di: Antonio Bertini
EyesReg, Vol.5, N.6, Novembre 2015
Quando si parla di migranti si pensa sempre alle grandi città, alle aree metropolitane come tappe finali del percorso migratorio. Gran parte di loro, infatti, trova occasioni di lavoro e di impiego molto più frequentemente nelle grandi aree urbane, dove le attività lavorative sono molte e diversificate. In Campania, invece, molti migranti trovano conveniente insediarsi in piccoli e medi centri creando delle comunità formate da un numero esiguo di componenti. Queste infatti, non trovando supporto nell’apparato di accoglienza di cui dispongono i grandi centri urbani, riescono ad inserirsi più facilmente nel tessuto sociale di centri di dimensioni piccole, sia in termini demografici che spaziali.
La letteratura sull’argomento è pressoché inesistente. E’ infatti un tema recente, forse nuovo, sul quale, comunque, conviene puntare l’attenzione per più di una ragione.
In particolare, il fenomeno che come gruppo di studio abbiamo cominciato ad analizzare è quello della immigrazione marocchina in Campania (1) i cui territori sono compresi in parchi, soprattutto di livello regionale. Aree dove l’economia e la vitalità, anche culturale, languono, e il cui svuotamento sta creando danni importanti al patrimonio naturalistico ed edilizio nazionale.
Gli immigrati in Campania
La Regione Campania al 2010 contava 164.268 cittadini immigrati, oltre un terzo di tutti quelli presenti nel Sud Italia, diventando quindi la regione più importante del Mezzogiorno per numero di stranieri residenti.
Napoli è la Provincia che ne accoglie il numero più alto, 75.943, quasi la metà dei residenti in Campania, seguita da Salerno, con 38.082 persone, pari al 23%, che ha recentemente scavalcato in valore assoluto la Provincia di Caserta.
Nel Casertano risiedono invece 32.784 cittadini stranieri, ed è il territorio della regione in cui si registra la più alta percentuale (3,5%) di popolazione migrante su quella residente. Salerno e Caserta sono la terza e quarta tra le province meridionali, dopo Napoli e Bari, in quanto a presenze straniere, precedendo anche importanti capoluoghi di regione come Reggio Calabria e Palermo. Anche nelle province di Avellino e Benevento, che insieme accolgono poco più del 10% degli immigrati di tutta la Campania (rispettivamente 11.257 e 6.202), il numero delle presenze è in costante aumento.
Alla luce di questi dati la Campania quindi non è più solo una regione di transito ma un territorio in cui trasferirsi stabilmente.
Delle 165 nazionalità rappresentate in Regione, le comunità ucraine, rumene, marocchine, polacche, cinesi, cingalesi e albanesi sono quelle più rappresentate (Tabella 1).
Tabella 1. Presenze straniere nelle province campane
Fonte: elaborazione su dati ComuniItaliani.it (Istat)
Complessivamente, si tratta di una popolazione estremamente giovane, costituita per l’81% da persone in età lavorativa, di cui oltre la metà ha meno di 40 anni.
I minori sono oltre 25.000 (circa il 15% del totale degli stranieri), e sebbene la loro presenza stia crescendo significativamente, si tratta di numeri ancora bassi se confrontati con il resto del paese, dove l’incidenza dei minori raggiunge anche il 22%.
Il lavoro, sia esso autonomo o subordinato, rappresenta la motivazione più diffusa per la presenza in Campania (55,7%), seguito da tutte le pratiche inerenti il contesto familiare che sono utilizzate dal 37,2% dei migranti, a testimonianza del progressivo livello di stabilizzazione. Nel mercato del lavoro campano, la presenza straniera ha smesso di rappresentare un elemento di novità, per divenire parte integrante e fondamentale dello sviluppo del sistema socio-economico.
I lavoratori stranieri in Campania sono impiegati soprattutto in agricoltura, nell’edilizia e nei servizi.
Nel settore delle costruzioni trova occupazione il 13,5% dei lavoratori stranieri, uomini soprattutto provenienti dal Centro e dall’Est Europa, e in misura notevolmente minore dall’Africa settentrionale. Nel commercio, sia al dettaglio che all’ingrosso (12,4% del totale), sono prevalentemente occupati lavoratori provenienti da Senegal, Guinea, Cina, Bangladesh e Pakistan. Mentre i braccianti agricoli (stagionali e stanziali) occupati in agricoltura (11,9%) provengono in prevalenza dal Nord e dal Centro Africa, dall’Est Europa e dall’India.
Si assiste a un sempre maggiore impiego di lavoratori immigrati anche nei settori alberghiero e della ristorazione (10,4%), della sanità e dei servizi alle famiglie (9,6 %), dove, ad essere impiegate, sono in prevalenza donne rumene e ucraine.
