Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Stagnazione, investimenti, innovazione e territorio

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di: Riccardo Cappellin

EyesReg, Vol.3, N.5 – Settembre 2013.

L’attuale situazione di stagnazione profonda dell’economia italiana dura ormai da almeno 5 anni e anche più ed è probabile che continuerà se non si avrà la capacità tecnica e il coraggio politico di cambiare strada e di cambiare le teorie, l’approccio strategico e gli strumenti di intervento. E’ importante che le Scienze Regionali sottolineino la rilevanza della dimensione territoriale nell’ analisi della recessione attuale e nella proposta di linee di intervento nazionali e europee per il rilancio degli investimenti e dell’occupazione. Infatti, gran parte dell’economia, della popolazione ed anche della disoccupazione in Italia e in Europa si concentra ora nelle aree urbane e le misure di rilancio dell’economia non possono non tenere conto dei problemi e delle potenzialità delle grandi città e dei sistemi produttivi regionali. Inoltre, la crisi ha avuto come effetto non solo la diminuzione del PIL aggregato in Europa, ma anche un aumento enorme delle disparità tra la Germania e i paesi del Sud Europa e anche in Italia tra il Nord e il Mezzogiorno, ove la diminuzione del PIL , degli investimenti, della spesa pubblica come anche la stretta creditizia sono state maggiori.

  

La recessione

Il PIL tra il 2088 e il 2013 è diminuito di 91 miliardi di euro a prezzi 2000 e di questi ben 79,7 miliardi sono stati determinati dal crollo degli investimenti lordi, la cui diminuzione è stata maggiore di quella dei consumi privati, pari a 46 miliardi, e dei consumi pubblici,  pari a solo 13 miliardi. Pertanto, i dati indicano in modo inequivocabile che il fattore più importante della diminuzione del PIL non è stata la diminuzione della spesa pubblica ma il crollo degli investimenti privati. Invece, il contributo positivo delle esportazioni è stato minimo e pari a soli 4 miliardi: ben inferiore all’importante contributo positivo (44 miliardi) dato alla crescita del PIL dalla diminuzione delle importazioni, che ha beneficiato le produzioni nazionali rispetto a quelle estere.

 

I numeri della crisi 2008-2013

scomposizione del GDP dell’Italia

in base alle componenti della domanda aggregata

(milioni di euro a prezzi 2000)

Crisi economica:2008-2013 ∆GDP

-91.202,3

(-7,1%)

 

Politica

Monetaria

Stretta creditizia

e Salvataggio

delle Banche

 

∆I

-79.699,3

(-6,2%)

 

+

Sviluppo delle

capacità di

investimento

e innovazione

Politiche

Regionali

e

Industriali

Crisi

Mondiale

∆X

4.593,3

(0,4%)

+

 

 

Politica

Fiscale

Stretta fiscale e

Salvataggio

dello Stato

 

∆C

-46.547,6

(-3,6%)

 

+

Soddisfazione

dei bisogni dei

cittadini

∆G

-13.225,5

(-1,0%)

∆M

44.856,0

(3,5%)

: I = Gross capital formation, X = Exports of goods and services, C = Household and NPISH final consumption expenditure, G = Final consumption expenditure of general government, M = Imports of goods and services, GDP =Gross domestic product at market prices. Source: Eurostat, data base.

La ripresa dell’economia italiana potrà esserci solo con un aumento della spesa per investimenti, che dal lato della domanda trainerebbe la produzione di molti settori industriali. Inoltre, dal lato dell’offerta, non è possibile un aumento dei posti di lavoro e una riduzione della disoccupazione, se non avviene contestualmente una ripresa degli investimenti delle imprese, in impianti, mezzi di trasporto e strutture.

Una nuova strategia di sviluppo a lungo termine

La situazione di recessione che si protrae da 5 anni contrasta con le prospettive di sviluppo a lungo termine che sono possibili in Italia e in Europa. La crisi economica deve spingere a valorizzare ancor più i vantaggi competitivi delle economie europee rispetto a quelle dei paesi a rapida crescita e costi del lavoro inferiori, come:

  • la grande diversificazione del sistema produttivo all’interno dei cluster settoriali, che consente lo sviluppo di produzioni innovative e complesse basate sulla combinazione delle diverse produzioni tradizionali;
  • l’emergere di nuovi bisogni sempre più sofisticati e che spesso hanno una natura collettiva, da parte dei consumatori e dei cittadini e quindi la creazione di nuovi mercati per nuove produzioni, soprattutto nelle aree urbane,
  • una forza lavoro qualificata e con livelli di istruzione sempre più elevati che si concentra nei diversi bacini del lavoro locali.

Tutti e tre questi fattori, che sono importanti per promuovere le “smart innovation” o una moderna economia basata sulla conoscenza, hanno una esplicita dimensione territoriale. Pertanto, il punto di partenza di un programma di rigenerazione o ricostruzione dell’economia italiana dopo la crisi è il territorio, che ha le potenzialità ed anche bisogno di rinnovo e di una straordinaria manutenzione.

