Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Giacomo Becattini: un ricordo fra distretto industriale e rovelli del regionalismo

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di: Marco Bellandi

EyesReg, Vol.7, N.2, Marzo 2017

 

1. Giacomo Becattini (1927-2017) è stato un economista politico, nel senso ampio del termine, interessato a identificare e capire incroci con un solido fondamento nella dialettica reale, fra motivazioni e strutture economiche, socio-culturali, istituzionali e territoriali. La sua riflessione ha avuto corrispondenti ideali negli economisti classici e vittoriani, ma anche in grandi pensatori sociali italiani. E’ noto che Becattini è stato uno dei massimi studiosi contemporanei di Alfred Marshall: economista eccelso in cui trova, insieme alla capacità di analisi e di inquadramento dei sistemi economici a cavallo fra Ottocento e Novecento, un’attenzione profonda al valore degli esseri umani visti nei luoghi e nei tempi della loro vita economica e sociale. La cifra più intima del pensiero di Becattini è in effetti un umanesimo civico, avvertito delle contraddizioni delle economie capitalistiche.

Becattini è conosciuto ancora di più, in circoli nazionali e internazionali non solo accademici, per avere proposto il distretto industriale, recuperato dal “suo Marshall”, come modello generale utile ad allargare la comprensione di vie alternative di organizzazione industriale nei sistemi economici contemporanei, in quanto fondato su economie esterne di piccole e medie imprese specializzate, ed interne a un sistema locale che ricomprende le stesse imprese, invece che su economie interne di grandi imprese. Ma per Becattini il distretto diventa anche, nel corso degli anni, il perno principale della sua tensione umanistica; ed è volto a delineare, in mezzo alle tendenze distruttive del capitalismo contemporaneo, l’esistenza di spazi non marginali per forze contro-bilancianti, cioè per dinamiche sociali, istituzionali ed economiche di sviluppo locale. Ovvero, di luoghi che mantengono, in mezzo al cambiamento e alle influenze esterne, un’identità culturale e produttiva aperta, una condivisione di valori e attitudini di “comunità” locale alla partecipazione e alla coesione sociale, incrociandosi col motore industriale delle economie esterne.

Artimino 1992Incontri di Artimino 1992 (Foto: Iris Srl)

 

2. In questo breve ricordo ripercorro alcuni tratti della via “concreta” con cui Becattini arriva al distretto industriale nel corso degli anni Sessanta e Settanta (del secolo scorso), cioè l’interpretazione dello sviluppo economico regionale in Toscana e in Italia. Non è una via tranquilla, non solo per il confronto col mainstream economicista, ma anche per quello spesso aspro con la sinistra toscana e nazionale. Un documento del 1969, scritto col nucleo di giovani ricercatori del neonato IRPET (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) che Becattini fonda e dirige, propone un’interpretazione altamente originale sullo sviluppo economico toscano nei primi decenni del secondo dopoguerra, collegata alle sorti di quella che viene chiamata l’industria “leggera”. L’interpretazione fa scandalo, per così dire, in quanto appunto si discosta dalle visioni di destra e di sinistra sull’inesorabile debolezza di un’industrializzazione non fondata su settori “moderni” e grandi imprese. Il punto interessante è che l’interpretazione non è scolpita come un monolite. Le oscillazioni e gli adattamenti di Becattini su vari aspetti connessi e importanti possono essere messi in relazione, non solo con contraddizioni e difficoltà interne all’emergere di una visione originale dello sviluppo economico; ma anche con la volontà pertinace di Becattini di offrire, con le sue ricerche socio-economiche, materiale per buone scelte di politica di sviluppo (“programmazione” si diceva allora) locale e regionale.

In particolare, un “rovello” che ha accompagnato Becattini per tutti gli anni Sessanta, e che negli anni Settanta comincia a sciogliersi, riguarda lo status metodologico di un modello di sviluppo “regionale”. Sia nella visione marxista, sia in quella neo-ricardiana, sia in quella neoclassica, sui cui fondamenti Becattini si è confrontato costantemente, il territorio è un contenitore di fenomeni che hanno una logica interna che trascende il territorio stesso (conflitto di classe, sviluppo delle forze produttive entro i settori, una combinazione delle due prime). L’eccezione accettata in quelle visioni è data dalla corrispondenza di un territorio con l’area del governo, e in particolare con lo stato-nazione. Delimitazioni territoriali sub-nazionali possono aiutare a dare ordine alla descrizione dei fenomeni economico-sociali, permettono di considerare vari tipi di vincoli di ordine geografico, ma non sono entità economico-sociali significative in sé. Allora che senso ha parlare di modello regionale? Questo è un primo rovello, con cui Becattini deve fare i conti, sia in rapporto ai molti, politici e studiosi, che il problema non se lo pongono, sia in primo luogo nella sua testa.

