Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Capitale sociale, crescita economica e spazio

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di: Luciano Lavecchia

EyesReg, Vol.4, N.4 – Luglio 2014.

Fin dalle origini, l’economia si è interessata alle persone, ai loro valori e iterazioni. Già nel 1776 Adam Smith identificava nell’interesse egoistico degli individui il motore del benessere di una società, mentre Max Weber (1905) spiegava il differenziale di crescita tra Germania e Italia con la differente “coscienziosità” dei rispettivi lavoratori. Curiosamente, l’attribuzione del soprannome “scienza triste” risale ad uno scontro tra chi giustificava i bassi salari degli schiavi poiché “moralmente giusto” e i sostenitori di quella “triste scienza” che favoriva l’emancipazione e un salario determinato dall’incontro tra domanda e offerta (Dixon, 1999). Nel secondo dopoguerra il focus su valori è uscito dall’agenda degli economisti [1] per ritornarvi solo recentemente, sulla scia del “familismo amorale” di Banfield (1958) o dell’importanza del civismo enfatizzata da Putnam (1993). Diversi lavori empirici esaltano il ruolo della fiducia generalizzata come ingrediente fondamentale per facilitare le transazioni,  l’importanza di una certa attitudine al lavoro,  così come l’impatto dei propri valori su scelte quali fertilità, partecipazione al mondo del lavoro o interesse per la  politica (per una rassegna, Lavecchia, 2014).

La copiosa letteratura empirica sul capitale sociale ha suscitato la rigorosa presa di posizione di Solow (1995), il quale osserva che non si può parlare di “capitale” senza una misura precisa e un chiaro processo di accumulazione/decurtazione.

All’osservazione sul processo di misurazione, Guiso, Sapienza e Zingales (2010) rispondono con un refinement, il capitale civico,  definito come “those persistent values and shared beliefs, which allow a group to overcome the free rider problem in the pursuit of socially valuable activities”.

Per quanto riguarda i meccanismi di creazione e trasmissione del capitale sociale, diversi lavori (Bisin e Verdier, 2001, Benabou e Tirole 2006, Guiso, Sapienza e Zingales, 2008) hanno modellizzato l’influenza sia dei genitori che del contesto esterno (c.d. “socializzazione”). In particolare, anche il luogo in cui si vive, si studia, contribuisce a creare quell’insieme di valori e credenze che accompagna ogni essere umano nelle sue scelte. Sfortunatamente la mancanza di dati appropriati, insieme a rilevanti problemi di identificazione (Blume et al., 2010) riducono il numero di studi empirici disponibili.

Di seguito vediamo più nel dettaglio alcune problematiche connesse alla misurazione del capitale sociale.

Misurare il capitale sociale

Un primo problema è connesso alla scelta del livello di osservazione spaziale più “opportuno”: la formazione del capitale sociale è un fenomeno place-based [2], che avviene cioè in uno spazio fisico ben definito (la famiglia, la scuola, il quartiere, il proprio paese); segue la necessità di interrogarsi su quale sia la distanza massima oltre la quale tale influenza cessa. In letteratura questo problema è noto come Modifiable Areal Unit Problem (MAUP) che fa riferimento a come cambiano i risultati a secondo del tipo di aggregazione spaziale considerata. Una volta identificato il livello più “adeguato” di analisi, sia il comune o lo Stato, le informazioni sulla prossimità/contiguità delle unità coinvolte nell’analisi saranno sintetizzate nella matrice di pesi spaziale W. Inoltre, con riferimento al carattere multidimensionale del capitale sociale, giova rilevare che sarebbero preferibili più misure, opportunamente combinate, rispetto a singole (e a volte discutibili) variabili. Accanto a queste considerazioni teoriche vi sono i limiti derivanti dalla disponibilità dei dati.

Una possibile tassonomia delle misure esistenti di capitale sociale prevede il confronto tra “outcomebased”, misure basate su indagine demoscopiche ed esperimenti.

Le misure “outcomebased” hanno il pregio di serie storiche lunghe e rappresentatività spaziale a livelli molto disaggregati (e.g. città) ma c’è un forte rischio di endogeneità; ad esempio, l’elevata affluenza alle elezioni potrebbe essere segnale di capitale sociale come di altri fenomeni non osservabili (vedi la letteratura su pork barrel politics). Le misure demoscopiche misurano direttamente valori e credenze, spesso in maniera omogenea a livello internazionale; sfortunatamente questi dati sono disponibili al più da 30 anni, con frequenza pluriennale e, almeno inizialmente, non erano pensate per avere rappresentatività statistica a livello sub-nazionale. Gli esperimenti permettono una misurazione ancora più precisa, riducendo il rischio di distorsioni nella raccolta delle risposte, ma possono essere costosi e i risultati non sono comunque generalizzabili. In estrema sintesi, la scelta di una base dati non è neutrale rispetto agli obiettivi di ricerca.

