Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Exit, Voice, Loyalty: possibili alternative per i paesi dell’ Unione Europea

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di: Enrico Ciciotti

EyesReg, Vol.10, N.2, Marzo 2020

Il futuro dell’Europa è incerto

Stiamo osservando un rallentamento della crescita del PIL e c’è il pericolo concreto di una recessione. Le disparità di reddito e ricchezza sono aumentate così come la popolazione che vive in condizioni di povertà. La disoccupazione, in particolare dei giovani, è troppo elevata. Le esigenze dei cittadini per una migliore qualità della vita sono in gran parte insoddisfatte. L’Unione europea è sempre più frammentata politicamente. Le tensioni politiche e sociali sono aumentate notevolmente anche all’interno dei singoli paesi. Questa insoddisfazione per le politiche e la situazione socio-economica dell’UE ha portato tra l’altro alla Brexit, all’instabilità dei governi in quasi tutti i paesi dell’UE negli ultimi anni e alla crescita dei partiti sovranisti.

Per affrontare questa situazione può essere utile tornare a quanto sosteneva Hirschman (1970), secondo il quale allo scontento per il cattivo funzionamento dell’organizzazione a cui si appartiene o con cui si hanno rapporti di affari (acquisto di prodotti e servizi) si può dare una risposta in tre modi: dando voce alle proprie lagnanze in qualità di cliente o membro, nella speranza di migliorare la situazione; uscendo dall’organizzazione (ed eventualmente affiliandosi altrove); rimanendo fedeli all’organizzazione e sperando che prima o poi migliori e diventi più efficiente.

Secondo questo approccio l’uscita appartiene alla sfera dell’economia (mercato) ed è particolarmente valida nei casi di insoddisfazione dei consumatori per i prodotti o i servizi forniti dalle imprese; la voce al contrario appartiene alla sfera della politica, implicando, l’espressione delle proprie opinioni critiche, al fine di  attivare risorse o capacità nascoste o mal utilizzate, cioè fattori endogeni; mentre la lealtà, implicando l’accettazione di una certa dose di inefficienza, riflette un approccio adattativo e non massimizzante da parte del consumatore/membro dell’impresa o dell’organizzazione.

L’ipotesi avanzata in questo lavoro è che il modello considerato possa fornire utili indicazioni per uscire dallo stallo in cui si trova l’UE; a tal fine, per ognuna delle soluzioni possibili sono state analizzate la praticabilità, l’efficacia e i costi. Inoltre sono state messe in evidenza le relazioni di complementarietà e non solo di contrapposizione tra le soluzioni stesse.

L’uscita e i rischi della disgregazione dell’Unione Europea

Di fronte allo scadimento della qualità di un prodotto o di un servizio, la soluzione più semplice per un consumatore è senza dubbio quella della defezione, cioè dell’abbandono del prodotto in questione per l’acquisto di un altro di migliore qualità. Questa soluzione di “mercato” è conveniente e non costosa, specialmente nel caso che si operi in perfetta concorrenza; inoltre essa trasmette un chiaro messaggio all’impresa fornitrice che quindi è stimolata a ristabilire i requisiti qualitativi dei propri prodotti o servizi. Il discorso diventa però diverso se si tratti dell’appartenenza ad una organizzazione o ad un’istituzione come nel caso della UE. In questo caso infatti, mentre la possibilità dell’uscita è un dato di fatto, altrettanto non può dirsi della sua convenienza.

Il primo vantaggio atteso dai sostenitori dell’uscita è che la svalutazione derivata dall’abbandono dell’accordo di cambio favorisce inizialmente le esportazioni e in alcuni casi anche la crescita. E’ stato però osservato (Realfonzo, 2019) che l’aumento del costo delle importazioni determina un incremento dei prezzi interni e quindi si ha anche un effetto sulla bilancia commerciale (diminuiscono le esportazioni) frenando la crescita. A sua volta l’incremento dei prezzi interni tende a determinare una stagnazione dei salari reali ed una caduta della percentuale del Pil che va ai redditi da lavoro.

