di: Dario Musolino, Francesca Silvia Rota
EyesReg, Vol.5, N.1 – Gennaio 2015.
Come si collocano le scienze regionali nelle università italiane? Ovvero, dove vengono tenuti gli insegnamenti regionalistici? In quali aree e settori disciplinari? In quali atenei? E anche: gli insegnamenti delle scienze regionali sono effettivamente interdisciplinari, come vorrebbe la loro conclamata vocazione, oppure tendono allo specialismo disciplinare? E dove, e come, si collocano nel quadro dell’offerta dei diversi atenei del paese? Ci sono in questo senso aree e sedi “privilegiate”?
Sono questi gli interrogativi a cui ha cercato di rispondere un’attività esplorativa di indagine che, promossa dall’Associazione di Scienze Regionali Italiane, ha avuto per oggetto l’offerta formativa regionalistica (insegnamenti attinenti le scienze regionali) dei primi 31 atenei italiani in termini di studenti iscritti [1].
Viviamo infatti in una fase in cui, sia pur con un considerevole ritardo rispetto a molti altri paesi europei (Regini, 2014), è in corso una forte rimodulazione dei modelli di governance (Fregolent e Savino, 2011) e degli indirizzi disciplinari previsti nel sistema dell’istruzione superiore (SIS). Come esito di questa riorganizzazione, discipline monolitiche tradizionalmente incarnate dalle facoltà hanno lasciato il posto agli riaccorpamenti ibridi delle schools, spesso esito di logiche non esclusivamente riconducibili a criteri di affinità scientifica e accademica delle materie. Sotto la spinta delle direttive ministeriali, un po’ ovunque si è puntato a una gestione più manageriale e efficiente degli atenei, volta ad attrarre più studenti e finanziamenti e, soprattutto, conseguire migliori posizionamenti nelle graduatorie di valutazione della produzione scientifica. Questo processo rappresenta una grande opportunità rispetto alla questione dell’interdisciplinarietà scientifica e accademica [2]. Interdisciplinarietà che per alcuni insegnamenti, tra cui certamente le scienze regionali, costituisce un obiettivo prioritario oltre che un metodo di ricerca.
Di qui il fine di questo contributo, finalizzato a presentare alcuni risultati di un lavoro di “censimento” e mappatura degli insegnamenti universitari afferenti alle scienze regionali (circa 1.600, nei 31 atenei presi in considerazione), illustrando come essi si distribuiscano per settore scientifico disciplinare e facoltà, con quale geografia e in quale fase del percorso formativo.
Facoltà, settori scientifico-disciplinari e tipi di laurea
Con riferimento alla distribuzione per facoltà, l’indagine rileva che la facoltà che concentra il maggior numero di insegnamenti di scienze regionali è Architettura, con quasi un quarto del totale (Tabella 1). Ingegneria, Lettere e filosofia, Scienze politiche ed Economia seguono con percentuali tra il 12 e il 13%. Un ruolo più limitato, ma significativo, lo svolge la facoltà di Agraria (6%). Sono poi rappresentate con percentuali più ridotte (pari o inferiore al 3%) molte altre facoltà: alcune evidentemente affini ai saperi regionalistici, come Sociologia; altre apparentemente più lontane, come Scienza della formazione, Lingue e letteratura straniere, Scienze matematiche fisiche e naturali. Ragionando per grandi gruppi, emerge che circa il 40% degli insegnamenti di scienze regionali ricadono nelle facoltà a carattere umanistico, il 36% in quelle a carattere scientifico, e il 24% circa in quelle di area sociale.
Si può quindi desumere che, pur se vi sono facoltà che ne concentrano una parte importante, gli insegnamenti regionalistici sono abbastanza trasversali: sono presenti e diffusi tra facoltà molto varie, diversificate, e distanti in quanto a campo del sapere trattato.
Coerentemente con questo dato, facendo l’analisi della distribuzione degli insegnamenti per settore scientifico-disciplinare (SSD), si nota che (Tabella 2) quasi il 25% degli insegnamenti regionalistici si concentra nel settore ICAR (settori dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura). Il 19% nel settore M-GGR (Geografia). L’8% nel settore SECS-P (Scienze economiche e statistiche). Il 7% nel settore SPS (Scienze politiche e sociali). Il 5% nel settore IUS (scienze giuridiche) e una pari percentuale nel settore AGR (Scienze agrarie e ambientali).
