReg, Vol.1, N. 3 – Settembre 2011.
Come recentemente argomentato in letteratura, nella complessa intersezione tra le discipline dell’economia industriale e della geografia economica, l’idea che esistano dei vantaggi collegati alla concentrazione delle attività nello spazio non è più sufficiente per dare conto della crescente necessità di pensare a processi di trasformazione, ricombinazione e mutazione delle attività economiche, in presenza di nuovi paradigmi competitivi. Questa constatazione è centrale soprattutto per quelle regioni e territori che, non disponendo di forti specializzazioni high-tech, devono fare i conti con sistemi economici frammentati in termini di specializzazione e dimensione di impresa.
Anche il semplice riferimento ad “economie di diversità”, tuttavia, non è più sufficiente. Il concetto di varietà o diversità industriale diventa importante quando implica quello di complementarietà e contiguità delle competenze presenti su un territorio. L’evoluzione più recente, in chiave di geografia economica, approfondisce il concetto di economie della diversità in termini di settori e attività che possiedono competenze complementari che facilitano lo scambio di informazioni e contaminazioni tecnologiche (knowledge spillovers). Si parla a questo proposito di “related variety” (Frenken e colleghi, 2007; Boschma e Iammarino, 2009; Bishop e Gripaios, 2010; Boschma, Minodo, Navarro, 2010) che possiamo provare a tradurre con “varietà contigua” e comporta un’attenzione alle competenze e conoscenze contigue e complementari presenti su un territorio.
Gli studi più importanti condotti sul tema analizzano, sulla base di dati disaggregati per tipo di prodotto a livello di unità locale, la presenza di contiguità “vicine” e “lontane” per stimarne l’impatto sulla crescita regionale. Applicazioni di questa prospettiva sono state analizzate per l’Olanda (Frenken et al., 2007), l’Italia (Boshma e Iammarino, 2009) e recentemente per la Spagna (Boshma et al., 2010). L’idea che si debba guardare a questo tipo di competenze correlate fa parte anche di un tentativo di riconciliare l’ampia letteratura sulle agglomerazioni e cluster e il ciclo di vita industriale delle imprese e dei settori (Neffke et al., 2010).
La costruzione di policy basate sulla diversificazione impone, tuttavia, un passaggio dalla fase positiva di analisi delle contiguità tecnologiche ad una di definizione di traiettorie di possibile sviluppo in cui giocano un ruolo la tecnologia, il capitale umano, le strutture di servizio a supporto delle imprese, nonché i beni collettivi locali di una regione o territorio.
La diversificazione come strategia di innovazione regionale
Interessa qui sottolineare questa prospettiva di analisi, perché, per chi scrive, la politica di sviluppo tecnologico lanciata dalla Regione Emilia-Romagna offre una piattaforma di analisi di come sia cruciale, nell’attuale fase, innescare processi di trasformazione economica basati su complementarietà tecnologiche. Il sistema a rete con cui si sviluppa la piattaforma Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna è rappresentato dall’intersezione per ciascuna provincia di uno o più tecnopoli specializzati e la rispettiva piattaforma regionale di ricerca che dovrebbe agire anche da coordinamento tra le competenze dei singoli tecnopoli che possiedono contiguità di esplorazione e applicazione. Poiché la sfida lanciata dai tecnopoli dell’Emilia-Romagna va proprio nel senso di un collegamento tra ricerca e applicazioni industriali, diventa interessante comprendere come questo collegamento possa rafforzare specializzazioni tecnologiche già esistenti o farne nascere di nuove.
Sul lato delle imprese, mentre è evidente la potenzialità per realtà strutturate con processi di ricerca interna già attivati e con capacità di posizionamento su mercati internazionali, risulta più difficile attivare collegamenti tra la ricerca condotta nei tecnopoli e le piccole imprese, specialmente quelle con medio-bassa specializzazione tecnologica e con scarse capacità per sviluppare costosi processi di innovazione. Si tratta, crediamo, di una sfida che può essere colta nell’ambito di una strategia complessiva di diversificazione dei territori.
La misurazione tradizionale della diversità e dell’intensità di trasformazione delle specializzazioni regionali non è tuttavia sufficiente per valutare la complementarietà delle competenze settoriali. Al di là di mappature sulle complementarietà esistenti, la particolare fase di evoluzione di un territorio può far nascere l’esigenza di studiare le “complementarietà potenziali” che possiamo definire come quelle competenze attigue, in chiave di filiera di produzione, che possono essere attivate in un territorio o regione.
Come misurare le complementarietà potenziali
In questa prospettiva, esiste l’esigenza di ricerche sul campo che consegnino mappature sulle competenze per il tipo di complementarietà che si vuole indagare. Ad esempio, un recente lavoro di ricerca curato da chi scrive e relativo al territorio di Forlì-Cesena, promosso dalla Provincia e dalla CNA di Forlì-Cesena, fotografa una potenziale complementarietà tra imprese meccaniche ed elettroniche in vista di una possibile convergenza sul settore aeronautico, in virtù della specializzazione di ricerca del tecnopolo provinciale e della possibile aggregazione di imprese in reti collaborative per commesse ed appalti di settore anche a livello europeo.
Il percorso di analisi effettuato nasce proprio da una domanda operativa di ricerca che può essere così riassunta: agendo su quali fattori locali si può pensare che un territorio con bassa specializzazione tecnologica possa fare interloquire le proprie competenze produttive con una piattaforma avanzata di ricerca, tanto da plasmare una vera e propria trasformazione tecnologica di una buona parte del tessuto produttivo? Sul territorio di Forlì-Cesena non esiste un settore di costruzione velivoli. Esiste una tradizione aeronautica nel territorio, in virtù della storia delle industrie Caproni attive fino alla fine della seconda guerra mondiale e dell’aeroporto di Forlì, ma non esiste una specializzazione produttiva. Esiste tuttavia una elevata potenzialità tecnologica da parte di alcune imprese della meccanica e dell’elettronica ed una concentrazione di attività di servizi di ricerca nati intorno alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna dislocata vicino all’aeroporto di Forlì.
Il lavoro di analisi delle complementarietà potenziali è stato condotto a più stadi, dapprima lavorando su archivi amministrativi per individuare i settori di interesse rispetto alla filiera aeronautica; in seconda battuta restringendo il campo sulla base di un’analisi su registri nominativi e su siti internet di circa 2.000 imprese, da cui è stato individuato un campione di 185 imprese a cui è stato sottoposto un questionario strutturato in modalità CATI.
Scopo del questionario è stato quello di identificare la presenza di competenze interne all’azienda che potessero essere ricondotte a quelle necessarie per operare nella filiera aerospaziale, preventivamente individuate insieme ad esperti del settore. Questo passaggio ha permesso di identificare 11 aree di competenza che potrebbero anche essere distribuite su una scala di maggiore-minore complessità: nanotecnologie, fluidodinamica, pneumatica, termotecnica, chimica, software, elettronica, meccanica, materiali metalliferi.
In un territorio come quello di Forlì-Cesena dove il 63,4% delle imprese risulta caratterizzato da livelli medio bassi di tecnologia e può essere definito “dominato dall’offerta”, 62 imprese delle 185 (33%) intervistate possiedono competenze potenziali e si dichiarano interessate a lavorare nella filiera aerospaziale: in particolare 16 nell’ambito produttivo e 41 sui servizi a terra e 5 a vocazione mista. Si tratta di imprese che in alcuni casi dichiarano di avere partners che già operano nella filiera (10%) e che possiedono certificazioni di qualità (ISO 9001) (40%).
Le competenze possedute dalle imprese interessate si distribuiscono prevalentemente in ambiti a bassa complessità (meccanica, materiali metalliferi) e soltanto in modo residuo su competenze a maggiore potenziale innovativo (come ad esempio le nanotecnologie).