Venendo da una formazione comunista, Becattini comprende bene il punto di vista di classe, che in principio è a-territoriale, anche se poi i conflitti concreti e la dialettica con lo sviluppo delle forze produttive sono giocati sempre in situazioni storiche e in ambiti territoriali determinati. Tuttavia una serie di esperienze di vita e di studio accumulate negli anni Cinquanta e Sessanta lo hanno portato vicino a un altro approdo, cioè quello di un’interpretazione (anche) territoriale delle forze dello sviluppo economico e delle trasformazioni sociali. Le vicende della costruzione dell’IRPET e della costituzione del governo regionale nei primi anni Settanta lo spingono a considerare vari livelli territoriali, fra cui appunto quello regionale. Becattini non si accontenta però, tale approdo gli appare espressione di considerazioni di ordine pratico e di senso comune, ma non vi ritrova ancora un solido fondamento reale.

Un secondo rovello, molto interno alla sinistra, riguarda il giudizio politico sul modello di sviluppo toscano: è positivo per la società e in particolare per le masse di lavoratori che vivono in Toscana, oppure è negativo? Ha capacità propulsive, oppure è in crisi endemica come, con poche eccezioni, sostengono dirigenti e intellettuali della sinistra regionale? Naturalmente tali questioni si incrociano col primo rovello, ma anche con altri problemi che hanno un corso più generale, cioè anche fuori dei dibattiti della sinistra toscana. In particolare, centrale fin da subito è la questione della piccola impresa, coi temi a questa collegati delle alleanze sociali della classe operaia e delle economie esterne.

 

3. A dire il vero, malgrado le critiche che piovono precoci e l’incomprensione che resterà costante, in quegli anni Becattini ha già acquisito una robusta convinzione sulla questione della piccola impresa, e cioè che un giudizio di necessaria inefficienza della piccola impresa e di inevitabile subordinazione del piccolo imprenditore al grande capitale nell’industria contemporanea non sia scientificamente fondato. Questa convinzione permette di controbattere squalifiche superficiali del modello toscano, e di arrivare a presentare nel 1975, con l’IRPET, una versione molto rafforzata in termini statistici e documentali del lavoro del 1969: il famoso volume sullo “Sviluppo economico della Toscana, con particolare riguardo all’industrializzazione leggera”, diventato presto uno dei punti di riferimento per le nascenti scienze regionali italiane, anche grazie alla capacità organizzativa e propositiva di Giuliano Bianchi che succede a Becattini alla direzione dell’IRPET. La stessa convinzione gli permette di cominciare a rafforzare un dialogo su questi temi con una serie di economisti critici e scienziati sociali impegnati nella comprensione dei modelli originali dell’industrializzazione italiana: Giorgio Fuà, Paolo Sylos Labini, Sebastiano Brusco, Arnaldo Bagnasco, Giuseppe Dematteis, Sergio Vaccà, fra gli altri. Ma ciò non basta a risolvere l’interrogativo di fondo, sul fondamento reale di questi fenomeni.

Alla fine degli anni Settanta prende forma una soluzione: nell’articolo del 1978 su “L’industrializzazione leggera della Toscana: un’interpretazione”, il tema dell’ “ambiente industriale”, introdotto nella prima interpretazione del 1969 sullo sviluppo toscano e poi mimetizzato nel cospicuo lavoro del 1975, riemerge con l’esplicito riferimento al concetto marshalliano di “distretto industriale”. Nello stesso anno Becattini presenta ad Ancona la relazione che porterà nel 1979 alla pubblicazione presso L’Industria dell’articolo di fondazione della distrettualistica contemporanea: “Dal ‘settore’ industriale al ‘distretto’ industriale: alcune considerazioni sull’unità d’indagine dell’economia industriale”. Ecco dunque apparire l’approdo: luoghi caratterizzati da un addensamento delle relazioni inter-industriali e sociali, che conservano una loro identità per un periodo non effimero, pur fra cambiamenti interni e influenze esterne di vario ordine e grado.

Sembrerebbe fatta, ma così non è. Insieme all’evocazione di Marshall e del distretto, nel lavoro del 1978 Becattini ricostruisce la struttura industriale differenziata che caratterizza la Toscana al momento del decollo industriale del secondo dopoguerra. Al suo cuore, nelle valli centrali, vi è “un sistema semi-continuo di insediamenti abitativi e produttivi che raggiunge punte di concentrazione industriale e di densità di popolazione già notevoli nell’area di Prato e nel Valdarno inferiore (da Empoli a Cascina). … Se approfondiamo l’analisi troviamo che in ognuna delle sub-aree che compongono questo sistema, coesistono diversi tipi di attività produttiva e quasi sempre anche imprese di dimensioni abbastanza differenziate …” La spia di una presa ancora non sicura è l’immagine di sub-aree di un sistema più vasto, alcune delle quali corrispondenti ai distretti. Il termine di “sub-area” non rimanda certo l’immagine di una formazione con una propria identità; e poi non è chiaro che tipo di sistema sia quello che comprende le sub-aree. Cosa manca?

Becattini trova il distretto con un percorso intellettuale che ha un cardine marshalliano già emerso in un libro del 1962 sul “Concetto di industria e la teoria del valore”, dove critica il settore come unità d’indagine reale di fenomeni industriali, passa per i rovelli sopra richiamati, e ha impulso decisivo nei rinnovati studi marshalliani che lo impegnano a cominciare dagli anni Settanta. Ma è una fusione un po’ a freddo, malgrado la frequentazione giovanile di piccoli imprenditori toscani e le ricerche empiriche coordinate coi ricercatori dell’IRPET. Manca, per dargli sicurezza, il laboratorio di un’esperienza compresa a fondo, nei mille risvolti della vita quotidiana locale, della “cultura sociale”, secondo il termine caro ad Alberto Bertolino suo maestro alla Facoltà di Economia e Commercio a Firenze, delle tante sorprese della soggettività umana. Senza una tale esperienza, e senza il conforto di un qualche successo del concetto nell’agone delle idee a livello internazionale, il distretto industriale sarebbe rimasto per Becattini un utile strumento intellettuale, ma forse non più di un approdo temporaneo.

 

4. Sappiamo che tale laboratorio sarà Prato e il distretto tessile, la città di elezione di Becattini. Una ricerca in profondità che si dipana negli anni Ottanta e Novanta, sollecitata dalla partecipazione al grande progetto su “La Storia di Prato” coordinato fino al 1985 da Fernand Braudel, permette a Becattini di trovare conferma solida della possibilità di intrecci non effimeri di forze locali di sviluppo. Mentre l’altra città, quella dove nasce, cresce e trascorre gran parte della sua vita accademica e di impegno civico, cioè Firenze, rimane l’esemplificazione di logiche di sviluppo più variegate e meno profonde. Negli anni Novanta e nel decennio successivo, l’approdo distrettuale diventa parte di programmi e incontri coordinati con molti studiosi, maturi o in formazione, di interpretazione e analisi dell’industria e dei sistemi locali in Italia. Sappiamo pure dell’interesse internazionale suscitato dal distretto industriale, che si incrocia già dai primi anni Ottanta con le ricerche che sboccheranno nei modelli e nei dibattiti sulla specializzazione flessibile, e poi su milieux innovatori, post-fordismo, nuova geografia economica, cluster industriali, sistemi regionali di innovazione, e altro ancora (1).

Marco Bellandi, Università di Firenze

 

Nota bibliografica

Una parte del presente scritto è ripresa dalla mia introduzione a uno dei quattro volumi della raccolta: Becattini G. (2007), Scritti sulla Toscana, Firenze: Regione Toscana – Le Monnier. In tale introduzione, e in quelle agli altri volumi ad opera di G. Dei Ottati, F. Sforzi, e N. Bellanca e T. Raffaelli, si trovano i riferimenti sui lavori richiamati e sul percorso sopra tratteggiato, oltre che su molte altre diramazioni. L’estensione del programma di studi distrettuali all’Italia è riassunta in Becattini G. (2007), Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana, Bologna: Il Mulino. Un punto di arrivo e di sintesi della riflessione di Becattini su Marshall si trova in Raffaelli T., Becattini G., Dardi M. (eds) (2007), The Elgar Companion to Alfred Marshall, Cheltenham: Edward Elgar. Il confronto internazionale sui distretti è illustrato dai saggi scritti per Becattini G., Bellandi M., De Propris L. (eds) (2009), The Handbook of Industrial Districts, Cheltenham: Edward Elgar. La tensione dell’umanesimo civico e radicale è riassunta ed espressa vividamente nella raccolta degli ultimi scritti: Becattini G. (2015), La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, (con A. Magnaghi), Roma: Donzelli Editore.

 

Altre note

(1) Su tutto questo si rinvia ad altra occasione, oltre che a pubblicazioni già disponibili.

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2 Comments

  • Elio Iannuzzi

    Caro Marco, Mi sono commosso nel leggere il tuo bel articolo sull’impegno civile e scientifico sul modello distrettuale del compianto Prof. G. Becattini. Studioso di alto livello, che ha onorato la ricerca aprendo vie nuove per lo sviluppo economico del Nostro Paese. Negli ormai lontani anni novanta ho avuto più occasioni di ascoltare brillanti interventi del Prof, a Prato, Firenze e Roma,ne sono uscito sempre arricchito culturalmente ed umanamente. Ciò ha non poco determinato il mio percorso di ricerca sul sistema delle Pmi meridionali. Grazie a te per avermi fatto rivivere quei momenti rievocando quel che anche per me é un Caro Maestro. Con le più vive congratulazioni Cordialissimi Saluti Elio Iannuzzi

  • Renato Ferretti

    Bellissima sintesi sul contributo scientifico e non solo del Prof. Becattini che ha accompagnato tanti momenti del mio lavoro nella Provincia di Pistoia e mi ha fatto ricordare i tentativi di applicazione del distretto industriale al Vivaismo Pistoiese.

 
 

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