Tabella 2. Popolazione di origine marocchina residente nei parchi campani
Fonte: elaborazione su dati ComuniItaliani.it (Istat)
Aree protette e aree interne
La politica, avviata ormai da un ventennio in Campania, sulla tutela delle aree protette, ha individuato circa il 30% del territorio regionale da proteggere. La popolazione direttamente coinvolta supera il milione di abitanti, mentre circa 250 sono i territori comunali direttamente coinvolti, una decina le comunità montane, e un centinaio sono i centri abitati che rientrano per intero nelle aree protette. In maniera sintetica, i fenomeni ai quali si sta assistendo, con riferimento all’inserimento degli immigrati in questi centri di piccole dimensioni, sono di seguito riassunti:
– l’arrivo dei migranti nelle aree interne, che soffrono ormai da decenni di un vero e proprio spopolamento, riduce il saldo demografico fortemente negativo, recuperando nel saldo totale parte della popolazione;
– il fenomeno dell’invecchiamento (dove cioè la popolazione giovane è in misura inferiore di quella anziana), che si verifica da decenni, è contrastato dall’arrivo di forza lavoro immigrata;
– gli abitati sono stati abbandonati nelle strutture; anche in questo caso la presenza di immigrati contribuisce a ridurre il fenomeno dell’abbandono del patrimonio dei centri e nuclei rurali storici, e aiuta ad affrontare il recupero e la manutenzione delle strutture;
– gli immigrati contribuiscono a ridurre la notevole perdita di forza lavoro giovane che in queste aree, soprattutto rurali, si verifica ormai da cinquanta anni, senza che si siano trovate politiche utili per invertire tale fenomeno;
– la qualità della vita dei migranti è, in generale, dignitosa, migliore di quella di coloro i quali vivono nelle grandi città;
– la qualità dell’ambiente nelle aree interne è indiscutibilmente più buona di quella che si riscontra nelle aree urbane e in quelle metropolitane;
– l’inserimento dei migranti nelle piccole comunità avviene, più spesso, quasi “naturalmente”, attraverso la sola storica capacità di accoglienza/ospitalità verso lo straniero che già appartiene alle genti del Sud (in particolare). In queste realtà di piccole dimensioni, il più delle volte, non esistono, perché non se ne avverte la necessità, strutture particolari e complesse preposte all’accoglienza dei migranti.
Tutti insieme i vantaggi sopraelencati potrebbero concorrere alla rivitalizzazione di aree siffatte a diversi livelli: sociale, culturale, economico, ambientale ecc. E offrire ai migranti condizioni di vita di gran lunga migliori di quelle che mediamente vivono, soprattutto, nelle grandi aree urbane.
Il caso di Cervinara (AV) nel parco regionale del Partenio
Il primo caso che è stato studiato è quello di Cervinara, un centro di circa 10.000 abitanti posto in un’area di montagna, interna, parte del parco naturale regionale del Partenio, nel territorio della ex provincia di Avellino. Nel centro, al 2010, vive una piccola comunità di marocchini di 83 unità che costituisce la comunità straniera più numerosa. Dal 1981 la popolazione decresce costantemente a causa soprattutto dell’emigrazione giovanile che cerca lavoro nel Nord e nel centro Italia. Le risorse più importanti di Cervinara, che vanta un territorio fertile e ben servito dalle risorse idriche, sono legate all’agricoltura e al commercio, ma la comunità marocchina, che si è ben inserita nel contesto, sì da raddoppiare negli ultimi 5 anni, è dedita alla raccolta e alla produzione di prodotti agricoli. L’esperienza è in una fase iniziale, ma le premesse affinché si possa proseguire e, anzi, estendere, ci sono tutte. In tutta la Campania, appena ci si allontana dai centri più densamente urbanizzati, le aree fertili, i piccoli centri, le frazioni, i borghi rurali abbondano e, cosa assai grave, spesso sono completamente abbandonati. Questi centri con i loro dintorni potrebbero essere rivitalizzati proprio dal favorire l’inserimento anche di comunità di immigrati nel tessuto territoriale e sociale.
Conclusioni
L’idea è quella di provare a coniugare la qualità della vita (in questo caso dei migranti), lo sviluppo sostenibile dell’area nella quale si insediano, il ripopolamento delle aree interne, e la protezione e valorizzazione delle aree protette dell’Italia intera. In tale contesto il buon senso inviterebbe a cercare soluzioni tali che consentano di invertire l’esodo, la migrazione delle popolazioni dalle campagne verso le grandi città e verso i centri costieri, dove cioè vi sono più facili e frequenti occasioni di lavoro, anche se spesso degradanti e poco dignitose. Si vuole contribuire a costruire delle alternative valide ai modelli e processi di crescita ricorrenti, ritenuti insostenibili, con politiche capaci di re-distribuire, in maniera più equilibrata, le persone, le attività e le cose sul territorio.
In questo contesto l’attivazione di politiche e strategie idonee utili a favorire una pianificazione dei flussi dei migranti nelle aree protette interne, potrebbe contribuire a raggiungere una sostenibilità maggiore nel nostro Paese.
Antonio Bertini, Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (CNR)
Riferimenti bibliografici
Pretty J., Ward H., (2001), “Social Capital and the Environment”, World Development, Volume 29, n. 2, 209-227.
Sachs I. (1992), I nuovi campi della pianificazione, Roma, Edizioni Lavoro.
Sitografia
DG Environment, 2008. Potential of the Ecological Footprint for monitoring environmental impact from natural resource use. Available on-line: http://ec.europa.eu/ environment/ natres/studies.htm
UNEP (United Nations Environment Programme), 2007. GEO4 Global Environment Outlook: environment for development. Progress Press Ltd, Malta.
Note
[1] Il progetto è coordinato da Immacolata Caruso.