Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

I programmi comunitari 2014-2020: un confronto internazionale

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di: Giuseppe Albanese, Guido de Blasio

EyesReg, Vol.7, N.2, Marzo 2017

 

I fondi ESIF (European Structural and Investment Funds) rappresentano la voce più rilevante del bilancio dell’Unione Europea (il 43 per cento del totale). Secondo stime della Commissione Europea relative agli anni 2014-16, tali fondi finanzierebbero circa il 14 per cento del totale degli investimenti pubblici nell’area. In base alle informazioni rilasciate dall’Agenzia per la Coesione territoriale, nel nostro paese l’utilizzo dei fondi europei ha pesato nel periodo 2012-14 per l’11 per cento della spesa in conto capitale (24 per cento nel Mezzogiorno).

I fondi ESIF sono impiegati in ciascun paese dell’Unione Europea attraverso programmi co-finanziati anche da risorse nazionali (da qui in poi, “programmi comunitari”). Il Regional Outlook 2016 dell’OCSE argomenta come in molti casi, tra cui l’Italia, i programmi comunitari rappresentano gli unici strumenti di programmazione esistenti in materia di sviluppo regionale, urbano e rurale. Per il ciclo di programmazione 2014-2020 è ora disponibile (https://cohesiondata.ec.europa.eu/) l’informazione statistica ufficiale, relativa sia ai programmi che afferiscono alla coesione economica, sociale e territoriale (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Fondo Sociale Europeo, Fondo di Coesione e Youth Employment Initiative) sia a quelli destinati allo sviluppo del settore primario (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale e Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca).

 

Le dotazioni

Nell’insieme dei 28 paesi dell’Unione Europea, la dotazione complessiva dei programmi comunitari 2014-2020 è di 625,1 miliardi (2). L’intervento in Italia, pari a 73,6 miliardi, rappresenta il secondo per ammontare, dopo quello relativo alla Polonia (Tav. 1). In particolare, l’Italia si colloca al secondo posto per le risorse destinate alla coesione (51,8 miliardi), ed al primo nel campo dello sviluppo rurale e marittimo (21,9 miliardi). In termini relativi, la dotazione italiana ammonta al 4,5 per cento del PIL, un valore significativamente superiore alla media EU-15 (2,7), raggruppamento che include i vecchi membri dell’Unione Europea, e chiaramente inferiore a quella EU-13 (24,7), relativa ai paesi dell’Europa Centro-orientale che hanno aderito all’Unione tra il 2004 e il 2013.

Sull’elevato ammontare dei fondi europei assegnati all’Italia concorre la quota di abitanti in regioni “meno sviluppate”, pari al 29,0 per cento a fronte di una media EU-15 dell’8,5 per cento. L’Italia non beneficia comunque del Fondo di Coesione (pari a 63,4 miliardi), limitato ai paesi con un PIL pro-capite a livello nazionale inferiore al 90 per cento della media europea, e che pertanto nel ciclo 2014-2020 finanzierà i paesi del raggruppamento EU-13 (più Grecia e Portogallo). La dotazione italiana è però accresciuta da un significativo ricorso al co-finanziamento nazionale. L’Italia continua infatti ad impegnare nei programmi comunitari molte risorse proprie: i fondi ESIF coprono soltanto il 58,0 per cento della dotazione; tale quota risulta in media più alta negli altri paesi EU-15 e, soprattutto, tra i nuovi membri dell’Unione, dove raggiunge l’81,5 per cento. L’elevato co-finanziamento ha rappresentato tradizionalmente una modalità per vincolare risorse nazionali in favore degli interventi per lo sviluppo territoriale. L’originale finalità incentivante del meccanismo, per cui chi riceve i trasferimenti contribuisce al progetto anche con risorse proprie, è tuttavia nel caso italiano ridotta dal disallineamento tra soggetti pubblici con responsabilità di spesa (lo Stato) e quelli a cui compete l’attuazione dei programmi (in primis, le Regioni; cfr. sotto). In passato, il vincolo di programmazione settennale si è rivelato difficile da rispettare, soprattutto allorquando le esigenze legate all’evoluzione dell’economia suggerivano una riprogrammazione delle risorse verso altri obiettivi. Inoltre, l’esperienza italiana del ciclo 2007-2013 ha mostrato come i vincoli di finanza pubblica possano ostacolare l’esecuzione dei programmi comunitari, a causa della difficoltà di reperire i fondi da destinare al co-finanziamento nazionale dei fondi europei.

Tavola 1: Dotazione dei programmi comunitari 2014-2020 nei paesi EU-28 (1)
(miliardi di euro, euro e valori percentuali)

Tavola 1Fonte: nostre elaborazioni su dati Commissione Europea e Eurostat

 

Anche se tutte le regioni europee, indipendentemente dal livello del PIL pro-capite, risultano  destinatarie di risorse, i programmi comunitari riguardano principalmente le aree “meno sviluppate”: nel nostro paese, a esse è destinato il 57,9 per cento delle risorse (Tav. 2). Tali dotazioni ammontano al 14,2 per cento del PIL dell’area; si tratta di una quota meno generosa rispetto alla media EU-28 (26,2 per cento), in connessione al fatto che gran parte delle altre aree europee in ritardo di sviluppo risultano localizzate in paesi finanziati anche dal Fondo di Coesione.

