Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Crisi economiche e resilienza regionale

Print Friendly, PDF & Email

di: Raffaele Lagravinese

EyesReg, Vol.4, N.2 – Marzo 2014.

Negli ultimi anni, il termine “resilienza” è diventato molto popolare tra gli studiosi di economia regionale e geografia economica. Questa parola già ampiamente utilizzata nelle scienze ingegneristiche (Holling, 1973) è stata impiegata di recente anche in campo economico. Il termine resilienza deriva dal latino “resilire”, che indica il verbo saltare indietro, o rimbalzare. In economia regionale, lo si utilizza per

denotare la capacità di una regione di anticipare, rispondere e ritornare a crescere in seguito ad uno shock economico.

Una domanda ovvia è perché questo termine sia ampiamente usato proprio in questo momento storico. Di fatto la letteratura scientifica si è espressa già in passato sulle politiche anti-cicliche, e sugli effetti delle crisi economiche nelle regioni.

L’attenzione per la resilienza può essere spiegata dal fatto che la recente crisi economica ha colpito le economie occidentali molto più duramente rispetto alle precedenti, determinando nella popolazione un gran senso di incertezza. Il paradigma sociale ed economico sembra essere definitivamente mutato, e quindi anche il modo con cui affrontare il futuro dovrà necessariamente cambiare. Il concetto di resilienza è spesso utilizzato insieme a quelli di “resistenza” e “recupero”. Martin (2012) mette in evidenza come l’effetto di una recessione economica sull’economia regionale si componga di due fasi: la prima fase è quella dello shock stesso, mentre la seconda fase è quella del recupero dallo shock. Determinando l’indice di resistenza durante la fase di recessione e l’indice di recupero dopo la recessione sarà pertanto possibile individuare le cosiddette “regioni resilienti”.

Il presente lavoro è organizzato come segue. Nella prossima sezione è analizzato l’andamento dell’occupazione durante le tre principali recessioni economiche in Italia. Nella sezione successiva, è utilizzato l’approccio di Martin (2012) per definire le regioni resilienti e delineare i settori economici maggiormente colpiti durante la crisi. Nell’ultima sezione sono riportate le conclusioni.

L’occupazione nelle regione italiane durante i periodi di recessione

Per analizzare gli effetti recessivi sulle economie regionali si può utilizzare la variazione del valore aggiunto (o del PIL) oppure la variazione del livello di occupazione. In questo lavoro come in Martin (2012), si è deciso di analizzare solo il livello di occupazione poiché esso rispetto al livello di produzione tende a ritornare su livelli pre-crisi in tempi molto più lunghi, garantendo un arco temporale maggiore per l’analisi.

L’analisi utilizza la banca dati regionale Prometeia e analizza le variazioni del livello di occupazione nel periodo 1970-2011[i]. Come mostra la figura 1 è possibile individuare 3 importanti shock economici[ii] che hanno segnato l’economia italiana negli ultimi quarant’anni. Nello specifico, il primo shock è identificabile nel periodo 1970-1973. Questa caduta repentina del livello occupazionale fu principalmente dovuta alla crisi energetica e alla forti spinte inflazionistiche che colpirono l’Italia in quel periodo. Il secondo shock è identificabile nel periodo 1991-1995. In quegli anni la crisi economica fu generata da forti problemi interni e da una politica monetaria che portò ad una iper svalutazione della Lira, costringendo il Paese ad uscire dallo SME. L’ultimo periodo di recessione si colloca tra il 2008 ed il 2010, quando la crisi dei mutui subprime scoppiata negli USA e propagatasi in breve tempo anche in Europa, ha coinvolto in modo significativo i paesi maggiormente esposti ai titoli “tossici” o con problemi di debito pubblico molto elevato come l’Italia. L’economia italiana inoltre dopo una breve ripresa nel 2011 è ripiombata in una fase recessiva nel periodo 2012-2013.

Figura 1.Tasso di variazione Occupati in Italia (1970-2011)

Fonte: Elaborazioni proprie su dati Prometeia
.

 Le 3 differenti crisi economiche, hanno sortito differenti effetti a livello regionale. La figura 2 mostra l’andamento all’interno delle 4 ripartizioni (NUTS 1) del Paese. La prima crisi ha colpito in modo rilevante le regioni del Centro e quelle del Nord-Ovest. Il secondo shock, invece, ha comportato un significativo crollo del livello occupazionale delle regioni meridionali, sancendo di fatto il riemergere del divario tra le regioni del Sud ed il resto del Paese, che si era invece attenuato sensibilmente durante gli anni ‘60 e ‘70

   Figura 2. Tasso di variazione Occupati nelle macro-aree (NUTS1)
  Fonte: Elaborazioni proprie su dati Prometeia

Resilienza Regionale: Resistenza e Recupero

Un semplice modo per analizzare la diversa incidenza della recessione sulle singole regioni è quello suggerito da Martin (2012), utilizzando l’indice di resistenza e l’indice di recupero.

L’indice di resistenza misura la capacità di una regione di “resistere” ad una recessione economica rispetto alla media nazionale. Nello specifico l’indice di resistenzares) è calcolato nel seguente modo:

βres= [(ΔEr/Er)-(ΔEN/EN)] / | ΔEN/E|                                         (1)

Dove (ΔEr/Er) e (ΔEN/EN ) rappresentano rispettivamente la variazione del livello di occupazione a livello regionale e nazionale.

Un valore di βres superiore a  0 indica una maggiore “resistenza” della regione allo shock economico rispetto al resto della nazione. Di contro un valore βres di inferiore a 0 indica una minore capacità della regione di resistere al periodo recessivo rispetto alla media nazionale.

L’indice di recuperorec), invece, viene calcolato negli anni successivi alla fase di recessione e misura la capacità di una regione di ritornare a crescere dopo lo shock economico. L’indice di recupero è calcolato nel seguente modo:

βrec=(ΔEr/Er)/(ΔEN/EN)                                                          (2)

Un valore di βrec maggiore di 1 indica una capacità della regione di crescere nel periodo post-recessivo superiore rispetto alla media nazionale. Di contro un valore di βrec minore di 1 indica che la regione dopo lo shock economico cresce meno rispetto alla media nazionale.

La figura 3 mostra la relazione delle regioni italiane tra la media dell’indice di resistenza e la media dell’indice di recupero calcolato durante le tre fasi recessive e le due successive fasi di crescita. Suddividendo il grafico in 4 quadranti si può osservare come le regioni situate nel quadrante (NE) Lazio, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto e Lombardia, sono quelle che presentano un maggior grado di resilienza, ovvero le regioni che hanno subito meno il calo dell’occupazione durante i periodi di crisi e che allo stesso tempo hanno visto crescere il numero di lavoratori sensibilmente nei periodi successivi. Al contrario, le regioni poste nel quadrante (SO) Sicilia, Campania, Calabria Basilicata, Friuli V.G e Piemonte sono quelle che hanno subito più duramente le fasi recessive e che successivamente hanno registrato un tasso di crescita dell’occupazione più basso rispetto alla media.

  Figura 3. Indici di Resistenza e Indici di Recupero

 Nota: L’indice di resistenza è stato calcolato nei tre periodi di recessione (1970-1973), (1991-1995), (2008-2010); L’indice di recupero è stato calcolato nei due periodi successivi alla recessione (1974-1990), (1996-2007).

Il settore manifatturiero e quello delle costruzioni di solito sembrano subire più del settore dei servizi la crisi economica. Quest’ultimo infatti essendo più flessibile riesce ad assorbire e rinnovarsi più velocemente rispetto agli altri. L’elevata presenza di dipendenti pubblici, inoltre, favorisce la resistenza agli shock economici, riuscendo quasi totalmente ad attutire il calo di occupazione grazie alla maggiore rigidità dei contratti di lavoro. La tabella 1 analizza il calo la variazione dell’occupazione dei principali settori economici durante le tre fasi di recessione.

Nella prima recessione (1970-1973) il calo maggiore a livello nazionale si è avuto nel settore delle costruzioni (-4.82), seguito da quello manifatturiero (-1.08). Mentre il settore dei servizi è cresciuto sensibilmente (+4.45). La seconda crisi (1991-1995) invece ha colpito tutti i settori facendo registrare un crollo sempre nel settore delle costruzioni (-7.44), nel settore manifatturiero (-4.49), e un calo più ridotto nel settore dei servizi (-2.82).

L’ultima crisi è senza dubbio il periodo recessivo che più dei precedenti ha generato un calo generalizzato in tutti i settori industriali: (-10.23) nel settore manifatturiero: (-4.47) nel settore delle costruzioni; (-2.08) nel settore dei servizi. È da sottolineare, inoltre, come questi dati non tengano conto del biennio 2012-2013, periodo in cui l’acuirsi ulteriore della crisi ha accentuato sensibilmente il calo degli occupati in tutti i settori produttivi.

Riportando queste informazioni statistiche al concetto di resilienza, si può notare sempre dal grafico 3, che le regioni che hanno subito un maggior calo nel settori manifatturieri e nel settore delle costruzioni siano anche quelle regioni che presentano un minor grado di resilienza. (Es. Calabria, Sicilia, Sardegna).

Tabella 1. Variazione dell’occupazione dei principali settori economici durante le tre fasi di recessione.

 Fonte: Elaborazioni proprie su dati Prometeia

L’impatto sull’occupazione, inoltre, può essere determinato dalla tipologia di contratto di lavoro (tempo indeterminato o determinato) oppure dal datore di lavoro (pubblico o privato). La tabella 2 mostra la percentuale di dipendenti pubblici e la percentuale di occupati con contratti di lavoro a tempo determinato per regione nel 2011.

Le regioni come Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Lazio sono le regioni che hanno una maggiore presenza di lavoratori impiegati nel settore pubblico e, come evidenziato dal grafico 3, sono anche le regioni che meno di altre hanno subito gli effetti della crisi economica. Un interessante risultato è osservabile anche dalla percentuale di lavoratori a tempo determinato presenti in regione. A partire dai primi anni 2000 il mercato del lavoro in Italia è diventato molto più flessibile, soprattutto per i nuovi occupati, meno tutelati rispetto al passato e molto più esposti agli effetti delle crisi economiche. Non sorprende pertanto il fatto che le regioni meridionali come Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna in cui c’è un maggior numero di contratti a tempo determinato siano anche le regioni che hanno subito più duramente l’effetto della crisi in termini occupazionali.

Tabella 2. Percentuale di dipendenti pubblici e percentuale di occupati con contratti di lavoro a tempo determinato per regione nel 2011

 Fonte: Dati Istat, “Occupati e Disoccupati” (2013)  

Conclusioni

In questo articolo si è utilizzato il concetto di “resilienza” per analizzare l’impatto delle ultime recessioni economiche sull’occupazione delle regioni italiane. L’analisi ha mostrato che a seguito di questi shock economici, le regioni italiane hanno reagito in modo differente con percorsi di ripresa non omogenei. Le regioni più resilienti, ovvero quelle che sono riuscite a resistere meglio delle altre durante il periodo di crisi e a crescere maggiormente nelle fasi successive, sono quelle che hanno subito meno il calo nel settore manifatturiero e nel settore delle costruzioni. Inoltre, le regioni con una maggiore presenza di dipendenti con contratto a tempo indeterminato e che operano nel settore pubblico, sono riuscite meglio delle altre ad attutire gli effetti recessivi dell’ultima crisi. Gardiner et al., (2013) suggeriscono un ribilanciamento delle attività produttive su tutto il territorio nazionale in modo da attutire le disparità regionali. Christopherson et al. (2010) individuano una serie di politiche pubbliche da implementare per ridurre le differenze regionali come ad esempio favorire l’innovazione e la ricerca tecnologica nelle regioni meno resilienti, potenziare la rete infrastrutturale, favorire gli incentivi per incrementare occupati specializzati, differenziare il tessuto produttivo regionale in modo da non legarlo alle sorti delle grandi industrie.

Raffaele LagravineseUniversità Roma Tre

Riferimenti bibliografici

Christopherson S., Michie J., Tyler, P. (2010), Regional resilience: theoretical and empirical perspectives, Cambridge Journal of Regions, Economy and Society, 3: 3-10.

Gardiner, B., Martin, R., Sunley, P., Tyler, P. (2013), Spatially unbalanced growth in the British economy,  Journal of Economic Geography, 13, 6: 889-928.

Holling C.S. (1973), Resilience and stability of ecological systems, Annual Review of Ecology and Systematics, 4: 1–23.

Martin R. (2012), Regional economic resilience, hysteresis and recessionary shocks, Journal of Economic Geography, 12, 1: 1-32.

[i]  L’analisi non tiene conto del periodo di recessione 2012-2013, poiché i dati relativi al 2013 non sono ancora disponibili.

[ii] In questo articolo si definisce shock economico, la riduzione di almeno un punto percentuale del livello di occupazione.

Condividi questo contenuto
 
 
 
 
 
 
 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *