Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Le dotazioni pubbliche urbane. Riforma radicale o semplice restyling?

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di: Giuseppe Mazzeo

EyesReg, Vol.9, N.6, Novembre 2019

Il piano urbano ha nel sistema delle attrezzature pubbliche un elemento distintivo. A partire dal 1968, la previsione obbligatoria di tali attrezzature ha posto le basi per la costruzione di un consistente patrimonio di suoli pubblici ed ha incrementato la possibilità di usufruire dei diritti di uso dello spazio da parte di tutti i cittadini.
Nel corso del tempo, però, si è ampliato il dibattito sul loro ruolo e sul loro significato in quanto i cambiamenti che i sistemi urbani hanno subìto negli ultimi decenni (anche grazie alla pianificazione) hanno modificato la percezione della loro efficacia. In particolare, l’attenzione si è incentrata sulla necessità che esse assumano sempre più un ruolo di regolazione dell’ambiente urbano, così come sembra necessaria una maggiore attenzione alla fase di attuazione, in molte realtà rimasta sulla carta, e alla funzionalità delle attrezzature esistenti, spesso limitata a causa di una scadente gestione.

Stato dell’arte

Nel 2018 è stata istituita una commissione ministeriale incaricata di proporre modifiche al DI 1444/1968. Nel luglio 2019 essa ha concluso i lavori producendo un documento ed una proposta di modifica della norma (MIT, 2019).
La necessità di ridisegnare il sistema delle attrezzature pubbliche urbane in relazione ai nuovi ruoli che esse devono assumere e ai cambiamenti che i sistemi urbani hanno subìto, avrebbe dovuto portare ad un testo più coraggioso se non ad una proposta di completo ripensamento del sistema delle dotazioni.
Si fa riferimento, in particolare, a due necessità in parte assenti nel documento: la necessità di associare ad esse un forte ruolo regolatore nelle sfide ambientali che sono davanti alle città e la necessità di far fronte non più solo al diritto basilare alle dotazioni pubbliche proprio del DI 1444, quanto alla forte differenziazione territoriale nel godimento di quel diritto (Indovina, Savino, 2003), conseguenza delle diverse traiettorie evolutive dei sistemi urbani a partire dagli anni Settanta e dell’assenza di una normativa nazionale riformata che avrebbe potuto mitigare le spinte alla differenziazione su base regionale.
Nel documento la questione ambientale si ritrova in alcuni degli spunti messi in campo dalla commissione; basti considerare, a questo riguardo, che tra i nove obiettivi delle dotazioni urbane rientrano la minimizzazione dell’uso del suolo, la sicurezza geologica, idraulica e sismica e la sostenibilità energetica ed ambientale. Ciò, però, non si traduce nella formulazione di un chiaro ruolo ambientale delle dotazioni pubbliche.
Anche la questione del diritto alle dotazioni pubbliche è presente nel documento, ma esso viene declinato come diritto individuale del cittadino, ossia come prestazione concernente i diritti civili e sociali, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Niente viene detto sul superamento della differenziazione sostanziale di godimento del diritto che si associa ad una parallela differenziazione territoriale, nonostante la commissione riscontri “una utilizzazione a macchia di leopardo” (MIT, 2019, 5) delle stesse a livello regionale e comunale, a testimonianza di una recente e spiccata tendenza a declinare in ambito locale i diritti costituzionalmente riconosciuti.
Nel complesso, le indicazioni della commissione non sembrano in grado di poter indirizzare il legislatore verso un mutamento profondo dei sistemi di dotazioni urbane, soprattutto perché il suo sforzo sembra essersi incentrato principalmente nella conferma delle dotazioni come previsione obbligatoria dei piani.