Altrettanto, se non ancora più equilibrata, risulta la ripartizione degli insegnamenti tra i vari corsi di laurea (Tabella 3). Nei corsi di laurea magistrale si svolgono il 49% degli insegnamenti, mentre in quelli di laurea triennale il 43%, e in quelli magistrali a ciclo unico il 4%. Le scienze regionali sono quindi significativamente presenti anche tra i vari corsi di base svolti negli atenei italiani.
Un altro dato rilevante riguarda l’anno in cui l’insegnamento è programmato: per il 34% dei casi che è stato possibile rilevare (i missing per questa variabile sono numerosi: 342 pari al 21%) si tratta di corsi che è possibile seguire al primo anno, nel 36% dei casi al secondo anno, nel 21% dei casi al terzo. C’è invece un crollo per quel che attiene gli anni della specializzazione: 4% al quarto anno e 5% al quinto.
Ateneo e area geografica
Gli insegnamenti di scienze regionali sono diffusi su tutto il territorio nazionale, ripartendosi per circa un terzo in ciascuna macro-area geografica: Nord, Centro, Sud e isole (Tabella 4). Tuttavia, vale la pena rilevare che ci sono atenei che pesano molto poco, in cui gli insegnamenti regionalistici sono presenti in misura trascurabile. È questo il caso di alcuni degli atenei milanesi (Bocconi, IULM, Statale), dell’Università di Perugia, del Politecnico delle Marche e dell’Università di Bari. Altri atenei, invece, appaiono più ricchi di discipline regionalistiche. È il caso dell’Università La Sapienza (unico ateneo che pesa per oltre il 10%), dell’Università di Pisa, dell’Università di Firenze, dell’Università di Bologna, dell’Università Federico II di Napoli, del Politecnico di Milano, del Politecnico e dell’Università di Torino e dell’università di Padova.
Provando a incrociare le variabili, si osserva che nelle Università del Nord, gli insegnamenti di scienze regionali sono collocati per circa i due terzi nelle facoltà del gruppo Ingegneria e Architettura (34%) e del gruppo economico-sociale (31%). Più ridotto il peso del gruppo umanistico (19%). Nelle Università del Centro la ripartizione non è molto dissimile, con un peso lievemente maggiore assunto dal gruppo Ingegneria e Architettura (37%) e del gruppo umanistico (23%). Più differente è la collocazione degli insegnamenti per facoltà nelle Università del Sud. Qui, il gruppo Ingegneria e Architettura ha un’importanza ancora più elevata, poiché si concentrano il 42% degli insegnamenti; ed anche l’area scientifica assume un peso un po’ più significativo, dal momento che ha l’11% degli insegnamenti censiti nel Sud (questo gruppo ha un peso ampiamente inferiore al 10% nel Nord e nel Centro). Le facoltà del gruppo economico-sociale per converso pesano meno, mentre quelle umanistiche mantengono all’incirca la stessa rilevanza relativa.
Per quanto riguarda infine il tipo di laurea, emerge che nelle Università settentrionali e meridionali gli insegnamenti sono divisi abbastanza equamente tra lauree triennali e magistrali. Diverso è il caso delle Università dell’Italia centrale, i cui insegnamenti regionalistici sono collocati prevalentemente nelle lauree magistrali.
Osservazioni conclusive
Cosa si può desumere da questa prima, originale, indagine sulla diffusione degli insegnamenti regionalistici?
Gli insegnamenti regionalistici, ovvero gli insegnamenti che affrontano argomenti di qualunque sfera del sapere scientifico con “taglio territoriale”, dando cioè rilevanza alla dimensione territoriale, pur se prevalentemente concentrati in determinati campi (in particolare, geografico, economico e nel campo delle scienze che studiano le politiche e la pianificazione), sono presenti e diffusi in un vasto range di aree scientifiche, anche lontane da quelle socio-economiche. Lo studio della variabile territoriale a livello accademico appare quindi caratterizzato piuttosto che da specialismo, da una considerevole pervasività e trasversalità. La loro ampia e diversificata diffusione orizzontale, il loro “imprinting interdisciplinare”, si accompagna del resto ad una equilibrata diffusione verticale: gli insegnamenti regionalistici sono infatti presenti non solo nelle lauree magistrali, ma anche in quelle triennali.