 

Il capitale sociale in Europa: un esercizio

A titolo di esempio, riportiamo i risultati di un’analisi condotta a livello europeo, che tiene conto della multidimensionalità del capitale sociale usando nove variabili [3], sintetizzate con la tecnica delle componenti principali (PCA). I dati sono aggregati seguendo la classificazione Nomenclature of territorial units for statistics (NUTS) proposta da Eurostat: 156 regioni per 16 paesi, tutte NUTS 2 (corrispondente alle regioni italiane), con l’eccezione della Germania ove il livello massimo di disaggregazione possibile per mantenere significatività statistica è NUTS 1.

Assumendo il criterio di contiguità spaziale “rook” per la matrice W, e cioè che solo comunità regionali contigue possono influenzarsi, è possibile condurre un’analisi spaziale esplorativa (ESDA), calcolando gli indici di correlazione spaziale e testando l’esistenza di eventuali clusters di regioni con valori simili/dissimili.

Figura 1 – Distribuzione misura multidimensionale capitale sociale

Nota: il bianco corrisponde al primo quartile della distribuzione; il nero all’ultimo quartile.

In figura 1 è possibile osservare la distribuzione per quartili della prima componente principale, che spiega da sola circa un terzo della variabilità totale, ove a colori più scuri corrispondono quartili più elevati della distribuzione: i paesi del Nord Europa hanno dotazioni di capitale sociale più elevati, cosi come la Svizzera e parti dell’Europa centrale. E’ da rilevare l’esistenza di una significativa variabilità all’interno di ogni paese: il focus sul livello nazionale avrebbe comportato la perdita di queste informazioni, quali ad esempio le note differenze tra Nord e Sud dell’Italia, ma anche le eterogeneità di Francia e Spagna. Si osservano inoltre gruppi di regioni con valori simili a ridosso dei confini nazionali, così come confermato dall’indice Global Moran’s I che è statisticamente significativo e positivo: regioni con elevata dotazione di capitale sociale hanno vicini simili, e viceversa. Un’analisi degli indicatori di associazione spaziale a livello locale (LISA) conferma l’esistenza di clusters di regioni con valori simili.

Le evidenze fin qui riportate sono puramente descrittive e suggeriscono che in analisi dell’impatto economico del capitale sociale è opportuno considerare anche eventuali spillover spaziali.

Partendo da un lavoro di Tabellini (2010) che si concentra su un campione molto simile, è possibile stimare il contributo alla crescita economica del capitale sociale tenendo conto, nelle varie specificazioni, di diverse problematiche, quali ad esempio il rischio di reverse causality tra crescita economica e capitale sociale, nonché un’eventuale mispecificazione derivante dall’omissione di variabili spaziali (Lavecchia, 2014). I risultati riportano un contributo sempre positivo e statisticamente significativo del capitale sociale, in particolare usando misure demoscopiche.

Conclusioni

Lungi dall’essere chiuso, il dibattito sul capitale sociale pone delle sfide notevoli alla professione: appare ancora non chiaro il nesso di causalità tra crescita economica e valori anche se alcune prime risposte potrebbero arrivare dal contributo della neuro-economia (Haushofer e Fehr, 2014); dataset che riportino risposte abbinate di genitori e figli aiuterebbero a chiarire i meccanismi di trasmissione intergenerazionale, così come indagini ad hoc sulle reti di relazioni dei giovani promettono di chiarire le differenze tra peer effects ed effetti contestuali.  Il rapporto tra econometria spaziale e social network è ancora in fase di studio ma Durlauf (2010) suggerisce possibili convergenze. Oggi l’economia ha gli strumenti per  ritornare alle sue origini di scienza sociale, con il rigore matematico e scientifico che ha conquistato negli ultimi decenni.

Luciano Lavecchia, Università degli Studi di Palermo

Riferimenti bibliografici

Adam S. (1776), La ricchezza delle nazioni, Utet, Milano.

Benabou R.,  Tirole J. (2006), Belief in a just world and redistributive politics, Quarterly Journal of Economics, 121(2), 699-746.

Banfield E.C., The moral basis of a backward society , New York: free press.

Bisin A., Verdier T. (2001), The Economics of Cultural Transmission and the Dynamics of Preferences , Journal of Economic Theory, 97, 298-319.

Blume et al. (2010),  Identification of Social Interactions,  Institute for Advanced Studies, Economic series, 260.

Dixon R. (1999), The Origin of the Term “Dismal Science” to Describe Economics, The University of Melbourne, Department of Economics,  Working Papers Series 715.

Guiso L., Sapienza P.,  Zingales L. (2008), Alfred Marshall Lecture – Social capital as good culture, Journal of the European Economic Association, April–May 2008 6(2–3):295–320

Guiso L., Sapienza P.,  Zingales L. (2010),  Civic Capital as the Missing Link,  Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF), EIEF Working Papers Series 1005.

Yarrow G. (2009), The role of academia in public policy, Regulatory policy Institute, Working Paper, Oxford.

Haushofer J., Fehr E. (2014), The Psychology and Neurobiology of Poverty, Revise-and-Resubmit, Science.

Lavecchia L. (2014), Essays on social capital and space, Università degli Studi di Palermo,  Department SEAS, PhD thesis.

Manski C. F. (2000), Economic analysis of social interactions,  Journal of Economic Perspectives,14(3), 115-136.

Putnam R. (1993), Making democracy work, Princeton University Press.

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