Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Trend occupazionale e perifericità territoriale

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di: Luca Scolfaro

EyesReg, Vol.8, N.3, Maggio 2018

 

 

Con la programmazione 2014-2020, si è più volte sottolineato come in Italia, nelle aree interne, l’andamento occupazionale può essere interpretato come fenotipo di una perdita progressiva (o di una mancanza) dei servizi di base su un territorio, che ha determinato l’esistenza di conseguenti diseconomie di scala. D’altra parte questo trend è stato sovente associato sia al processo di spopolamento e di invecchiamento delle comunità residenti, sia dalle profonde trasformazioni macroeconomiche, come l’industrializzazione e la progressiva terziarizzazione dell’economia (Barca et al, 2014).

L’obiettivo di questo contributo è quello di fornire un’interpretazione territoriale dell’occupazione, fermo restando le componenti socio-economiche fondamentali, tra cui alcuni trend demografici di riferimento. L’ipotesi che guida lo sviluppo di questo lavoro e che si intende verificare è: la variazione percentuale del tasso di occupazione nel periodo di riferimento (1971-2001) è inversamente correlata al grado di perifericità territoriale.

 

La metodologia

Si è proposta un’analisi di carattere quantitativo, realizzata attraverso il database di OpenAreeinterne, reso disponibile sul sito dell’Agenzia per la Coesione Territoriale (aggiornamento al 2014). Il database è frutto della complessa fase di diagnostica, propedeutica alla fase di istruttoria che ha comportato la zonizzazione delle aree target su cui concentrare le risorse derivanti dai Fondi Strutturali e di Investimento. Si è scelto di descrivere il fenomeno in termini di processo, utilizzando un modello di regressione lineare di seguito rappresentato:

Y= α + β1 + β2 + β3 + β4 + β5 + β6 + β7     

Y = variabile dipendente, variazione percentuale del tasso di occupazione (1971-2001)

α = intercetta

β1 = grado di perifericità territoriale (2014). Con la crescita del valore, si aggrava la condizione di perifericità del comune considerato. Per questa classificazione si riprende Barca et al. (2014)  (poli=0, cinture=1, intermedi=2, periferici=3, ultraperiferici=4). Sebbene il periodo di riferimento sia differente dalla rilevazione di questo dato, si suppone comunque che questa informazione è imprescindibile per l’interpretazione offerta in quanto è un dato strutturale: il processo di marginalizzazione territoriale dei comuni con la conseguente perdita di servizi è un processo intrinseco rispetto al periodo di riferimento considerato, e l’osservazione del 2014 ne restituisce semplicemente i risultati.

β2 = variazione percentuale addetti settore manifatturiero (1971-2001)

β3 = variazione percentuale addetti settore servizi (1971-2001)

β4 = variazione percentuale addetti settore agricolo (1971-2001)

β5 = variazione percentuale popolazione (1971-2001)

β6 = variazione percentuale popolazione over65 (1971-2001)

β7 = variazione percentuale del rapporto popolazione over65 su occupazione (1971-2001)

 

Risultati

Il modello di regressione presenta tutte variabili significative e un R2 soddisfacente (Tab. 1). Confermando quanto enunciato nell’ipotesi, la variabile indipendente espressa come il grado di perifericità territoriale è inversamente correlata con la variazione percentuale degli occupati nel periodo di riferimento, confermando come l’accessibilità ai servizi di base (istruzione, sanità e mobilità) sia strettamente associata alla capacità occupazionale dei territori.

Anche la variazione percentuale della popolazione è inversamente correlata rispetto alla variabile dipendente. Questo comporta che al crescere della variazione percentuale della popolazione si manifesta una decrescita della variazione percentuale del tasso di occupazione tra il 1971 e il 2001. La presenza di una correlazione che potrebbe apparire contro-intuitiva rispetto a quanto detto in Barca et al (2014) è spiegata sia dall’andamento occupazionale tendenzialmente negativo che ha colpito molte aree urbane e peri-urbane, sia dalla performance delle aree intermedie, non tutte in crisi demografica. Infatti, il 42% di queste presenta andamenti demografici positivi, mentre lo spopolamento viene associato alla perdita della capacità occupazionale dei territori periferici e ultra-periferici (Tab. 2).

Se da una parte la correlazione positiva tra variazione percentuale degli OVER65 e variabile dipendente conferma la presenza di un generale invecchiamento della popolazione, dall’altra si registra una correlazione negativa tra il rapporto over65/popolazione attiva e variazione percentuale del tasso di occupazione nel periodo di riferimento, sintomo come siano proprio le comunità aventi un più elevato tasso di popolazione anziana dipendente a registrare una minore capacità occupazionale.

Tabella 1. Modello OLS – Regressione

 

Fonte: nostre elaborazioni su dati provenienti dal database OpenAreeinterne

 

Nell’ambito del processo di trasformazione economica nel periodo di riferimento di carattere postindustriale, a garantire un maggiore successo in termini occupazionali è – tendenzialmente – il settore dei servizi: le variazioni percentuali degli addetti al settore manifatturiero e quello agricolo sono  debolmente associate alla variabile dipendente, comportando un minor contributo di questi due settori all’andamento generale.

Infine, anche l’intercetta è significativa e sottolinea come il modello rimanga comunque limitato e non consideri elementi esterni che hanno condizionato negativamente l’andamento occupazionale nel periodo di riferimento come gli shock economici esterni.

Tab 2. Bivariata Comuni spopolamento su occupazione

Fonte: nostre elaborazioni su dati provenienti dal database OpenAreeinterne

 

Conclusioni                                                                                                                   

Al netto dei trend demografici e economici, se la crisi occupazionale sembra essere un fenomeno presente su tutte le tipologie territoriali (Tav. 1), si nota comunque come questo sia avvenuto ad intensità diverse: più marcato sulle aree interne, e meno su grandi città – nonostante alcune siano comunque in crisi – e Comuni meno periferici.

Considerando l’insieme dei Comuni italiani, la variazione percentuale della popolazione (e quindi lo spopolamento) di per sé non è in grado di spiegare da solo la variazione percentuale degli occupati. Questo fenomeno non si è presentato in maniera uniforme sul territorio italiano, né ha caratterizzato in maniera omogenea le aree interne La Strategia Nazionale per le Aree Interne quindi, con l’intenzione di garantire la presenza di un sistema di servizi diffuso sul territorio, sembrerebbe offrire uno strumento di policy in grado non solo di compensare uno squilibrio territoriale, ma anche di contrastare la continua perdita della forza lavoro nelle comunità più fragili.

Luca ScolfaroIstituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione-SiTI

 

 

Riferimenti bibliografici

Barca F., Casavola P., Lucatelli S. (2014), Strategia Nazionale per le Aree Interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, Collana Materiali UVAL, 31: 16-35.

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