di: Cristiana Mattioli
EyesReg, Vol.9, N.3, Maggio 2019
Makerspace in Italia: una geografia diffusa e distrettuale
In Italia esistono attualmente 130 spazi di fabbricazione digitale [1] che ne fanno uno dei primi Paesi al mondo per numero e diffusione. Diverse indagini (Menichinelli, Ranellucci, 2014) hanno messo in evidenza una maggiore presenza di makerspace [2] nei territori del Nord e Centro Italia, e in alcune aree metropolitane. Se la diffusione territoriale non è una specificità solo italiana (Sleigh et al., 2015; Rosa et al., 2017), è interessante notare come molte esperienze nascano in contesti distrettuali, mostrando un’evidente prossimità fisica e relazionale tra design, produzione e making (Bianchini et al., 2015). Arrivato in ritardo nel nostro Paese – sostanzialmente dopo il 2011 –, il fenomeno sembra essersi, dunque, innestato su una base imprenditorial-artigianale preesistente, propria del Made in Italy (Micelli, 2011).
Partendo dal riconoscimento del Nord-est (Seu, 2019) e dell’asse Milano-Bologna come “centro nevralgico” del fenomeno making, si è deciso di analizzare il caso dell’Emilia centrale (in particolare, quattro Fab Lab nelle province di Modena e Reggio Emilia) per comprendere la natura e il carattere dei makerspace che operano al di fuori dei contesti metropolitani, indagandone in particolare le relazioni con l’ancora vivace tessuto produttivo distrettuale e il contesto socio-istituzionale.
Storie di spazi
Due esperienze urbane
Supportato e finanziato da REI – società pubblico-privata di trasferimento e innovazione tecnologica – e dall’amministrazione cittadina, il Fab Lab Reggio Emilia Innovazione comincia la sua attività in modo sperimentale nel 2012 all’interno di Spazio Gerra, centro per la cultura contemporanea, con una doppia missione: fornire supporto alle imprese nello sviluppare innovazione; promuovere l’apprendimento e l’utilizzo di strumenti tecnologici da parte dei cittadini. La localizzazione centrale di pregio, la comunicazione efficace e l’organizzazione di alcuni eventi rendono presto il Fab Lab uno spazio aperto alla città, con una comunità di circa 200 persone. Il successo iniziale si ridimensiona con il trasferimento all’interno dei Musei Civici, spazio di qualità progettato dall’arch. Italo Rota, ma dalle ridotte dimensioni, poco visibile e soggetto a forti restrizioni nell’accesso. Segue un ulteriore e definitivo spostamento all’interno del nuovo Tecnopolo, in un’area in trasformazione a nord della ferrovia, dove le attività si riducono fino a interrompersi.
Figura 1. Il Fab Lab all’interno di Spazio Gerra (fonte: www.francescobombardi.it)
Makers Modena Fab Lab avvia la sua attività nel 2015, al pianoterra di un grande edificio residenziale semi-centrale (R-Nord), oggetto di un importante intervento pubblico di rigenerazione urbana. Il Fab Lab dispone di uno spazio di 220 mq, concesso gratuitamente dal Comune di Modena in cambio della sua apertura quotidiana e della fornitura di servizi a basso costo alla cittadinanza [3], mentre le attrezzature e i lavori sono stati finanziati da Democenter-Sipe – fondazione impegnata nel trasferimento tecnologico alle imprese – e Cambia.MO S.p.A. – società di trasformazione urbana – attraverso un bando regionale. Le attività principali riguardano: la produzione digitale; la fornitura di servizi di consulenza e formazione alle imprese; l’organizzazione di corsi aperti a creativi e cittadini.
Figura 2. L’edificio R-Nord, sede di Makers Modena (foto dell’autrice)
Due esperienze distrettuali
Casa Corsini Fab Lab è localizzato a Fiorano Modenese (MO) ed è attivo dal 2015. Concepito e finanziato dal pubblico (con un investimento iniziale di 50.000 €), questo Fab Lab occupa una piccola stanza al secondo piano di un attrezzato centro civico comunale, arricchendo, insieme al coworking, un’offerta già ricca e articolata di servizi e attività (centro giovanile, sale prova, fonoteca, auditorium). Il makerspace promuove lo sviluppo di competenze e la formazione dei soggetti locali, con una specializzazione nel campo dell’educazione che ha portato alla recente apertura del primo Fab Lab Junior regionale. L’organizzazione di eventi e incontri ha portato alla creazione di un’associazione di makers che oggi gestisce lo spazio, garantendo un’apertura serale alla settimana.
Figura 3. Il Fab Lab Junior all’interno di Casa Corsini (fonte: pagina FB FabLab Junior – Fiorano Modenese)
Anche il Fab Lab di Scandiano (RE) si colloca all’interno di una struttura pubblica, un centro culturale di 2.000 mq realizzato in un’ex polveriera. Recentemente trasformato nel polo Made – Magazzino di Esperienze, i lavori di rimodulazione del centro giovani hanno riguardato la realizzazione di una caffetteria aperta al pubblico, oltre a spazi per lo studio, il lavoro (coworking) e il tempo libero. Il Fab Lab, finanziato dall’impresa sociale Base, occupa una piccola stanza al primo piano e interagisce con l’aula informatica sponsorizzata da Coop Alleanza 3.0. Pensato come spazio di formazione e sperimentazione, offre corsi e workshop di modellazione, stampa 3D e nuove tecnologie.
Figura 4. L’ingresso del Made di Scandiano (foto dell’autrice)
Nuovo lavoro o nuovo welfare?
Le quattro esperienze esaminate rientrano in strategie e politiche più generali: nel progetto ‘Area Nord per l’innovazione, la creatività, lo sviluppo delle competenze’ a Reggio Emilia, nel ‘Hub Modena R-Nord’, nei centri civici di Fiorano Modenese e Scandiano.
Si tratta di iniziative sostenute dal soggetto pubblico per rendere la città più attrattiva (marketing territoriale) o rilanciare interventi di riqualificazione urbana e animazione territoriale. Entro tali progetti, il Fab Lab è innanzitutto uno spazio di innovazione sociale e community building che si inserisce all’interno delle politiche giovanili o, al più, rappresenta un elemento – insieme a coworking e incubatori di start up – delle “politiche attive” del lavoro, in risposta a nuove forme di precarietà. È in questo senso che questi luoghi diventano oggi “spazi del nuovo welfare”, andando a completare un’offerta già ampia e articolata (Renzoni, 2018). Sono spazi di relazione, formazione ed educazione (Sheridan et al., 2014), “spazi abilitanti” che consentono di superare forme di vulnerabilità e marginalità sociale, dando vita a nuove comunità di pratiche (Pasqui, 2008), per lo più amatoriali o legate alla dimensione hobbistica, più raramente a spin off.
Nonostante l’attivazione di partnership con i privati (Anderson, 2012; Van Holm, 2015), il ruolo sociale prevale quindi su quello manifatturiero, limitando le possibili interazioni con le piccole imprese distrettuali, che, essendo prive di laboratori interni, potrebbero invece rappresentare il naturale bacino di utenza dei nuovi spazi di fabbricazione digitale (Eychenne, 2012).
Quali spazi per il nuovo lavoro?
Sebbene il soggetto pubblico sostenga la formazione dei workplace attraverso la messa a disposizione di immobili, ceduti in comodato d’uso gratuito (Inti et al., 2014), manca una cornice programmatica capace di tenere insieme produzione, socialità e spazio urbano (Pacchi, 2015).
Una questione importante attiene allora la natura e la localizzazione degli spazi riattivati. Per quanto riguarda l’organizzazione fisico-spaziale, non sembrano emergere particolari differenze con quelle dei makerspace metropolitani (Morandi, Di Vita, 2015; Pacchi, 2017). Gli spazi sono perlopiù di ridotte dimensioni, flessibili e informali e combinano attività di fabbricazione con funzioni di socializzazione (angolo cucina, spazi relax, ecc.) rivolte a target di utenti differenti (studenti, professionisti e progettisti, appassionati), concentrando l’attenzione sulla qualità e il comfort degli ambienti interni.
Emerge, invece, una certa indifferenza localizzativa. Le esperienze analizzate si collocano, infatti, in contesti eterogenei: aree urbane centrali o semi-centrali nelle città capoluogo – non sempre facilmente accessibili con il mezzo privato –; luoghi più decentrati ma ben collegati e prossimi ad altre attrezzature pubbliche (scuole, parchi, ecc.) nei contesti distrettuali.
Più rare, le storie di riuso “produttivo” (Robiglio, 2017). Tra i makerspace considerati, nessuno si colloca, infatti, in un ambito produttivo, nonostante la grande disponibilità di capannoni vuoti e inutilizzati, adatti a ospitare anche forme del nuovo lavoro (Lanzani e Zanfi, 2010).
Ciò evidenzia, da un lato, come i makerspace siano spesso intesi riduttivamente come “simboli” dell’innovazione urbana, con richiamo alla generica smart city. Dall’altro, è evidente come sia più facile per gli enti locali intervenire su immobili pubblici. Ciononostante, anche nelle città emiliane, lo svuotamento del patrimonio produttivo privato suggerisce la sperimentazione di procedure innovative per sostenere interventi di rigenerazione urbana, sociale ed economica.
A Modena, è nel Villaggio Artigiano Ovest – storico quartiere produttivo-residenziale della città (Comune di Modena e CAP, 2003) dove avrebbe dovuto inizialmente localizzarsi il Fab Lab – che, attraverso il riuso di un’officina privata, affittata nel 2015 dal Consorzio Attività Produttive Aree e Servizi, si è dato vita a #ovestlab. Lo spazio è attualmente un contenitore multidisciplinare che promuove l’intreccio tra artigianato, creatività e arte, una “fabbrica civica” in legame con il territorio, la comunità e le imprese, assegnata in co-gestione alle associazioni Amigdala e Archivio Architetto Cesare Leonardi dal 2017.
A Reggio Emilia, invece, l’ente pubblico si è fatto intermediario tra domanda e offerta, attivando un processo di riuso temporaneo di fabbriche dismesse nel quartiere Santa Croce per insediare funzioni di interesse pubblico (culturali, sportive e sociali) che possano modificare l’immagine e l’identità di un’area urbana oggi degradata e marginalizzata (Iori e Sbarzaglia, 2019), ma in via di trasformazione (Mattioli e Setti, 2018).
Con questi interventi, la pubblica amministrazione cerca di ovviare contemporaneamente alla crisi del welfare, alla difficoltà di gestione urbanistica delle aree dismesse e alla stagnazione del mercato immobiliare locale, coinvolgendo soggetti diversificati in azioni di cura e rigenerazione della città esistente. Paradossalmente, mentre i makerspace ampliano l’offerta socio-culturale esistente – inserendosi all’interno di strutture pubbliche come musei e centri civici –, nel caso di edifici produttivi ordinari appare difficile andare oltre le collaudate strategie di riuso socio-culturale (Munarin e Tosi, 2011) e stimolare processi di riattivazione economico-produttiva in grado, al contempo, di riqualificare il contesto urbano e generare nuova occupazione e attività imprenditoriale attraverso l’ibridazione di manifattura tradizionale e digitale (Bonomi, 2013).
Figura 5. Un evento organizzato presso #ovestlab.
Cristiana Mattioli, DASTU – Politecnico di Milano
Riferimenti bibliografici
Anderson C. (2012), Makers. The New Industrial Revolution, New York: Crown Pub.
Bianchini M., Bombardi F., Carosi A., Maffei S., Menichinelli M. (2015), Makers’ inquiry (Italia). Un’indagine sui maker italiani e sul Make in Italy, Milano: Libraccio Editore.
Bonomi A. (2013), Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi, Torino: Einaudi.
Comune di Modena, Consorzio Attività Produttive Aree e Servizi (2003), L’invenzione dei villaggi artigiani. Governo del territorio e sviluppo economico nell’esperienza modenese, Modena.
Eychenne F. (2012), FAB Labs. Tour d’horizon, FING.
Gershenfeld N. (2005), Fab: The Coming Revolution on Your Desktop – From Personal Computers to Personal Fabrication, New York: Basic Books.
Inti I., Cantaluppi G., Persichino M. (2014), Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono, in Italia, Milano: Altra Economia.
Iori E., Sbarzaglia D. (2019), Il riuso temporaneo come prassi adattiva per nuove politiche urbane di rigenerazione della città, in Atti della XXI Conferenza Nazionale SIU “Confini, movimenti, luoghi
politiche e progetti per città e territori in transizione”, Università degli Studi di Firenze, 6-8 Giugno 2018 [in pubblicazione].
Lanzani A., Zanfi F. (2010), Piano Casa. E se la domanda fosse quella di ridurre gli spazi?, Dialoghi Internazionali – Città nel Mondo, 13: 126-145.
Menichinelli M., Ranellucci A. (2014), Censimento dei laboratori di fabbricazione digitale in Italia, Milano: Fondazione Make in Italy.
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Van Holm E.J. (2015), Makerspaces and Contributions to Entrepreneurship, Procedia – Social and Behavioral Sciences, 195: 24-31.
www.casacorsini.mo.it/fab-lab/
www.comune.modena.it/modena-smart-community/smart-economy/hub-modena-r-nord-il-centro-di-sviluppo-di-modena-per-le-imprese-web-e-ict-di-tutto-il-mondo
www.mak-er.it
www.makers.modena.it
www.ovestlab.it
www.parcoinnovazione.it
www.polomade.it
www.reinnova.it/servizi-alle-imprese-2/laboratori-di-ricerca-industriale/fablab/
www.rigenerazione-strumenti.comune.re.it/
Note
[1] Dati elaborati nell’ambito della ricerca FARB Nuovi luoghi del lavoro. Promesse di innovazione, effetti nel contesto economico e urbano del Politecnico di Milano (DAStU), marzo 2017-agosto 2018.
[2] Il termine individua, genericamente, uno spazio adibito alla progettazione e fabbricazione di oggetti. Il Fab Lab è, invece, uno spazio dedicato specificamente alla produzione digitale (Gershenfeld, 2005).
[3] Il Fab Lab è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 21. L’accesso è soggetto alla registrazione annuale di 20 €, mentre l’uso delle macchine comporta il pagamento del servizio, dei materiali e di un corso introduttivo obbligatorio. Lo spazio ha raccolto 400 tesserati in 3 anni.