di: Marco Pompilio
EyesReg, Vol.5, N.1 – Gennaio 2015.
Riprendo in questo articolo i ragionamenti fatti ad inizio 2012, pochi mesi dopo il cosiddetto Decreto Salva Italia che ha innescato la profonda riforma dell’ente intermedio recentemente entrata in vigore con l’elezione degli organi di secondo livello in 64 province e nelle nuove città metropolitane. In quell’articolo, al quale si rinvia come necessaria premessa a questo scritto (vedere EyesReg, vol.2, n.2, marzo 2012), si cercava di fare chiarezza sulle funzioni sovracomunali e intercomunali che possono essere svolte dalle province, le prime considerate proprie del livello intermedio di governo, le seconde su delega dei comuni ai quali la titolarità delle funzioni rimane comunque in capo. Come allora argomentato, nelle province con organi di secondo livello queste ultime possono trovare le condizioni favorevoli per un ulteriore ampliamento, mentre le prime devono fare i conti con seri problemi di fattibilità ed efficacia. La recente legge coglie l’opportunità di delega dai comuni alle province, ma non affronta le problematiche sugli aspetti sovracomunali di area vasta.
La L 56/2014 conferma la competenza della provincia sull’area vasta ed include tra le funzioni fondamentali la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento. Tuttavia la diversa configurazione degli organi dell’ente intermedio, che non sono più ad elezione diretta, comporterà lo spostamento del baricentro decisionale sugli aspetti sovracomunali.
Fino ad oggi tali aspetti sono stati trattati in più strumenti di pianificazione (PTC dei parchi, piani di settore, alcuni piani associati, piani delle comunità montane, ecc), anche se il centro di coordinamento, lo snodo tra pianificazione territoriale e di settore ai diversi livelli, era collocato nel PTCP. Questo prevedono in generale le normative sul governo del territorio di quasi tutte le regioni, anche se con modalità e finalità molto differenziate.
La pianificazione provinciale continua dopo la L 56/2014 ad avere un ruolo importante, ma con la nuova configurazione degli organi provinciali le decisioni sugli aspetti di area vasta si sposteranno e si andranno presumibilmente a ricollocare in una posizione intermedia tra il livello provinciale e comunale, una posizione dai confini incerti, mutevoli come mutevole è il riferimento di area vasta, che non è per natura perfettamente inscrivibile in ambiti amministrativi definiti. Occuparsi oggi di pianificazione di area vasta, a valle della riforma dell’ente intermedio, significa lavorare in modo ancora più intenso di prima sulla cooperazione tra istituzioni e la messa a sistema dei relativi strumenti di pianificazione.
Significa anche favorire una maggiore diffusione di nuovi strumenti di pianificazione associati tra più comuni, che siano capaci di delineare una visione unitaria e condivisa degli aspetti di area vasta che interessano l’unione o associazione. Questi piani dovranno quindi avere un respiro più strategico, centrato sugli aspetti di interesse sovracomunale, più che su questioni di dettaglio intercomunale o interconfine come in generale si riscontra nelle poche esperienze esistenti. All’inizio la diffusione di questi strumenti sarà molto diversa da regione a regione, per il differente grado di sviluppo di unioni e associazioni, ma anche per la configurazione storicamente più o meno frazionata dei confini comunali.
Qualora gli strumenti di pianificazione intermedia citati non fossero in grado di lavorare a sistema e di dare risposta alle questioni di area vasta, queste finirebbero inevitabilmente per ricadere, per i meccanismi alla base della sussidiarietà, sul tavolo della regione. In tale caso anche i PTR dovrebbero essere ripensati, non essendo in generale gli attuali strumenti adeguati a fare fronte a questa evenienza. Dovrebbero essere dotati di una strategia attuativa, con strumenti più operativi, indirizzi e limiti chiari e facilmente declinabili nelle diverse pianificazioni provinciali e di area vasta.
Rimane tuttavia l’interrogativo se le regioni siano adeguate per assorbire la funzione di coordinamento territoriale fino ad oggi svolta dalle province. Probabilmente lo possono essere in riferimento alla dimensione strutturale delle proprie competenze tecniche. Ma le regioni sono anche enti sovraordinati, con poteri normativi. Di fronte ad un problema conflittuale su temi di area vasta tendono a risolvere la situazione con provvedimenti normativi ad hoc. Questo può essere risolutivo e molto efficiente per la questione specifica, ma non favorisce la formazione tra le istituzioni di una cultura di cooperazione territoriale. Fornisce quindi risultati di breve termine ma non funziona nel lungo termine.
Come fare a creare sistema tra gli strumenti di pianificazione, quali contenuti dare ai diversi tipi di piani, quali modalità utilizzare per favorire la cooperazione territoriale e per assumere le decisioni sugli aspetti di area vasta, sono tutte questioni nuove sollevate dall’avvio in queste settimane degli organi di secondo livello in province e città metropolitane. La L 56/2014 non fornisce risposte a tali questioni, avendo preferito rinviare l’individuazione di percorsi attuativi all’adozione dei conseguenti provvedimenti normativi delle regioni.
Per il dibattito finalizzato a tali provvedimenti normativi si prova di seguito a fornire alcune riflessioni ed alcune prime proposte.
- La presenza degli amministratori comunali negli organi provinciali porterebbe ad escludere dal PTCP i contenuti strategici, per evitare situazioni con interessi palesemente conflittuali. Ma questo ridurrebbe i PTCP a strumenti di mero riferimento strutturale, ricchi di banche dati e quadri conoscitivi di area vasta, senza tuttavia più un ruolo nel fissare regole e limiti per la pianificazione comunale, che necessariamente dovrebbero essere trasferiti al piano territoriale regionale nei casi in cui i comuni non riuscissero con la pianificazione associata a darsi regole di comportamento e relativi strumenti di controllo. Preliminare a qualsiasi forma di pianificazione intercomunale sarebbe comunque la costruzione di unioni e associazioni comunali consistentemente strutturate, cosa che richiederebbe molto tempo, soprattutto in regioni con comuni numerosi e piccoli come Lombardia e Piemonte. Il legislatore regionale deve da subito puntare ogni energia possibile nell’accelerare il processo di aggregazione, definendo modalità, regole e risorse, e percorsi attuativi sottoposti a monitoraggio, con incentivazioni per le situazioni virtuose e solleciti per quelle più lente o inadeguate.
- Sempre il legislatore regionale dovrebbe riconsiderare le norme sul governo del territorio, che in buona parte delle regioni sarebbero da riscrivere per tenere conto della diversa natura dell’ente intermedio. Già ad una prima lettura delle norme vigenti emergono decine di incompatibilità con la L 56/2014, alcune più semplici da risolvere, ma che comunque richiedono un intervento normativo, altre più strutturali che richiedono un ragionamento complessivo sui principi fondativi di tali norme. Nel procedere potrebbe per esempio prevedere:
- Obbligo di pianificazione associata intercomunale almeno per il livello strutturale della pianificazione comunale, definendo contenuti di tali piani, modalità certe di approvazione, limiti dimensionali minimi significativi, sia come numero di comuni partecipanti che come popolazione. Le unioni e associazioni esistenti sono in massima parte ancora troppo piccole e inadeguate per sviluppare un discorso di area vasta. Ovviamente i limiti devono variare e adeguarsi alle caratteristiche del contesto di area vasta di riferimento. Nelle zone montane per esempio il limite di popolazione sarà più basso.
- Diversa definizione del livello strutturale di pianificazione dei comuni più grandi, riconoscendone il ruolo nella definizione dei temi territoriali di area vasta. Non potrà ovviamente avere potere conformativo sui territori dei comuni di cintura, ma avrà il dovere di avanzare una proposta strategica, non conformativa, da sottoporre alla discussione e approvazione del tavolo dei comuni di area vasta interessati.
- Il PTR dovrà essere dotato di regole e strumenti attuativi e di valutazione, per supplire alle situazioni in cui gli strumenti di pianificazione intermedia, provinciale e associata comunale, dovessero non essere in grado di affrontare i temi di area vasta. Questo significa ridisegnare in modo sostanziale gli strumenti regionali esistenti.
- Su alcuni temi in ogni caso le regole generali devono essere definite nel PTR, e quindi articolate per aree vaste nei PTCP. Per esempio i limiti di consumo delle risorse scarse e non rinnovabili, come il suolo, le regole di perequazione territoriale e le modalità di compartecipazione degli oneri.