Un nuovo significato

Gli standard di cui al DI 1444/1968 sono dotazioni quantitative prescrittive da realizzare all’interno degli piani urbani. Essi sono formulati mediante valori numerici di superficie per abitante (sia totali che suddivisi in quattro categorie funzionali) al di sotto dei quali il piano urbanistico comunale non può scendere. Da ciò deriva il carattere puramente operativo del decreto.
Se si ragiona solo in termini quantitativi è possibile affermare che in molte realtà locali le quantità in gioco per abitante superano i minimi prescritti. In altre parole, la questione dell’adeguamento non è una questione di ordine numerico, bensì di connessione tra dotazioni e nuove necessità, nuove sfide e nuovi rischi.
Se l’odierna situazione delle città è la base di partenza per la costruzione di un nuovo sistema di attrezzature, tre sembrano essere i fattori da considerare.
Il primo, di ordine fisico, è che la città non è più in fase di espansione incontrollata. Le trasformazioni interne sono oggi il principale obiettivo della pianificazione e sono un modo efficace per conservare e preservare il suolo naturale e per riqualificare e riutilizzare spazi già antropizzati, fino alla ipotesi non più estrema di riduzione delle volumetrie e delle densità.
Il secondo è di ordine qualitativo. Se le attrezzature pubbliche sono realizzate male o sono inutilizzabili esse sono inefficienti e sono un costo per la collettività.
Il terzo è la rilevanza delle diverse tipologie di dotazioni. L’evoluzione demografica e sociale (riduzione delle nascite, invecchiamento della popolazione, immigrazione, …) rende necessario non solo individuare nuove tipologie di dotazioni urbane ma anche mutarne il peso interno assegnando una rilevanza maggiore ad alcune di esse.
I tre fattori rappresentano il punto di partenza per lo sviluppo di un percorso che porta alla identificazione di nuove tipologie di dotazioni urbane in aggiunta a quelle esistenti. Alcune di queste possono essere individuate nelle dotazioni energetiche rinnovabili e di accesso alle reti, negli standard relativi alle emissioni e alla riduzione di fenomeni come le isole di calore, nella integrazione di funzioni ecosistemiche nel verde urbane, nelle dotazioni agricole urbane, nelle dotazioni connesse alla mobilità pubblica e a quella lenta, nell’housing sociale.
La valutazione di efficienza ed efficacia del nuovo sistema di dotazioni potrà basarsi sull’uso di un sistema di requisiti che caratterizzino le dotazioni urbane in termini di prestazioni quantitative e qualitative ed in riferimento alle loro condizioni di utilizzo. In questa prospettiva i requisiti garantiscono che le dotazioni rispondano a specifiche necessità in termini di uso, semplicità, costo di gestione, adeguatezza tecnologica e sostenibilità. Essi diventano dei regolatori finalizzati a garantire il funzionamento e l’efficienza delle attrezzature, a fornire migliori prestazioni e a caratterizzarsi per una specifica attrattività che incoraggi l’utente a identificarsi nel servizio e a sentirlo come parte della sua esperienza urbana (Hinterhuber et al., 1997).
Di seguito sono evidenziati una serie di potenziali requisiti, alcuni dei quali simili agli obiettivi ipotizzati dalla commissione, con l’avvertimento che l’elenco è aperto a ulteriori ampliamenti e che essi sono comunque interconnessi (Mazzeo et al., 2019):

  • durata e livelli di funzionalità, ossia capacità delle attrezzature di svolgere nel tempo il loro servizio mediante identificazione delle soglie al di sotto delle quali esse vanno riqualificate;
  • qualità dei materiali, allo scopo di garantire la durata delle attrezzature e, allo stesso tempo, la sostenibilità e la compatibilità ambientale per l’intero ciclo di vita dell’opera;
  • consumi ridotti ed efficienti per i servizi che necessitano di risorse per il loro funzionamento. Il riferimento è alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al consumo di acqua ed alle caratteristiche dei materiali utilizzati;
  • limiti di emissione, ossia uso di materiali che consentono isolamento e stabilità riducendo le emissioni in atmosfera;
  • flessibilità temporale, intesa come possibilità che l’attrezzatura possa essere utilizzata per l’intero arco giornaliero grazie ad una riorganizzazione dei processi di gestione e alla utilizzazione di tecniche di contenimento dei consumi;
  • flessibilità di uso, intesa come la possibilità di usi multipli, anche non facenti capo alla stessa categoria di destinazione, per spazi e per fasce orarie. Esso presuppone che lo spazio possa essere facilmente adattato alle diverse esigenze;
  • nuovi modelli gestionali, necessari per incrementare i processi di contribuzione sociale alla costruzione della città pubblica e alla razionale utilizzazione delle risorse.

Elementi di riflessione

La letteratura urbanistica italiana ha spesso sottolineato le questioni generate dalla legislazione sugli standard: dispositivi fortemente regolativi, interesse incentrato solo sugli aspetti quantitativi, scarsa attenzione alle dotazioni non tipizzate, indifferenza alle specificità territoriali (Falco, 1987; Treu, 1998; Campos Venuti, 2011; Zoppi, 2003; Giaimo, 2018).
Nel tempo, le proposte di adeguamento si sono incentrate sulla qualità e sulla flessibilità delle dotazioni, ma non hanno mai avuto una traduzione normativa a livello nazionale. Accanto a queste si pone oggi la questione dell’adeguamento delle attrezzature ad una mutata realtà urbana causata dai cambiamenti di ordine demografico, sociale, economico ed ambientale.
Anche il riuso delle dotazioni esistenti è un argomento di grande interesse che presenta almeno tre aspetti critici, ossia l’opportunità di intaccare lo stock di beni pubblici, in alcuni casi sovradimensionato, i costi di manutenzione e di gestione e la capacità della città di adeguare la sua offerta al mutare delle esigenze, realizzando attrezzature che abbiano una elevata flessibilità di uso.
Un fattore di equità complessivo risiede nel superamento delle condizioni che hanno generato, su base territoriale, una applicazione differenziata della normativa sugli standard. Senza il superamento di questa distorsione diviene quasi superfluo insistere sulla necessità e obbligatorietà degli stessi, così come sulla necessità di una rinnovata declinazione delle dotazioni.

Giuseppe Mazzeo,ISMed – CNR, Napoli

Riferimenti bibliografici

Campos Venuti G. (2001), Il Piano per Roma e le prospettive dell’urbanistica italiana, Urbanistica, 116: 43-46.
Falco L. (1987), I nuovi standard urbanistici, Roma: Edizioni delle autonomie.
Giaimo C. (ed.) (2018), Dopo 50 anni di standard urbanistici in Italia, Roma: INU Edizioni.
Indovina F., Savino M. (2003), Una riforma urbanistica?, Archivio di studi urbani e regionali, 77: 167-178.
Hinterhuber H.H., Matzler K., Bailom F., Sauerwein E. (1997), Un modello semiqualitativo per la valutazione della soddisfazione del cliente, Micro & Macro Marketing, VI, 1: 127-144. doi: 10.1431/2323.
MIT (2019), Adeguamento del Decreto Interministeriale 2 aprile 1968 n.1444 alle nuove dotazioni urbanistiche necessarie per i processi di miglioramento della qualità urbana e per la disponibilità di nuovi presidi per la coesione sociale e disciplina dei parametri di altezza e distanza da osservare nella pianificazione urbanistica e nelle costruzioni, Roma: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Relazione conclusiva.
Mazzeo G., Zucaro F., Morosini R. (2019), Green is the colour. Standards, equipment and public spaces as paradigm for the Italian sustainable city, Tema. Journal of Land Use, Mobility and Environment, 12, 1: 31-52, doi: 10.6092/1970-9870/5836.
Treu M.C. (1998), Standard urbanistici e ambientali. Le questioni in gioco, Territorio, 8: 7-10.
Zoppi C. (2003), Servizi pubblici e qualità della vita urbana, Roma: Gangemi editore.

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