 

Tavola 2: Dotazione dei programmi comunitari 2014-2020 nelle aree “meno sviluppate” (1)(2)
(miliardi di euro, valori percentuali ed euro)

Tavola 2Fonte: nostre elaborazioni su dati Commissione Europea e Eurostat.

 

I programmi

Tra i 28 membri dell’Unione Europea, i fondi ESIF sono ripartiti in 457 programmi comunitari. L’Italia rappresenta il primo paese per numero di programmi (75, di cui 51 destinati alla coesione e 24 allo sviluppo rurale e marittimo). Di conseguenza, la frammentazione delle risorse risulta accentuata: la dimensione media dei programmi è pari soltanto a 1,0 miliardi (un dato in linea con la media EU-15, ma pari a un terzo di quella EU-13). La ridotta dimensione può limitare gli oneri burocratici a carico dei soggetti gestori dei singoli programmi; d’altro canto, essa si traduce in una riduzione della scala media degli interventi e in una moltiplicazione dei centri decisionali.

In particolare, nel nostro paese risulta elevato sia il numero di programmi nazionali, sia soprattutto quello di programmi regionali (rispettivamente, 15 e 60; Tav. 3). Questo potrebbe in parte dipendere da differenze nel grado di decentramento amministrativo. Tuttavia, per ciascuna regione italiana vi sono generalmente tre diversi programmi destinati, rispettivamente, agli investimenti e alla crescita, all’occupazione e all’inclusione sociale, e allo sviluppo rurale; al contrario, nella gran parte degli altri paesi vi è di norma un solo programma regionale con finalità di coesione, mentre le risorse per lo sviluppo rurale sono gestite attraverso programmi nazionali.

Ai programmi regionali viene inoltre assegnata la quota prevalente di risorse, pari al 74 per cento (che rende l’Italia uno tra i paesi con la più elevata percentuale di risorse gestite in programmi decentrati). La capacità amministrativa delle istituzioni locali rimane quindi un elemento centrale per l’efficacia della politica per la coesione in Italia. L’effetto delle politiche di sviluppo territoriale è infatti fortemente condizionato dalla qualità delle amministrazioni pubbliche (Becker et al. 2013, Accetturo et al. 2014, Rodriguez-Pose e Garcilazo 2015). Alcuni studi suggeriscono che le differenti capacità amministrative locali siano state cruciali anche per l’efficacia delle iniziative più innovative, come ad esempio nel nostro paese quella degli Obiettivi di Servizio (Barone et al. 2016). Su questi aspetti va ricordato che nel ciclo 2014-2020 sono stati introdotti i nuovi strumenti della condizionalità ex-ante e riserva di performance. La prima intende garantire l’esistenza, come pre-requisito per l’ottenimento dei fondi, di alcune condizioni minime di carattere normativo, amministrativo e organizzativo. La riserva di performance è invece volta a incentivare la capacità dei programmi di raggiungere i propri obiettivi, attraverso risorse aggiuntive da assegnare ai programmi più virtuosi.

Tavola 3: I programmi comunitari 2014-2020 per territorio di riferimento (unità e miliardi di euro)

Tavola 3Fonte: nostre elaborazioni su dati Commissione Europea e Eurostat.

 

La spesa pianificata

Confrontando la spesa pianificata nel ciclo 2014-2020 per Obiettivo tematico (3), emerge come le ripartizioni previste in ciascun paese sono simili tra loro, perché l’orientamento della policy a livello europeo è stata indirizzata verso obiettivi comuni stabiliti in sede comunitaria (in particolare, con la strategia Europa 2020), piuttosto che verso singoli obiettivi prescelti a livello nazionale. In particolare, tale omogeneità è stata perseguita attraverso vincoli di concentrazione tematica (“ring fencing”); le maggiori differenze si riscontrano ancora una volta tra gli aggregati EU-15 ed EU-13, in connessione al fatto che questi ultimi paesi sono destinatari dell’intervento del Fondo di Coesione, rivolto principalmente al finanziamento di investimenti infrastrutturali. Nel complesso, in Italia il 30,7 per cento delle risorse è destinato ad ambiente, territorio ed infrastrutture di rete, il 33,2 a ricerca, sviluppo e competitività delle imprese, ed il 31,2 a capitale umano, occupazione ed inclusione (Tav. 4); tali percentuali sono del tutto paragonabili alla media EU-15, mentre nei paesi EU-13 le risorse sono concentrate per circa la metà nel primo ambito di intervento. La circostanza che gli obiettivi sono stabiliti prevalentemente a livello europeo comporta che l’allocazione delle risorse riflette solo parzialmente le necessità di intervento, ovvero gli ambiti in cui si registrano i ritardi socio-economici più marcati (cfr. Banca d’Italia 2016).

Tavola 4: Spesa pianificata 2014-2020 per categoria (1)
(valori percentuali)

Tavola 4Fonte: nostre elaborazioni su dati Commissione Europea

 

Rispetto al ciclo precedente, in Italia si è ridotto significativamente il peso degli investimenti in infrastrutture di rete, a favore degli interventi su capitale umano, occupazione ed inclusione sociale (analogamente a quanto avvenuto nel resto dell’aggregato EU-15, e a differenza di quanto invece accaduto nei paesi EU-13). Verosimilmente ciò potrebbe ridurre i tempi di esecuzione dei programmi, dato che l’elevata incidenza di progetti rivolti alla realizzazione di opere pubbliche nel ciclo 2007-2013 ha contribuito a rallentare l’attuazione dei programmi (cfr. Banca d’Italia 2015). D’altronde, tali cambiamenti potrebbero incidere sull’efficacia della politica, qualora tali componenti di spesa abbiano differenti effetti di breve e/o lungo periodo (Ciani e de Blasio 2016).

 

L’attuazione

I ritardi nella fase di chiusura del ciclo 2007-2013 da una parte, e le varie novità introdotte nell’attuale ciclo dall’altra, hanno rallentato significativamente l’adozione dei programmi comunitari 2014-2020. Ciò si è verificato in gran parte dei membri dell’Unione, tra cui l’Italia. Ad esempio, nel nostro paese soltanto 20 programmi risultavano già approvati nel 2014, altri 47 sono stati adottati nel 2015, gli ultimi 8 nel 2016. In base a dati preliminari forniti dalla Commissione europea, a dicembre 2016 la spesa media dei fondi ESIF nei paesi EU-28 risultava pari soltanto al 3,2 per cento della dotazione disponibile; per il nostro paese, il dato scendeva all’1,2 per cento. Il completamento dei programmi comunitari dovrebbe comunque essere favorito dall’allungamento della scadenza entro cui dovranno essere utilizzate le risorse del ciclo 2014-2020; in base alla nuova regola “N+3” (che sostituisce la precedente regola “N+2”), i pagamenti potranno essere effettuati entro il 31 dicembre 2023.

Giuseppe Albanese e Guido de Blasio, Banca d’Italia

 

Riferimenti bibliografici

Accetturo, de Blasio e Ricci (2014), “A Tale of an Unwanted Outcome: Transfers and the Local Endowments of Trust and Cooperation”, Journal of Economic Behavior and Organization, vol. 102, pp. 74-89.

Banca d’Italia (2015), “L’economia delle regioni italiane”, luglio.

Banca d’Italia (2016),  “L’economia delle regioni italiane”, dicembre.

Barone, de Blasio, D’Ignazio e Salvati (2016), “Incentives to Local Public Service Provision: An Evaluation of Italy’s Obiettivi di Servizio”, mimeo.

Becker, Egger e von Ehrlich (2013), “Absorptive Capacity and the Growth and Investment Effects of Regional Transfers: A Regression Discontinuity Design with Heterogeneous Treatment Effects”, American Economic Journal: Economic Policy, vol. 5, pp. 29-77.

Ciani e de Blasio (2016), “European structural funds during the crisis: evidence from Southern Italy”, IZA Journal of Labor Policy, vol. 4, pp. 1-31.

Rodriguez-Pose e Garcilazo (2015), “Quality of Government and the Returns of Investment: Examining the Impact of Cohesion Expenditure in European Regions”, Regional Studies, vol. 49, pp. 1274-1290.

 

Note

(1) Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni degli autori, senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza.

(2) Vi si aggiungono ulteriori 13 miliardi destinati alla cooperazione territoriale, che sono impiegati attraverso programmi internazionali (qui non considerati). Tale cifra non include invece gli ulteriori fondi ESIF assegnati per il periodo 2017-2020 in base alla revisione di medio termine del bilancio dell’Unione. Per l’Italia, essi ammontano a 1,6 miliardi (su un totale di 4,7 per l’insieme dei paesi EU-28).

(3) Nel ciclo 2014-2020, gli interventi sono classificati secondo 11 Obiettivi tematici (OT; cfr. in Appendice la Figura A2). A fini espositivi, gli obiettivi OT3, OT4 e OT5 sono stati aggregati nella categoria “Ambiente e territorio”, mentre la categoria “Sostegno PA” include sia l’obiettivo OT11, sia le risorse destinate all’assistenza tecnica.

 

Figura A1: Classificazione delle regioni NUTS2

Figura A1Fonte: Commissione Europea

 

Figura A2: Classificazione delle categorie di intervento

Figura A2

Fonte: nostre elaborazioni su dati Commissione Europea

 

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1 Comment

  • Marco

    Buongiorno. Una sola annotazione: l’incidenza sul PIL è più bassa. L’intero bilancio della Unione è circa l’1% del PNL. Probabilmente non si è tenuto conto che i miliardi stanziati per le politiche regionali europee sono per l’intero periodo della programmazione (2014-2020), quindi sette anni. L’incidenza dei fondi europei sul PIL italiano sarebbe di 0,6%. In ogni caso i ragionamenti sulle differenze tra paesi rimangono validi.

 
 

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