In molti settori che una volta erano affidati alla produzione pubblica è ora possibile la produzione per il mercato e la vendita di servizi ai cittadini da parte di imprese private o forme diverse di cooperazione pubblico-privato. Pertanto, è possibile il finanziamento degli investimenti con risorse private, senza gravare sui bilanci pubblici, se vengono definiti in modo adeguato le tariffe di tali servizi.

Compito delle politiche pubbliche è promuovere grandi progetti, organizzare la realizzazione degli stessi e assicurare le condizioni normative e fiscali che permettano la creazione di nuovi mercati e alle imprese private e alle banche di investire e quindi di gestire la produzione di molti servizi qualificati innovativi.

In particolare, le opportunità di crescita per gli investimenti privati, per nuove produzioni e posti di lavoro emergono da bisogni importanti, diffusi e tuttora insoddisfatti in settori moderni, come quelli di: turismo, agricoltura e nuovi bisogni alimentari, congestione e trasporti a scala urbana, regionale e internazionale, telecomunicazioni e cablaggio delle città, salute, istruzione superiore, cultura, sport, edilizia popolare e ristrutturazioni edilize, migliore organizzazione del territorio, ambiente, energie rinnovabili, risparmio energetico, smaltimento dei rifiuti, protezione dai rischi sismici e dai disastri naturali, sicurezza, riqualificazione dell’amministrazione pubblica locale e nazionale.

Le sfide delle nostre città sono enormi. Peraltro, per promuovere questi progetti di investimento non sono sufficienti le tradizionali politiche fiscali e monetarie, ma sono necessarie forti politiche industriali e regionali.

Gli ostacoli al rilancio della economia

E’ difficile attribuire alla crisi internazionale la recessione dell’economia italiana quando quest’ultima si sviluppa meno di quelle di tutti gli altri grandi paesi europei. Le ragioni della recessione in Italia sono in gran parte interne e sono innanzitutto rappresentate dagli ostacoli che impediscono di sfruttare le opportunità di medio e lungo periodo dell’economia italiana.

Senza un cambiamento nell’approccio alla politica economica seguito nell’ultimo decennio e l’adozione di una diversa strategia e visione di lungo periodo sia delle imprese che del governo, la situazione di stagnazione è inevitabile che continui per molti altri anni.

Le politiche monetarie e fiscali finora seguite hanno avuto un effetto negativo sullo sviluppo del PIL. La politica monetaria della BCE ha salvato le banche fornendo loro enormi fondi a tasso zero e ha permesso loro di ridurre la leva finanziaria.

La politica fiscale ha salvato le finanze pubbliche riducendo il deficit, tagliando gli investimenti pubblici, le pensioni, i servizi sociali, al solo scopo di rassicurare i mercati finanziari ed evitare un ulteriore aumento degli interessi sul debito pubblico.

Secondo i tecnocrati neo-liberisti, da una “balance sheet recession” si esce spontaneamente solo quando i diversi attori hanno ridotto il loro rispettivo indebitamento a livelli sostenibili per evitare il rischio di un fallimento e questo richiede che i loro flussi in entrata siano superiori ai loro flussi in uscita o che i risparmi siano superiori agli investimenti. Questo inevitabilmente implica una crisi economica prolungata e è impossibile indicare quando la ripresa potrà avvenire.

L’inefficacia delle politiche monetarie e fiscali di stabilizzazione finanziaria è dimostrata dal fatto che il rapporto debito/PIL è paradossalmente maggiore che alcuni anni or sono, che i consumi pubblici sono diminuiti di meno dei consumi privati, che i mercati finanziari sono frammentati in tanti mercati nazionali con tassi di interesse diversi, che la capacità produttiva dell’economia nel lungo periodo è diminuita come indicato dagli scarsi investimenti in innovazione e ricerca e dal fatto che molte imprese e molti stabilimenti produttivi sono stati chiusi.

Il governo nei suoi primi 100 giorni ha adottato politiche utili ma di modesta efficacia a livello macroeconomico e che si potrebbero definire misure di “fine tuning” fiscale o di marginale cambiamento della distribuzione del carico fiscale tra le diverse fasce sociali, Mancano invece politiche industriali e regionali capaci di mobilitare il credito e gli investimenti dei grandi gruppi industriali e dei servizi nel Mezzogiorno, nelle città e nelle diverse regioni.

È necessario un allargamento della prospettiva temporale e territoriale. E’ compito del mondo della ricerca e delle associazioni scientifiche indicare alle istituzioni nazionali ed agli operatori economici analisi obiettive e linee generali di intervento efficaci sulla base dei risultati degli studi e delle teorie più recenti.

Figura 1. La relazione tra tre tipi di networks nel processo di crescita di un sistema produttivo regionale.

In questa prospettiva, le Scienze Regionali ed in particolare l’economia regionale e l’economia industriale indicano un modello della crescita economica completamente diverso da quello della macroeconomia tradizionale e dell’approccio neo-liberista.

La prospettiva regionale 

Il fallimento delle analisi e delle politiche macroeconomiche spinge gli economisti regionali e industriali  e le Scienze Regionali in generale a proporre politiche diverse. Una nuova prospettiva di sviluppo che parta dal territorio e dalle città può indicare una via di uscita dalla situazione attuale di cronica stagnazione economica, che è il risultato di inadeguate politiche monetarie espansive e di politiche fiscali restrittive.

D’altro lato, la critica alle politiche fiscali e monetarie neo-liberiste non implica necessariamente una strategia keynesiana di sviluppo, basata su scelte prese a livello centrale o di tipo top-down come ad esempio un grande progetto di investimento pubblico nazionale o europeo. Una strategia nuova è invece quella di basarsi su un approccio dal basso, che valorizzi le iniziative collettive e di collaborazione strategica tra i diversi attori privati e pubblici nelle diverse città e regioni, e di collegare a livello italiano ed europeo tra di loro tali diversi progetti locali e regionali tramite forme flessibili o a rete di raccordo.

In questa strategia dal basso e organizzata a rete, i tre driver dello sviluppo economico nazionale sono:

1) la crescita della domanda interna  che dipende dalla creazione di reti di cittadini e associazioni, che stimolino lo sviluppo di nuovi bisogni e la produzione di beni collettivi la cui domanda è spesso latente,

2) l’aumento della propensione ad investire delle imprese in produzioni complesse e innovative che dipende dallo creazione di reti di innovazione tra le diverse imprese,

3) lo sviluppo delle capacità di governance che dipende dalle reti delle istituzioni e degli attori locali che permettano l’aggregazione della domanda e delle capacità di offerta a scala territoriale e regionale, data la natura collettiva e complessa dei programmi di investimento da realizzare sul territorio nazionale.

Una politica nazionale che miri al rilancio degli investimenti come volano della crescita economica e parta dalle capacità imprenditoriali e dai bisogni esistenti nelle diverse aree del paese, richiede non solo scelte di politica industriale, come l’individuazione delle nuove produzioni e la creazione di nuovi mercati per le imprese private, ma anche nuovi strumenti regionali e nazionali di tipo finanziario, che operino sia dal lato della domanda di credito, stimolando le decisioni di investimento delle imprese, che dal lato della offerta di credito, stimolando le decisioni di finanziamento delle banche e operatori finanziari.

Lo sviluppo della ricerca nelle scienze regionali

In conclusione, non c’è crescita del PIL senza crescita della domanda interna e senza crescita degli investimenti fissi lordi privati e pubblici. Il punto di partenza di un programma di ricostruzione dell’economia italiana dopo cinque anni di crisi è il territorio. Le aree urbane, come Palermo e le grandi città del Mezzogiorno, hanno un ruolo fondamentale nel rilancio dell’economia nazionale e devono individuare prima di altre regioni le nuove produzioni che permettano una diversificazione del sistema produttivo e nuove specializzazioni nella competizione globale. Per promuovere questi progetti di investimento non sono sufficienti le tradizionali politiche fiscali e monetarie, ma sono necessarie forti politiche regionali e industriali.

L’analisi dei fattori della recessione economica e la ricerca di nuove strategie per rilanciare la crescita nell’economia italiana, richiede che la ricerca nelle Scienze Regionali si estenda oltre all’analisi dell’ Innovazione nei sistemi produttivi locali e dello sviluppo dei servizi basati sulla conoscenza nelle aree urbane per affrontare temi nuovi come: i nuovi modelli di consumo dei consumatori come fattori di innovazione, lo sviluppo dei beni collettivi e relazionali e il ruolo organizzazioni non profit, il ruolo delle banche e di nuovi strumenti finanziari moderni nelle politiche regionali.

Nei 34 anni di esistenza dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali il congresso annuale è diventato sempre più grande ed interessante e si qualifica di fatto come il più grande incontro scientifico e tecnico in Italia nel campo degli studi regionali e territoriali. In particolare, il congresso di Palermo 2013 come anche i congressi precedenti ha promosso l’integrazione sempre più coerente dei diversi approcci seguiti dai ricercatori attivi nelle più diverse discipline che si interessano del territorio, delle città e delle regioni. Questa capacità di integrazione di discipline diverse è fondamentale perchè il mondo della ricerca nelle Scienze Regionali non solo sia maggiormente presente nell’insegnamento universitario ma sia anche capace di indicare linee innovative di politica regionale e territoriale al mondo degli esperti, al mondo delle imprese e a quello delle istituzioni pubbliche locali e nazionali.

Riccardo CappellinUniversità di Roma “Tor Vergata” 

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