- Nel PTCP viene valorizzata la funzione di individuazione degli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio della funzione di governo territoriale di area vasta, introdotta dalla L 56/2014 al comma 89. Banche dati e quadri conoscitivi vengono riorganizzati per ambiti ottimali di area vasta, a supporto della pianificazione associata comunale. Così come nel PTCP vengono definite regole e limiti secondo le caratteristiche di ciascun ambito ottimale, partendo dalle indicazioni generali fissate dalla regione nel PTR. Vengono inoltre definite le modalità di funzionamento dei tavoli di area vasta per gli accordi sui temi critici più importanti, come il consumo di suolo, l’accessibilità alle reti infrastrutturali, il supporto alle imprese produttive, le tutele ambientali, gli ambiti localizzativi delle principali funzioni e servizi, ecc.
- Ad evitare di svuotare i PTCP di tutta la parte strategica si potrebbe verificare se esista un modo per ricostruire posizioni di autonomia all’interno dell’ente intermedio rispetto ai comuni e agli organi politici, in modo da esercitare un controllo effettivo sulla pianificazione comunale, almeno su alcuni temi di area vasta. Una funzione di garanzia e riferimento istituzionale potrebbe per esempio essere svolta dalle strutture tecniche della provincia, a patto che sia garantita una sufficiente indipendenza, da definirsi nei nuovi statuti provinciali sulla base di linee guida nazionali e regionali.
- L’esperienza applicata in questi anni ha evidenziato la flessibilità e la volontarietà tra i fattori determinanti e di successo nel disegno dei tavoli di area vasta:
- Il disegno deve essere flessibile, possibilmente a geometria variabile, ossia con la possibilità di modificare il riferimento geografico in funzione delle caratteristiche specifiche di ciascuna problematica di area vasta, e nel tempo per potere seguire e adattarsi alle dinamiche del territorio, o ancora meglio anticiparle. L’organizzazione dei tavoli deve inoltre essere in grado di fare fronte a esigenze di coordinamento differenziate assolvendo a compiti di governance per progetti, per temi o per funzioni.
- La partecipazione ai tavoli deve essere volontaria, deve nascere dal basso. La geometria dell’area vasta disegnata a tavolino, imposta dall’alto, non funziona, o comunque ha tempi lunghissimi di rodaggio. Un insieme di comuni già abituati a lavorare assieme, a cooperare su alcuni temi, anche di gestione dei servizi, possono più facilmente e velocemente ampliare la collaborazione ai temi territoriali avendo già messo a punto e consolidato un linguaggio comune.
Gli organi delle città metropolitane e delle nuove province sono appena stati eletti, e non ancora in tutte le province. Le norme regionali attuative delle regioni sono in fase di gestazione. Difficile oggi prevedere come si andrà riorganizzando la funzione di coordinamento territoriale, anche per la scarsità di indicazioni attuative contenute nella L 56/2014 e per la contemporanea presenza di disposizioni regionali, ma anche nazionali, che sono in contrasto con la nuova legge ma che non sono da questa state abrogate.
In alcune regioni, a partire dall’Emilia-Romagna, si sta pensando di sostituire le unioni dei comuni alle province, di fatto, e successivamente anche formalmente se andrà in porto la riforma Costituzionale. Questa soluzione suscita perplessità, appare di dubbia fattibilità nelle regioni più grandi e dotate di comuni piccoli e molto frazionati, dove la definizione di associazioni o unioni significative è molto indietro ed è operativamente molto complessa. Esiste quindi un problema di adeguatezza anche per la stessa L 56/2014, che sembra tarata sulla realtà regionale dell’Emilia-Romagna, ma che potrebbe dimostrarsi infattibile in altre regioni.
Le situazioni sono molto diverse da regione a regione; la L 56/2014 ha fissato lo schema generale, scardinando il precedente schema organizzativo dell’ente intermedio, ma deliberatamente evitando di dare indicazioni attuative, passando questo compito al livello regionale. Qui si possono quindi immaginare soluzioni diverse, anche molto innovative. L’importante è non perdere tempo. Con l’entrata in vigore della L 56/2014 le norme regionali sul governo del territorio sono diventate in buona parte obsolete e necessitano di essere aggiornate, ad evitare una situazione di paralisi istituzionale che avrebbe pesanti ripercussioni, non solo in campo economico.
Marco Pompilio, professionista, esperto in pianificazione territoriale