Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Stabilità finanziaria e ripresa economica: una compatibilità difficile, ma non impossibile

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 di: Aurelio Bruzzo

EyesReg, Vol.3, N.6 – Novembre 2013.

Dall’analisi della più recente letteratura economica sul binomio “austerità-sviluppo (o ristagno)” emerge che tutte le combinazioni ottenibili da questi termini [1] sono ritenute possibili. Infatti, anche limitandoci a considerare studiosi europei, s’individuano alcuni contributi nei quali – ispirandosi al famoso studio di Reihart e Rogoff (2010) – si sostiene che le politiche macroeconomiche di tipo espansivo sono incompatibili con la sostenibilità di un elevato debito pubblico, come quello italiano (ARDeP, 2013; Bella e Di Sanzio, 2013). Viceversa, in numerosi studi ci si schiera, per vari motivi, contro le politiche di austerità e si propone invece di ricorrere a politiche espansive, come indispensabile soluzione per uscire dalla recessione in corso nei paesi dell’UE (Coriat, Coutrot, Lang e Sterdyniak, 2013; Realfonzo, 2013; Roncaglia, 2013). Altri numerosi contributi poi avanzano l’idea che sia possibile l’espansione di un sistema economico proprio grazie al risanamento della finanza pubblica: si tratta della cosiddetta “austerità espansiva” che si è imposta negli ultimi anni (Cunctator e Magazzino, 2012; Trupiano, 2012; CER, 2013). Infine s’individua un più ristretto gruppo di studi in cui – considerando l’esperienza registrata in Italia negli ultimi decenni – si rileva come un’ulteriore crescita della spesa e del debito pubblico possa addirittura coesistere con una prolungata stagnazione del sistema produttivo (Arfaras, 2011; Perri, 2013).

È dunque evidente come sia riduttiva la contrapposizione fra i sostenitori del rigore finanziario e i sostenitori dello sviluppo economico, così come – d’altro canto – non sia neppure realistico pensare di conseguire l’equilibrio finanziario o lo sviluppo economico mediante le convenzionali misure di intervento pubblico, giacché la crisi economico-finanziaria che molti paesi europei stanno ancora attraversando, è un fenomeno ben diverso dalle crisi del passato, in quanto essa è profondamente strutturale (anziché congiunturale). Analogamente, la situazione in cui versano attualmente numerosi paesi dell’UE è ben diversa da quella precedente la fine degli anni Novanta, quando essi non appartenevano ancora all’UEM, con tutti i vincoli che questa comporta.

Principali limiti del dibattito in corso

L’attuale situazione è notevolmente diversa da quella esistente quando sono state formulate le principali teorie economiche di riferimento, per cui molte delle analisi condotte e delle proposte di soluzione avanzate seguendo gli schemi teorici convenzionali risultano ben poco utili.

Innanzi tutto, quasi tutti gli studiosi che hanno criticamente valutato le misure di contrazione della spesa pubblica assunte dai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni [ii], non sembrano essere consapevoli del fatto – ultimamente accertato – che in Italia la spesa e il debito pubblico in realtà hanno continuato ad aumentare in valore assoluto e ciò quanto meno per i seguenti motivi:

–       innanzi tutto, il ricorso agli stabilizzatori automatici a favore del fattore lavoro (CIG, ecc.), conseguente all’aumento della disoccupazione registrato in numerosi settori produttivi;

–       in secondo luogo, la sostanziale inefficacia di alcune delle misure restrittive, per cui ad esempio se sono diminuiti il numero dei dipendenti pubblici e la corrispondente spesa, è invece aumentata quella per l’acquisto di beni e servizi;

–       infine, l’aumento dei trasferimenti pubblici effettuati a favore dell’UE per alimentare i nuovi strumenti finanziari come l’EMS, istituiti a livello europeo per provvedere al “salvataggio” finanziario della Grecia.

Inoltre, in presenza della globalizzazione l’eventuale aumento di spesa pubblica deciso da un singolo governo nazionale al fine di favorire il processo di sviluppo del proprio sistema produttivo, può vedere buona parte del suo effetto espansivo, conseguente all’azione dei moltiplicatori, dispersa all’esterno del paese in questione, soprattutto se questo appartiene ad un mercato ormai integrato come quello europeo, in cui i vari sistemi economici nazionali sono perfettamente accessibili da parte delle imprese appartenenti agli altri sistemi economici.

Ancora in merito alle politiche a favore dello sviluppo socio-economico si osserva che in pressoché tutti gli studi, siano essi favorevoli o contrari alle misure di austerità decise a livello europeo, si trascura il fatto che l’UE dispone già dal 2000 di una politica a favore dell’occupazione e dello sviluppo, costituita dalla nota Strategia di Lisbona, che ben pochi degli Stati e delle regioni allora membri sono riusciti a realizzare entro la scadenza per essa fissata (il 2010), tanto che le Istituzioni comunitarie – anche per fronteggiare la crisi economica internazionale e quella strettamente europea dei debiti sovrani nel frattempo sopraggiunte – nello stesso 2010 hanno adottato una nuova strategia, denominata Europa 2020, il cui obiettivo è costituito dal perseguimento entro la fine del decennio in corso di uno “sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo”. È opportuno specificare che per finanziare tale strategia, affidata ai governi centrali e a quelli decentrati, nei regolamenti comunitari relativi alla politica di coesione, sia per il periodo di programmazione 2007-2013 sia per il prossimo 2014-2020, si stabilisce che gran parte dei fondi strutturali siano impiegati per lo sviluppo e l’occupazione, per cui tale politica finisce per svolgere un importante ruolo di sostegno alla politica comunitaria di sviluppo (European Commission, 2013). