Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Rigenerazione e resilienza: parole, opere e omissioni

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di: Simone Rusci

EyesReg, Vol.10, N.2, Marzo 2020

Rigenerazione e resilienza fanno parte di un ristretto gruppo di termini che negli ultimi dieci anni ha conosciuto una diffusione ed una fortuna tali da rappresentare, almeno in campo lessicale, un vero e proprio nuovo paradigma nel dibattito urbanistico. Lo dimostrano i dati dell’ultima conferenza scientifica dell’AISRe (Beyond the crises, L’Aquila 16-18 settembre 2019) nella quale su 74 sessioni organizzate 8 avevano per tema la rigenerazione e la resilienza e 28 contributi presentavano nel titolo uno dei due termini.

Ancora più efficaci nel tratteggiare questa diffusione terminologica sono i dati delle ricerche effettuate su Google: dal 2013 i due termini – in particolare la resilienza – hanno subito un incremento esponenziale che li ha visti staccare nell’interesse il termine sostenibilità, che pure copre una più estesa gamma di significati e di ambiti disciplinari.

Fig. 1. Andamento dell’interesse nelle ricerche sul motore Google: in rosso rigenerazione; in giallo sostenibilità; in azzurro resilienza (Fonte: Google Trends)

In campo urbanistico il loro successo diventa tanto più evidente se confrontato con il contemporaneo declino di alcuni dei termini egemoni nel dibattito del secolo scorso: è così per il termine zoning o per standard urbanistici, in picchiata dal 2004.

Fig. 2. Andamento dell’interesse nelle ricerche sul motore Google: in rosso standard urbanistici; in azzurro zoning (Fonte: Google Trends)

Non va meglio a termini di più recente introduzione come perequazione urbanistica o valutazione ambientale strategica, che soccombono nell’interesse di fronte a termini come smart city.

Fig. 3. Andamento dell’interesse nelle ricerche sul motore Google: in rosso perequazione; in giallo valutazione ambientale strategica; in azzurro smart city (Fonte: Google Trends)

Il termine rigenerazione nel corso di un decennio ha sostituito quasi completamente il vocabolario utilizzato per definire i diversi interventi sul patrimonio urbano esistente: la riqualificazione urbana, il recupero urbano e la ristrutturazione urbanistica, usati per oltre mezzo secolo sia nel linguaggio scientifico che in quello normativo.

La rigenerazione è progressivamente divenuta un loro omnicomprensivo e polisemico sinonimo, utilizzabile senza distinzioni alle diverse scale dell’intervento sull’esistente, da quella edilizia a quella territoriale.

Fig. 4. Andamento dell’interesse nelle ricerche sul motore Google: in rosso recupero urbano; in giallo riqualificazione urbanistica; in verde ristrutturazione urbanistica; in azzurro rigenerazione urbana (Fonte: Google Trends)

Una rivoluzione lessicale che ha investito rapidamente quanto drasticamente il dibattito politico e quello scientifico, i programmi elettorali e le iniziative di divulgazione, fino a diffondere il termine resilienza tra le parole comunemente presenti nei listini dei tatuatori (!).

Rigenerazione e resilienza sono in realtà termini assai diversi: il primo, mutuato originariamente dalle scienze biologiche è utilizzato in prevalenza nell’ambito delle discipline sociali ed urbane per indicare una policy complessa e multidisciplinare mentre il secondo, derivato dalla fisica, è oggi utilizzato per descrivere la capacità di un sistema complesso di ritornare nel suo stato originario a seguito di uno shock.

Ciò che li ha uniti in campo urbanistico, oltre al loro comune e repentino successo, è stata in buona misura la possibilità di attribuire ai due termini un significato polisemico (a volte persino indefinito) capace di segnalare alcune effettive esigenze di riordino e riqualificazione delle città emerse a seguito dei profondi cambiamenti occorsi in ambito economico, immobiliare ed urbano dopo il 2007.