In fatto di diffusione geografica degli insegnamenti, risaltano le importanti differenze tra singoli atenei, anche nella stessa città e regione. In una città come Milano, per esempio, risalta la sostanziale assenza delle scienze regionalistiche in alcuni degli atenei più importanti, e la loro netta concentrazione nel Politecnico; come anche colpisce la grande presenza d’insegnamenti regionalistici a La Sapienza di Roma (un fatto legato solo alla grandezza dell’ateneo?).
La diffusione geografica è invece più omogenea tra macro-regioni, con alcune differenze nelle caratteristiche che sembrerebbero delineare diversi “modelli”, con particolare riguardo a temi e collocazione nelle facoltà e ciclo di studi. Negli atenei del Sud si osserva una maggiore “torsione” verso gli ambiti tematici umanistici, giuridici e geografici, e una scarsissima presenza in altri ambiti tematici per così dire “residuali”; ad emergere è anche la predominante collocazione all’inizio del ciclo di studi. Negli atenei del Centro, spicca il peso più pronunciato dei temi economici e sociologici, e di policy e valutazione; nonché la presenza equilibrata delle scienze regionali sia nelle lauree magistrali che in quelle triennali. Negli atenei del Nord, infine, emerge una maggiore incidenza nelle tematiche quantitative, di pianificazione, e anche geografiche, e una presenza preponderante nelle fasi di studio specialistico.
Dario Musolino, CERTeT-Bocconi
Francesca Silvia Rota, DIGEP – Politecnico di Torino
Riferimenti bibliografici
Bruzzo A. (2008), Analisi economica del territorio. Letture sulla scienza economica regionale, Aracne, Roma.
Buanes A., Jentoft S. (2009), “Building bridges: Institutional perspectives on interdisciplinarity”, Futures , 41: 446–454.
Camagni R. (1993), Principi di economia urbana e territoriale, Carocci Editore, Roma.
Capello R. (2004), Economia regionale. Localizzazione, crescita regionale e sviluppo locale, Il Mulino, Bologna.
Fregolent L., Savino M. (2011), “L’Università dopo la 240”, Archivio di studi urbani e regionali, 100, pp. 147-149.
Garofoli G. (1992), Economia del territorio. Trasformazioni economiche e sviluppo regionale, ETAS libri.
Musolino D., Rota F.S. (2014), L’insegnamento delle scienze regionali tra specialismo e interdisciplinarietà. UN’analisi dell’offerta formativa nelle università italiane, Quaderni LEL, n. 176 (ottobre 2014), Università Cattolica del Dacro Cuore – Sede di Piacenza.
Pesaro G., Musolino D. (2013), “Lost in translation” nelle scienze regionali. Il ricercatore inter-disciplinare: chi è costui?”, EyesReg, Vol.3, N.6 – Novembre: 152-157.
Regini M. (2014), La riforma universitaria nel quadro dei sistemi di governance europei, Firenze University Press, Firenze.
Rijnsoever van F.J., Hessels L.K. (2011), “Factors associated with disciplinary and interdisciplinary research collaboration”, Research Policy, 40, 3: 463-472.
Note
[1] Come fonte dati sono state utilizzate le pagine istituzionali dei 31 atenei (complessivamente responsabili di circa il 75% del totale della popolazione studentesca italiana), con riferimento all’ a.a. 2010/11. Gli insegnamenti attinenti le scienze regionali sono stati individuati come esito della rilevazione, nella denominazione dell’insegnamento, di alcune parole chiave tipiche delle discipline regionalistiche: urban*, citt*, metropolitan*, region*, territor, spazi*, local*. Fanno eccezione alcuni insegnamenti, come “economia applicata” e le valutazioni di impatto, che sono stati comunque inclusi nell’indagine poiché ritenuti di particolare interesse per le scienze regionali. La raccolta e l’elaborazione dei dati sono state realizzate da Dario Musolino e Francesca Silvia Rota, nell’ambito di un’iniziativa voluta dall’AISRe (Associazione Italiana di Scienze Regionali).
[2] La questione sembra aver ripreso rilevanza nel dibattito scientifico in Italia, come testimoniato dal recente convegno “Le pratiche dell’interdisciplinarietà: risultati e problemi”, organizzato nel gennaio 2014 dall’Istituto degli Studi sul Mediterraneo del CNR di Napoli, con il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali del CNR. Per alcuni elementi di riflessione sulla questione dell’interdisciplinarietà nelle scienze sociali ed economiche si vedano anche: Juanes e Jentoft (2009), Pesaro e Musolino (2013), van Rijnsoevera e Hesselsc (2011).