Tra l’altro questi vantaggi, anche se presumibilmente temporanei, non riguardano la Brexit in quanto la Gran Bretagna, pur aderendo alla UE ha mantenuto la propria moneta.

Vi sono poi i vantaggi economici derivanti dalla possibilità, almeno sulla carta, di rinegoziare gli accordi commerciali con la stessa UE (sul modello di quello UE-Corea del Sud); o di una loro sostituzione con altri partner (ad esempio. USA), in analogia con i vantaggi derivanti dall’exit dei consumatori (sostituzione dei prodotti di un’impresa con quelli di un’altra).

Ad essi però vanno contrapposti i costi di transazione derivanti per un’azienda dal possibile cambio di un fornitore e, per uno stato, dal cambio di un partner commerciale (per esempio per la GB rispetto alla stessa UE o agli USA). Nel 2020, infatti inizieranno i delicatissimi negoziati tra Regno Unito ed Unione Europea sui rapporti futuri tra i due blocchi i cui costi non sono ancora valutabili. Come è noto, però, queste incertezze non hanno impedito l’uscita della Gran Bretagna.

Sempre sul piano dei costi, oltre ai costi privati, cioè del paese uscente, vanno considerate anche le eternalità negative dell’uscita di un paese sugli altri paesi, sia presi singolarmente sia come UE nel suo complesso. Uno studio dell’IFO di Monaco di Baviera (Taino, 2019) ha stabilito che il Paese che subirà le maggiori conseguenze negative, in termini di diminuzione dei consumi reali della popolazione, sarà l’Irlanda. La repubblica di Dublino vedrebbe ridursi il livello della sua prosperità dell’8,2% rispetto al 2014, nel caso di hard Brexit. Non poco, anche confrontato con il Regno Unito, dove i consumi si contrarrebbero del 2,8% e con l’Italia dove si ridurrebbero dello 0,4%.

Inoltre vi è il rischio di un indebolimento, se non della disgregazione, della UE stessa, proprio mentre vi è l’esigenza che l’UE consolidi la propria posizione, ad esempio nel settore ad alta tecnologia (5G), se vuole competere nell’arena mondiale del futuro. Dopo la Brexit, diventa senza dubbio molto concreto l’accordo per una zona di libero scambio, che potrebbe essere un primo passo verso un mercato comune, tra GB e Stati Uniti d’America. Non è solo l’interscambio di merci a dover impensierire l’UE, ma quello di tecnologia. Il possibile mercato “atlantico” potrà negozierà ad esempio direttamente con la Cina, mettendo in seria difficoltà i restanti paesi della UE. Sono proprio queste considerazione che possono spingere verso la scelta della lealtà per gli altri paesi, specialmente dopo la Brexit.

La lealtà è veramente efficace?

Con il termine lealtà si intende il comportamento di quei soggetti che di fronte al all’insoddisfazione per le prestazioni di un’impresa o di un’organizzazione decidono comunque di rimanervi fedeli, ritenendo scarsi o aleatori. i benefici ottenibili con un’eventuale uscita.

Nel caso della UE possiamo immaginare tre tipi di lealtà, i cui esiti peraltro sono in pratica gli stessi per quanto riguarda l’impatto sulle prestazioni dell’organizzazione stessa.

La lealtà adattativa si ha quando i soggetti che considerano i possibili benefici derivanti dall’uscita, in termini ad esempio di rinegoziazione dei rapporti commerciali con la UE  e/o di nuovi accordi con altri paesi, ritengono troppo elevati i costi di transazione di tali operazioni e si adattano ad una situazione non ottima ma soddisfacente (lo stesso può dirsi di un’impresa nei confronti di un proprio fornitore).

Esiste poi una lealtà apparente, manifestata dai quei soggetti/paesi che pur mostrandosi formalmente fedeli all’organizzazione, ne godono dei benefici senza rispettarne sempre le regole. Questo comportamento opportunistico è stato messo in atto da diversi paesi dell’UE che pur aderendo formalmente alle regole, hanno chiuso un gran numero di manovre di bilancio con forti disavanzi primari senza incorrere in sanzioni; si tratta della Francia (22 manovre), della Gran Bretagna (21 manovre) e della Germania (10 manovre). Va ricordato che l’Italia nello stesso periodo (dal 1990 ad oggi), con l’eccezione del 2009, ha sempre accumulato avanzi primari (Realfonzo, 2019).

Esiste infine una lealtà consapevole, motivata dalla paura di danneggiare l’organizzazione in caso di uscita e derivante dal riconoscimento del valore pubblico dell’organizzazione stessa rispetto ai costi/benefici privati del singolo membro. La possibilità di godere di alcune esternalità positive connesse all’organizzazione (quali ad esempio il prestigio di cui essa gode, la giustizia sociale, le libertà democratiche e i diritti umani) oltre al peso politico-economico, sono elementi che rafforzano il senso di appartenenza e quindi la lealtà e rendono difficile l’uscita.

In tutti e tre i casi di lealtà non si migliorano però le prestazioni dell’organizzazione ma anzi si può avere l’effetto opposto, mandando messaggi contradditori all’organizzazione stessa, al contrario di quanto avviene almeno in teoria con l’esercizio dell’exit; l’opzione lealtà, cioè, può rivelarsi un’arma spuntata rispetto all’obiettivo di riportare l’organizzazione sulla retta via con un cambio di politica.

Inoltre, la difficoltà a defezionare diventa sempre maggiore man mano che si rimanda la decisione in tal senso; in questo modo si mantiene in vita l’organizzazione senza però migliorarne la qualità, a meno che non si eserciti in modo netto la voce. Si tratta cioè di trasformare una debolezza (omessa defezione per comportamento adattativo od opportunistico) in un punto di forza attraverso un deciso esercizio della voce, anche grazie al ruolo che alcuni soggetti potrebbero avere in quanto membri influenti dell’organizzazione (ad esempio i paesi fondatori della UE).

La voce: verso una nuova politica industriale e territoriale europea

Con il termine voce o protesta va inteso ogni tentativo di cambiare, invece che eludere, uno stato di cose insoddisfacenti; la voce cresce man mano che si riducono le possibilità di uscita, ma allo stesso tempo ha potere nella misura in cui l’uscita è possibile. Valorizzare la voce coincide con il controllo democratico di un’organizzazione mediante l’aggregazione e l’articolazione di opinioni e interessi; per contro la voce può essere condizionata dal potere contrattuale dei soggetti/membri dell’organizzazione: i comportamenti opportunistici hanno mostrato le asimmetrie esistenti in tal senso all’interno della UE.

Perché la voce sia efficace al massimo, la minaccia di uscita deve essere credibile ma al tempo stesso l’uscita non deve essere né troppo facile né troppo allettante.

Come si è detto, la voce entrerà in gioco in rapporto a quei beni e in particolare a quegli aspetti di beni e servizi che hanno una forte componente di esternalità. Al riguardo va segnalato che nel caso della UE uno degli interessi pubblici maggiori a mantenere in vita l’Unione stessa, rinunciando alla defezione, è connesso alla necessità/opportunità di avere una forza di mercato sufficientemente grande per competere con le altre grandi potenze in un mercato globalizzato che travalichi quella dei singoli paesi.

Diviene pertanto fondamentale facilitare l’esercizio della voce, sia fornendo al consumatore/membro dell’organizzazione le informazioni necessarie per capire i vantaggi dell’appartenenza, sia fornendo al produttore/organizzazione ogni informazione sulle sue prestazioni e rendimenti, ad esempio il successo o l’insuccesso delle politiche attuate e soprattutto il contenuto e la praticabilità di politiche alternative.