Nonostante i due termini siano dunque divenuti veri e propri trademarks del dibattito urbanistico, è paradossalmente proprio l’ambito delle leggi e delle norme sul governo del territorio e sulle trasformazioni edilizie ad essere rimasto impermeabile a questa rivoluzione.

Nelle leggi di rango nazionale – che interessano la disciplina degli interventi edilizi e le misure incentivanti per il settore delle costruzioni – rigenerazione e resilienza non trovano né una specifica disciplina né tantomeno una definizione univoca e condivisa. L’assenza più eclatante è quella nel D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, Testo Unico dell’Edilizia, nel quale nemmeno le ultime modifiche del 2019 (Decreto sblocca cantieri) hanno introdotto riferimenti alla rigenerazione urbana.

Solo tre sono le norme che, seppur solo nominalmente, citano rigenerazione e resilienza (Giusti, 2018):  il Piano nazionale per le città (D.l. 83/2012), il Decreto sblocca Italia (D.l. 133/2014) e il Bando periferie (D.P.C.M. 25/05/16). In nessuno di essi è tuttavia specificato il significato attribuito ai termini né tantomeno il loro campo di applicazione. Gli strumenti posti in atto sono di natura economica (finanziamenti straordinari nel caso del D.l. 83/2012) o procedurale (deroghe e semplificazioni agli iter ordinari) finalizzati al rilancio del settore più che ad una revisione strutturale degli strumenti e delle strategie.

La sinonimia tra rigenerazione ed i termini di uso consolidato in ambito edilizio è dunque solo apparente, dato che nell’applicazione normativa continuano ad essere valide le sole categorie della ristrutturazione urbanistica, della ristrutturazione edilizia  e del restauro e risanamento conservativo.

Diversa è la situazione nel variegato contesto delle leggi regionali che dovrebbero disciplinare i due termini rispetto agli strumenti e alle strategie di scala urbanistica e territoriale (Rusci, 2017 a). Anche in questo caso il concetto di resilienza tarda ad essere introdotto e declinato nei testi normativi mentre quello di rigenerazione appare più compiutamente integrato ed argomentato.

Le regioni che propongono una definizione di rigenerazione sono solamente tre: Toscana (legge 65/2014), Lombardia (legge 31/2014) e Puglia (legge 21/2008). In tutti e tre i casi la rigenerazione si configura come una combinazione di interventi edilizi di riqualificazione, risanamento, recupero e riorganizzazione, associati  – solo nel caso della Puglia – ad interventi immateriali in ambito sociale.

La definizione di rigenerazione che emerge dal quadro delle leggi regionali è dunque una definizione tautologica e additiva che rimanda  ai termini codificati e che lascia irrisolti gli aspetti distintivi tra le varie forme di intervento (Rusci, Il gioco di parole. Trademarking, sinonimia e stagionalizzazione del vocabolario urbanistico., 2017).

Lo scenario non cambia se – ancora nell’ambito delle leggi regionali – si passa dalle definizioni agli strumenti. Le principali leggi sul governo del territorio (Toscana, Calabria ed  Emilia Romagna) e quelle su rigenerazione e consumo di suolo (Puglia, Lombardia, Veneto e Lazio) individuano, mediante gli strumenti urbanistici generali, due scale d’intervento per la rigenerazione: quella strategica, quasi sempre affidata ai Piani Integrati d’Intervento (L. 172 /1992), e quella operativa, affidata ai Piani di Recupero (L. 457/1978), ovvero in entrambi i casi  a strumenti “classici”, ampiamente utilizzati nel corso degli ultimi trent’anni e tutt’altro che innovativi.

Sia sul fronte delle parole che su quello delle norme sembra insomma che fino ad oggi la rivoluzione lessicale abbia scalfito solo in superficie gli strumenti e le pratiche di pianificazione, lasciando perlopiù immutata una struttura pianificatoria ancora riconducibile alla legge urbanistica del ’42, nella quale gli interventi di rigenerazione sono individuati e perimetrati nella pianificazione generale comunale ed attuati con piani attuativi per mezzo di un ventaglio di interventi di natura edilizia. E del resto se si esaminano i contenuti degli interventi urbani varati sotto il vessillo della rigenerazione è possibile riconoscere in quasi tutti i contenuti e le strategie dei più tradizionali piani di recupero della legge 457/1978.

Il grande utilizzo dei due termini, rigenerazione e resilienza, appare dunque per il momento più una strategia comunicativa che un credibile orizzonte di riforma delle pratiche urbane, un espediente (riuscito) che è servito se non altro a sottolineare l’irrimandabile necessità di intervenire sul patrimonio esistente senza tuttavia delineare ancora una reale strategia di intervento.

Esperienze innovative sono forse rintracciabili proprio in quegli ambiti auto-organizzati nei quali le forme di pianificazione sono più deboli; nei patti di collaborazione, negli interventi di sussidiarietà orizzontale e in generale in tutte quelle forme di riuso del patrimonio esistente che prescindono dalle trasformazioni fisiche (Cantaluppi, Inti, & Persichino, 2014). In queste esperienze sono messi alla prova nuovi soggetti urbani, nuovi processi decisionali e nuovi meccanismi di finanziamento finora sconosciuti nelle politiche urbane. Esperienze resilienti che sorgono e si sviluppano, spesso in forma spontanea e bottom-up, laddove le forme di valorizzazione immobiliare ordinarie non riescono a mettere in atto processi trasformativi. Esperienze che scompaiono, spazzate via, laddove la valorizzazione immobiliare e la rigenerazione diventano possibili. Paradigmatico è il caso del quartiere Artamis a Ginevra: un insediamento spontaneo di artisti ed artigiani – caratterizzato da iniziative culturali e da un solido tessuto sociale integrato con la città – demolito per lasciar posto all’eco-quartier la Jonction, un intervento di rigenerazione urbana finalizzato alla valorizzazione immobiliare dell’area. In questi casi la resilienza – quella del quartiere Artamis – diverge vistosamente dalla rigenerazione – quella del quartiere La Jontion – fino ad escludersi l’una con l’altra.

Auspicando il superamento di una riforma che interessi il solo lessico urbanistico c’è da chiedersi quali possano essere le traiettorie percorribili verso una più pragmatica declinazione dei due termini. Difficile dirlo per la resilienza, essendo essa un obiettivo più che una politica; più facile per la rigenerazione che, opportunamente  ridisegnata in termini normativi e disciplinari, potrebbe rappresentare l’elemento di congiunzione tra le politiche sociali e del welfare, la programmazione economica e la pianificazione urbanistica e territoriale, assumendo rilievo tale da poter divenire un nuovo quadro di coordinamento nazionale delle politiche territoriali.

In alternativa un percorso che veda la rigenerazione come istituto autonomo, come strategia nazionale di rilancio delle molte realtà divenute marginali: una disciplina prevalentemente economica e sociale nella quale la pianificazione spaziale interviene solo marginalmente.

Esiste anche una terza strada: l’oblio dei due termini e l’emersione di un altro ulteriore e innovativo lessico capace di guadagnare visibilità e condivisione; una via gattopardesca nella quale il ciclico cambiamento dei temi garantisce solitamente la permanenza dei problemi.

Simone Rusci, Università di Pisa – DESTEC

Riferimenti bibliografici

Cantaluppi, G., Inti, I., & Persichino, M. (2014). Temporiuso: manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono, in Italia, Milano: Altreconomia.

Galluzzi, P., Oliva, F., & Vitillo, P. (2019). Tra metropolizzazione e shrinking. Forme di prelievo della rendita urbana e costruzione della città pubblica. In C. Giaimo, Dopo 50 anni di standard urbanistici in Italia. Verso percorsi di riforma, Roma: INU edizioni.

Giusti, A. (2018). La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Napoli: Editoriale Scientifica.

Rusci, S. (2017 a). La rigenerazione della rendita. Teorie e metodi per la rigenerazione urbana attraverso la rendita differenziale, Milano: Mimesis.

Rusci, S. (2017). Il gioco di parole. Trademarking, sinonimia e stagionalizzazione del vocabolario urbanistico. Urbanistica 3.

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