Accanto ad una iniziale mappatura delle complementarietà la ricerca sul campo ha anche consegnato la fotografia di 10 imprese che già operano nel settore con avanzate capacità in progettazione, engineering, produzioni meccatroniche e servizi.
E’ evidente, dunque, che esistono limiti oggettivi al tipo di diversificazione che si può ipotizzare per territori a bassa specializzazione tecnologica. Questo tipo di mappatura offre, però, un importante punto di partenza per azioni volte a facilitare l’incontro di imprese e la costituzione di reti di impresa. La base di partenza provinciale rappresenta solo l’inizio di una auspicabile analisi a livello regionale e interregionale.
La diversificazione come paradigma di innovazione territoriale?
Il lavoro sulle complementarietà potenziali richiede un lavoro di mappatura che di fatto può essere interpretato come una traduzione operativa del concetto di “varietà contigua”. Due sono le premesse di questa mappatura operativa. Innanzitutto che esista una definizione “funzionale e disaggregata” del prodotto o processo su cui ipotizzare un percorso di complementarietà e la presenza di imprese del territorio che svolgono attività che coincidono o sono complementari a quel prodotto o processo (ad esempio produzioni di componenti o sottosistemi meccatronici che possono essere pensati per forniture della filiera aeronautica).
In secondo luogo, la convergenza di interessi ampi di istituzioni e associazioni di rappresentanza verso la costruzione di un percorso di complementarietà e di reti di impresa a livello territoriale. Una politica di diversificazione territoriale non può essere un passaggio di cui si fanno carico le singole imprese e soprattutto non si tratta di passaggi repentini che il mercato riesce ad assicurare in modo automatico.
L’accompagnamento alla diversificazione potrebbe consistere, ad esempio, in formazione specializzata su standard di qualità per affrontare appalti a livello internazionale. Essendo un processo di trasformazione di specializzazioni territoriali, conta anche, in termini di policy e di governance, un “atto di immaginazione collettiva” (Asheim et al., 2011). Lavorare in termini di sviluppo sulla “varietà contigua” di un territorio significa avere l’obiettivo di costruire nuovi profili di vantaggio competitivo basati su ricombinazioni di conoscenze già esistenti, attraverso reti di imprese e piattaforme di collegamento tra ricerca, tecnologia e produzione.
Lorenzo Ciapetti e Alessandro Dardanelli, Antares, Centro di ricerca sullo sviluppo locale, Polo scientifico e didattico di Forlì, Università di Bologna, sede di Forlì.
Riferimenti bibliografici
Asheim B. et al. (2011) Constructing regional advantage: platform policies based on related variety and differentiated knowledge bases, Regional Studies, March, 2011, 1-12.
Bishop, P., Gripaios, P. (2010) “Spatial externalities, relatedness and regional branching, in Bathelt, Feldman, Kogler (eds), Dynamic Geographies of knowledge creation and innovation, Routledge, Taylor and Francis, 2010.
Boschma, R., Iammarino, S. (2009) Related Variety, Trade Linkages and regional Growth in Italy, Economic Geography, Vol. 85, N.3, 2009, 289-311.
Boschma, R., Minondo, A., Navarro, M. (2010) “Related Variety and regional growth in Spain”, Papers in Evolutionary Economic Geography (PEEG), online: http://ideas.repec.org/p/egu/wpaper/1012.html, 2010.
Frenken, K., Van Oort, F.G., Verburg, T. (2007) “Related variety, unrelated variety and regional economic growth”, Regional studies, 41,5, 2007, 685-97.
Neffke, F., Henning, M., Boschma, R., Lundquist, K.J., Olander, L.O. (2010) The dynamics of agglomeration externalities along the life cycle of industries, Regional studies, vol. 45.1, 2011.
Tags: competenze tecnologiche, diversificazione, innovazione, sviluppo regionale