E’ proprio su quest’ultimo punto che è opportuno soffermarsi brevemente. E’ chiaro che l’esercizio della voce richiede una riflessione sul ruolo dei diversi soggetti coinvolti (cittadini, governi, Parlamento Europeo, Commissione) e sulle principali istituzioni, tra cui in primo luogo la BCE e la BEI. Inoltre, essa deve tener conto di aspetti sia macro che micro economici di un nuovo approccio alle politiche europee (Becchetti et.al. 2019; Cappellin et.al. 2017, 2019 ). Si possono però delineare in estrema sintesi i principali caratteri di una nuova politica industriale e territoriale europea orientata ai bisogni dei cittadini (Ciciotti, 2019).

L’unico modo che l’economia dell’UE ha per crescere è rappresentato, oltre alle esportazioni extra UE, da un aumento dei consumi interni, degli investimenti e delle spese pubbliche. In questo modo, quando la domanda estera tende a diminuire, anche a causa di politiche restrittive nel commercio internazionale, diventa necessario disporre di un mercato interno in grado di compensare questa contrazione.

Si tratta di orientare la nuova politica industriale-territoriale verso il mercato interno (nuovi bisogni dei cittadini) nei settori emergenti (alloggio, cultura e tempo libero, assistenza sanitaria e sociale, energia e ambiente, mobilità e logistica), per uno sviluppo integrato, inclusivo e sostenibile.

L’approccio settoriale/verticale, dal lato dell’offerta di tecnologie, deve essere integrato con quello orizzontale, dal lato della domanda e dei bisogni. In tale contesto diventa strategico il ruolo della città che, in quanto sistema complesso, è in grado di operare questa sintesi in una relazione circolare e virtuosa tra domanda e offerta.

Le nuove politiche industriali-territoriali devono pertanto essere caratterizzate da un modello di pianificazione integrata a livello locale e urbano che segua la logica della quadrupla elica (istituzioni locali, aziende, università e ricerca, società civile). In questo modo è possibile puntare all’innovazione sistemica, aperta e focalizzata sugli utenti, passando da una produzione di beni e servizi guidata da esperti secondo un modello top-down ad uno caratterizzato da diverse forme e livelli di coproduzione con consumatori, utilizzatori e cittadini.

Enrico Ciciotti, Università Cattolica di Piacenza

Riferimenti bibliografici

Becchetti, L. Cappellin R., Ciciotti E., Garofoli,G. Pilotti,L. (2019), Una nuova strategia industriale europea, 20 misure per più investimenti, più crescita e quindi meno tasse,Key4biz 13 Novembre .

Cappellin R., Ciciotti E. and Battaglini E. (eds.), (2019,) The guidelines of a “New European Industrial Strategy” oriented to the citizens and the territory: policy proposals for the European economic growth, Academia.edu, e-book.

Cappellin R., Baravelli M., Bellandi M., Camagni R., Capasso S., Ciciotti E., Marelli E. (2017), (a cura di), Investimenti, innovazione e nuove strategie di impresa: quale ruolo per la nuova politica industriale e regionale ? Milano, Egea, http://economia.uniroma2.it/dmd/crescita-investimenti-e-territorio/.

Ciciotti E. (2019) A new territorial-industrial policy oriented to the needs of citizens for a sustainable development”, paper for the Forum on A New European Industrial Strategy European Economic and Social Committee, Bruxelles. https://www.dropbox.com/sh/8vupe2mrsvj1ift/AACrA0_P5k_9Udoq4gHBR3u9a?dl=0

Hirschman, A.O. (1970), Exit, Voice and Loyalty. Response to the Decline in Firms Organizations and States .Cambridge University Press.

Realfonzo,R (2019). L’Europa malata e le riforme necessarie, Micromega, n. 2 :32-47

Taino D. (2019), I diversi costi delle diverse Brexit, Corriere della Sera, 28 agosto

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