Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Dispersione urbana ed entrate dei comuni italiani: un’analisi empirica

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di: Angela Stefania Bergantino, Giuseppe Di Liddo e Francesco Porcelli

EyesReg, Vol.9, N.5, Settembre 2019

A partire dagli anni ’90 il fenomeno dell’espansione urbana verso le zone periferiche (Brueckner, 2000) ha costituito uno dei più evidenti cambiamenti che ha interessato un numero crescente di città Italiane. Studi recenti dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) mostrano che in Italia, nel periodo 2000-2006, le aree periferiche e suburbane sono cresciute quattro volte più velocemente dei centri urbani. In generale, in tutta Europa, nonostante le aree urbane coprano solo il 4% della superficie (il 5% in Italia), la loro dispersione comporta che almeno un quarto del territorio sia direttamente coinvolto da un uso “urbano”. (ISPRA, 2013).

I dati forniti dal Land Use and Cover Area frame Survey di Eurostat (Eurostat, 2013) mostrano che il 7,8% del suolo italiano è interessato dal fenomeno dell’antropizzazione (edifici, strade, case, ferrovie, miniere ecc.) a fronte di una media europea del 4,6%. L’Italia si posiziona al quinto posto in Europa dopo Malta (32,9%), Belgio (13.4%), Paesi Bassi (12.2%) e Lussemburgo (11.9%).

La crescita delle aree periferiche non è l’unico elemento caratterizzante il fenomeno della dispersione urbana o “urban sprawl”. Quest’ultimo è un fenomeno più complesso, determinato da nuove tendenze nei criteri di insediamento nati dal desiderio delle famiglie di vivere nelle campagne circondate dal verde, spesso in seconde case su lotti edificabili economici. Questa nuova forma di crescita urbana, avvenuta soprattutto in Europa e Nord America (Jaeger et al., 2010), è stata identificata come un processo di invasione degli spazi verdi e delle aree che una volta erano a bassa densità di popolazione (Altinok e Cengiz, 2008).

Gli effetti dello “urban sprawl” sono ben noti e includono l’abbassamento della produttività delle aree agricole (Rovai et al., 2010), un elevato livello di inquinamento dell’aria generato dall’eccessivo utilizzo dell’automobile e dalla conseguente congestione del traffico stradale (Camagni et al., 2002; Travisi et al. 2010). Un chiaro esempio di “sistema” di aree urbane disperse (Calafati, 2003) è dato dalle aree urbane della pianura padana che ormai sono caratterizzate da una complessa rete di centri medio-piccoli ma strettamente interconnessi (Turri, 1990; 2004).

Tale fenomeno può avere effetti anche sui principali aggregati della finanza pubblica locale, a causa dell’aumento dei costi di fornitura dei servizi pubblici locali dovuti al mancato sfruttamento delle economie di scala che spesso li caratterizzano. La bassa densità abitativa, infatti, richiede notevoli investimenti per estendere le infrastrutture di base a grandi distanze dal centro urbano per raggiungere un numero relativamente basso di residenti (Carruthers, 2002; Carruthers e Ulfarsson, 2003; 2008).

La dispersione urbana può avere un impatto notevole anche sulle entrate locali. Infatti, con lo sviluppo di nuove aree abitate, possono aumentare le entrate comunali associate alle concessioni edilizie e alle imposte sugli immobili di nuova costruzione (Wassmer, 2002; Paulsen, 2013; Brandt, 2014) da un lato, per un altro verso potrebbe aumentare lo sforzo fiscale richiesto ai cittadini per coprire i maggiori costi derivanti dal più alto livello di dispersione urbana. Sulla base delle ricerche effettuate (citarne alcune), tuttavia, non sembra esiste ancora una letteratura empirica che approfondisce la relazione tra urban sprawl e fiscalità locale.

La presente analisi mira ad approfondire le conoscenze sul legame tra espansione urbana ed entrate fiscali locali considerando la totalità dei comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario. Nell’analisi empirica verrà usato, a fianco dei tradizionali indici forniti dall’ISPRA, una nuova misura di dispersione urbana “relativa” all’attività economica presente nelle singole municipalità. Tale nuova misura, denominata Relative Measure of Urban Sprawl (RMUS), permette di ovviare ad alcuni problemi causati dall’utilizzo delle misure tradizionali che spesso sono correlate al livello di attività economica presente sul territorio (Bergantino et al.; 2018). L’utilizzo di tale indicatore costituisce il principale elemento di novità della presente analisi dal punto di vista metodologico, mentre l’utilizzo di un campione costituito da tutti i comuni italiani ne sostanzia i risultati dal punto di vista delle implicazioni di policy. Come ulteriore contributo, da ultimo, il lavoro mette in relazione la dispersione urbana con il livello di sforzo fiscale delle entrate tributarie per i comuni italiani.

Misure di dispersione urbana

Nell’analisi che segue si utilizzano quattro diversi indicatori del grado di urban sprawl basati su immagini da satellite (ISPRA, 2018). Tra questi ritroviamo due indicatori di densità quali l’Edge Density (ED), che descrive la frammentazione del paesaggio attraverso la densità dei margini del territorio urbanizzato (rapporto tra la somma totale dei perimetri dei poligoni delle aree costruite e la loro superficie) e l’Index of Urban Dispersion (IUD) che misura l’apporto tra aree ad alta e bassa densità. I due indicatori di densità sono accompagnati da altri due indicatori di diffusione, il Largest Class Patch Index (LCPI), ovvero l’ampiezza percentuale del poligono di area costruita di dimensioni maggiori e il Remaining Mean Patch Size (RMPS), che misura l’ampiezza media dei poligoni residui, escluso quello maggiore, valutando così la diffusione delle città attorno al nucleo centrale.

Questi quattro indicatori di densità (o dispersione) basati su immagini cartografiche da satellite generano vari problemi nell’utilizzo per analisi empiriche, principalmente associati all’esatta definizione delle aree urbane (Sutton, 2003). Un’alternativa a tali misure possono essere le immagini da satellite fornite dal US Defense Meteorological Satellite Program’s Operational Linescan System (DMSP OLS) in merito all’intensità della luminosità notturna del territorio, che però pongono altri problemi legati alla correlazione con le variabili socioeconomiche che caratterizzano le aree urbanizzate (Sutton, 2003). Tale correlazione tra la luminosità notturna delle aree urbane e i principali indicatori di sviluppo economico (indicatori di sviluppo umano o prodotto interno lordo) è stata dimostrata da una serie di studi empirici (Bruederle e Hodler, 2018) e non rende direttamente utilizzabili queste immagini come misura della dispersione urbana: il rischio è di confondere l’intensità luminosa dovuta all’espansione territoriale con l’intensità luminosa dovuta allo sviluppo economico.

La RMUS ovvia a questi problemi in quanto, pur essendo anch’essa una misura basata sulla luminosità dei nuclei urbani catturata dalle immagini notturne via satellite, nella sua misurazione basata su tecniche econometriche si è tenuto conto solo di quella parte della luminosità notturna che non è dovuta alle caratteristiche socioeconomiche e morfologiche del territorio (Bergantino et al., 2018). Nelle analisi empiriche i valori della RMUS sono stati standardizzati per ottenere un indice di media pari a zero e deviazione standard pari ad uno.

Analisi empirica

La strategia empirica consiste nella stima di due funzioni di entrata separate per il gettito delle entrate tributarie e per lo sforzo fiscale. Quest’ultimo è ottenuto come differenza tra il gettito delle entrate tributarie e la capacità fiscale dei comuni italiani (dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze). La capacità fiscale rappresenta il gettito potenziale da entrate proprie di un territorio, data la base imponibile e l’aliquota legale standard.

In termini generali la funzione di entrata assume la forma:

Nell’equazione (1) la variabile dipendente (r) rappresenta le entrate tributarie o lo sforzo fiscale, a seconda del modello econometrico utilizzato. Tra le variabili esplicative ritroviamo variabili riconducibili alle basi imponibili (B); variabili che catturano le preferenze locali (P) come, ad esempio, la struttura della popolazione per classi d’età; variabili legate alla struttura geografica del territorio (G). Infine il vettore s rappresenta la misura di dispersione o densità utilizzata di volta in volta nelle diverse specificazioni. La specificazione lineare del modello econometrico è riportata nell’equazione (2) in cui è esplicitata la componente idiosincratica dell’errore ε_i e le variabili monetarie sono espresse in termini logaritmici in modo da ridurre i problemi legati all’eteroschedasticità:

Le statistiche descrittive sono riportate nella tabella 1. I dati sulle variabili di categoria B e r sono forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), i dati sulle variabili G dall’ISTAT, quelli sulle variabili P dall’ISTAT e quelli sulle misure di dispersione sono tratti da ISPRA (2018) e Bergantino et al. (2018).

Tabella 1: Statistiche descrittive (2012)

I risultati delle stime puntuali dei coefficienti del modello sono riportati nelle tabelle 2 e 3 considerando come variabile dipendente, rispettivamente, il gettito storico e lo sforzo fiscale relativo alle entrate tributarie. In entrambi i casi è stato utilizzato uno stimatore OLS con errori robusti per l’eteroschedasticità. Il riferimento temporale delle stime è il 2012, prima annualità per la quale si è proceduto al calcolo della capacità fiscale delle entrate tributare proprie dei comuni italiani.

Guardando ai risultati delle stime ottenute utilizzando le entrate tributarie come variabile dipendente (tabella 2) possiamo notare che, tra gli altri, i coefficienti stimati associati al valore degli immobili e ai redditi sono statisticamente significativi ed hanno segno positivo, come atteso. I coefficienti associati alla popolazione under 14 sono negativi e statisticamente significativi. Inoltre, i comuni con amministrazioni di destra e amministrati da liste civiche registrano maggiori entrate tributarie.

Tabella 2: Stimatore OLS. Regressione. Variabile dipendente: logaritmo dell’ammontare delle entrate tributarie

Riguardo alle stime dei coefficienti associati alle misure di urban sprawl, i risultati ottenuti usando gli indicatori dell’ISPRA non sono robusti. I segni dei coefficienti associati alle misure di densità e quelli delle misure di frammentazione sono discordanti. Il coefficiente associato alla variabile RMUS non è statisticamente significativo. Per questo motivo è interessante guardare ai risultati ottenuti utilizzando come variabile dipendente lo sforzo fiscale, cioè la quota di entrate che eccede la capacità fiscale (tabella 3). Si può notare come, in questo caso, le stime dei coefficienti associati gli indicatori forniti dall’ISPRA e alle restanti variabili di contesto siano in linea con quelle sulle entrate tributarie, seppur con diversi gradi di significatività statistica. Il coefficiente associato alla variabile RMUS è invece positivo e statisticamente significativo.

Tabella 3: Stimatore OLS. Regressione. Variabile dipendente: logaritmo dell’ammontare dello sforzo fiscale

Conclusioni

Questo lavoro ha mostrato come, una volta depurati gli effetti dello sviluppo economico locale, sembra esistere un legame positivo tra lo urban sprawl e sforzo fiscale a livello comunale: i comuni con livelli più elevati di dispersione urbana tendono a sfruttare più intensamente le basi imponibili locali per far fronte alle maggiori spese causate dalla più elevata dispersione dei nuclei abitativi.

Questo risultato pone le basi, quindi, per una più ampia indagine su come la dispersione urbana possa riflettersi criticamente sui bilanci locali e e dunque offrire suggerimenti di policy su un ambito poco studiato tradizionale che ha teso ha confinare il fenomeno della dispersione urbana ai margini delle politiche del territorio e di spesa. Inoltre, dal punto di vista metodologico, la mancanza di robustezza delle stime ottenute utilizzando i tradizionali indicatori di dispersione o densità conferma i limiti del loro impiego nelle analisi econometriche e l’esigenza di indicatori più appropriati, come quelli proposti da Bergantino et al. (2018).

Angela Stefania Bergantino, Giuseppe Di Liddo, Università degli studi di Bari “Aldo Moro””, Dipartimento di Economia, Management e Diritto d’Impresa

Francesco Porcelli, SOSE s.p.a. e University of Warwick (CAGE)

Riferimenti bibliografici

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Bergantino A.S., Di Liddo G., Porcelli F. (2018), A relative measure of urban sprawl for Italian municipalities using satellite Light Images. Forthcoming on Applied Economics.

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