di: Riccardo Cappellin
EyesReg Vol.1, N. 1 – Maggio 2011.
L’industria manifatturiera rappresentava nel 2008 in Italia solo il 18,1% del PIL, mentre i servizi privati e pubblici rappresentavano il 71,2%. L’Italia è più specializzata della EU a 27 paesi nell’industria (la quota nella EU è 16,5%) e di meno nei servizi (la quota nella EU è 72,1%).
In particolare, hanno una quota sul PIL minore della media europea (4 punti percentuali in meno) i settori dei servizi, che sono maggiormente penalizzati da una bassa domanda da parte dei consumatori e da parte delle imprese, come il commercio, i servizi di software, ricerca e sviluppo, i servizi alle imprese, l’istruzione, la sanità e la salute, le associazioni, le attività ricreative, culturali e sportive e gli altri servizi vari.
Appare pertanto ragionevole domandarsi se la bassa crescita dell’economia italiana negli ultimi quindici anni rispetto alla UE a 27 (differenza pari a -24% dal 1995 al 2008, misurata in GDP per abitante a prezzi di mercato e PPS) sia attribuibile all’industria ed ad una supposta scarsa competitività delle sue esportazioni, o invece alla debole crescita dei servizi, frenati dalla debole crescita della domanda interna e dalla debole capacità di esportazione.
Fig.1 La città industriale è la combinazione di strutture materiali e non di persone, mentre le città-regioni moderne sono un “puzzle” di informazioni, conoscenze, persone e strutture.
Il cambiamento nella natura delle imprese industriali
Le imprese industriali si sono evolute da un modello “fordista” in cui erano chiuse in se stesse o fortemente integrate verticalmente ad un nuovo modello in cui il continuo e veloce cambiamento esterno rende cruciali l’innovazione, la specializzazione e l’integrazione con imprese esterne.
Le attività di servizio sono cruciali per la competitività delle industrie europee, che non possono più basarsi su un minore costo di produzione, ma che si devono focalizzare nella produzione di beni complessi, nella produzione di beni che rispondono a bisogni nuovi e nella produzione di beni che richiedano una forte dotazione di lavoratori qualificati. In questa prospettiva, la stretta interazione tra industria e servizi e il superamento della distinzione netta tra industria e terziario sono una caratteristica di tutte le economie più sviluppate.
Indicativo di questi cambiamenti è il fatto che una multinazionale come la Siemens ha recentemente deciso di fondere diverse sue divisioni in un nuovo settore denominato “Infrastrutture & Città”. Löscher, il CEO della Siemens, ha definito l’impresa “un gigante delle infrastrutture verdi” sottolineando il vantaggio del gruppo tedesco come primo innovatore e il vasto potenziale nell’offerta di infrastrutture come tram, reti intelligenti di energia, trattamento delle acque per il numero crescente delle “megacities” nel mondo.
Il processo di sviluppo endogeno dei servizi nelle città
Le città sono al centro della trasformazione di lungo termine dell’economia nazionale e internazionale verso il modello della economia della conoscenza e i nuovi tipi di servizi, sia per le imprese che per le persone, si concentrano nelle città.
L’agglomerazione nella città delle attività di servizio è spiegata dal fatto che una caratteristica distintiva dell’economia dei servizi innovativi è l’esistenza di diverse forme di interazione, che spinge alla localizzazione dei servizi nelle aree urbane ove è possibile una maggiore prossimità geografica e cognitiva tra gli attori. Tali interazioni sono quelle tra i produttori e gli utilizzatori dei servizi, l’interazione tra servizi di diverso tipo nella produzione di servizi complessi congiunti e anche l’interazione tra gli stessi utilizzatori dei servizi, nel quadro di comunità di utilizzatori, che sono a volte capaci anche di produrre autonomamente o di inventare nuovi servizi.
La base industriale delle città nei paesi sviluppati si riduce come un ghiacciaio che gradualmente si estingue. Il modello di sviluppo industriale è ancora rilevante nelle grandi metropoli dei paesi emergenti o di recente industrializzazione, ma appartiene ad un’altra fase dello sviluppo nel caso delle economie europee.
Più in generale, lo sviluppo delle città e soprattutto delle grandi aree metropolitane non è trainato solo dalla crescita della base di esportazione nelle produzioni industriali e in quei servizi che possono essere venduti ad altre regioni e paesi o prodotti in loco da unità sussidiarie, ma è anche il risultato di un processo di tipo endogeno. Esso è spinto da un lato da una crescente divisione del lavoro e da una stretta interazione all’interno dell’offerta locale del settore dei servizi e dall’altro da una continua sostituzione e differenziazione nella domanda locale di servizi da parte delle famiglie e delle imprese.
La produzione di servizi nuovi è collegata allo sviluppo del know-how o della capacità di produrre servizi qualificati nuovi che emergono dalla differenziazione delle produzioni tradizionali spesso come spin-off di imprese nuove. Inoltre, la domanda di servizi nuovi emerge da un processo di sostituzione dei servizi tradizionali da parte di servizi più moderni, di qualità superiore o di costo inferiore.
Il ruolo delle comunità di innovazione
Molti servizi moderni e qualificati si sviluppano nelle aree urbane come il risultato di innovazioni dell’utilizzatore (“user innovations”), che sono autoprodotte dallo stesso utilizzatore per il suo uso personale. La domanda di nuovi servizi è quindi il risultato della domanda nuova o aggiuntiva da parte di utilizzatori avanzati e competenti (“lead users”) che hanno livelli di conoscenza superiori e bisogni nuovi e che sono disposti a sperimentare servizi nuovi. Questi “lead users” investono parte del loro tempo libero, in collaborazione con imprenditori innovativi, nell’individuazione, il disegno tecnico e l’organizzazione di possibili risposte a bisogni nuovi e questo porta alla creazione di servizi nuovi.
La domanda iniziale degli utilizzatori innovativi e le risorse da loro dedicate assieme agli imprenditori innovativi nella creazione di servizi nuovi sono di fatto un investimento di risorse materiali ed immateriali ed attivano un circuito di interazioni tra i diversi settori e di flussi di reddito, che aumentano il PIL locale secondo un processo moltiplicativo del tutto simile a quello che tradizionalmente avviene sull’economia locale se aumentassero le esportazioni manifatturiere.
La maggior parte delle innovazioni trainate dagli utilizzatori nel caso dei servizi qualificati, come la cultura, lo sport e la sanità, avvengono nell’ambito di comunità di utilizzatori o di comunità innovative, ove i produttori e gli utilizzatori, sia individui che imprese, condividono tra di loro informazioni e soluzioni tecniche innovative capaci di rispondere ai bisogni in continuo cambiamento e sviluppano conoscenze specialistiche di tipo tacito. Tale modello di “innovazione aperta” è ben noto nel caso delle tecnologie delle telecomunicazioni ove gli utilizzatori hanno sviluppato spesso bisogni e soluzioni tecniche prima dei produttori.
L’esistenza di comunità di persone all’interno delle città è importante innanzitutto perché stimola la creatività, contribuisce alla creazione di nuova conoscenza e di innovazione tramite i processi di apprendimento interattivo. In secondo luogo le comunità sono importanti nel processo di consumo e contribuiscono alla creazione di nuovi bisogni, mode e alla domanda di nuovi beni e servizi. Infatti, la diffusione nella città di forme di consumo immateriale, quali i servizi legati al tempo libero, salute, sport, istruzione, cultura e musica, e dello sviluppo di consumi materiali, come nel caso dei servizi commerciali e degli esercizi pubblici tradizionali, normalmente avviene nell’ambito di vaste “comunità di interesse”. In tali comunità, guadagno, tempo libero, aiuto agli altri ed anche attività professionali, cooperative e “low cost” o gratuite/amatoriali sono strettamente collegati.
Lo sviluppo delle comunità di persone contribuisce direttamente al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Infatti, i nuovi consumi nelle città possono anche essere definiti come “beni relazionali” e rispondono a “bisogni vitali” tipicamente umani come quelli di socializzazione, identità collettiva, solidarietà, empatia, coinvolgimento emotivo e motivazione. Chiaramente tali consumi materiali ed immateriali rappresentano lo stimolo per la creazione di nuove imprese e di posti di lavoro nella città e differenziano la città post-industriale da quella industriale.
Le politiche urbane nell’economia della conoscenza
La creazione di nuovi beni e di nuovi servizi innovative richiede la capacità di aggregare bisogni emergenti e diffusi nell’ambito di comunità o associazioni di utilizzatori, caratterizzati da una cultura specifica e che hanno bisogno di un prodotto o servizio specifico. Il governo (“governance”) pubblico (Cappellin, 2009) del processo di innovazione richiede pertanto il coordinamento di molti attori se si vuole accelerare la velocità o ridurre i tempi dell’innovazione.
In generale, il nuovo motore dell’economia della città sono i bisogni nuovi dei suoi cittadini. Esempi di servizi nuovi che emergono dalla domanda locale nella città e che richiedono forme di coordinamento tra molti attori sono: l’accesso al wifi a scala urbana, le reti intelligenti nella trasmissione delle energie rinnovabili, il risparmio energetico negli edifici ed il teleriscaldamento, la produzione di energie rinnovabili, l’uso di auto elettriche almeno nelle auto pubbliche, i servizi socio-sanitari, la valorizzazione delle reti sociali nello sviluppo di attività editoriali o organizzazione di eventi culturali, musicali, sportivi e del turismo e che richiedono la partecipazione di produttori e utilizzatori, professionisti o dilettanti. Lo sviluppo di questi progetti non sembra essere limitato né dalla mancanza di capacità tecniche né dalla mancanza di capitali ma dalla mancanza di una domanda aggregata di mercato sia pubblica che privata per il servizio considerato e dalla necessità di un intervento pubblico di coordinamento e regolazione dei nuovi mercati.
Per promuovere lo sviluppo dei servizi nuovi legati ad un’economia della conoscenza, i governi locali, come indicato nella tabella seguente, possono promuovere l’offerta dei servizi innovativi da parte delle imprese oppure promuovere la domanda degli utilizzatori e cittadini di questi servizi. Inoltre, le nuove politiche urbane richiedono interventi nella pianificazione fisica del suolo e un nuovo modo di gestire le relazioni tra le istituzioni pubbliche, le imprese e i cittadini nella città.
Riccardo Cappellin, Università di Roma Tor Vergata
cappellin[at]economia.uniroma2.it
Riferimenti bibliografici
Cappellin, R. (2009), La governance dell’innovazione: libero mercato e concertazione nell’economia della conoscenza, Rivista di Politica Economica, 99, 4-6: 221-282.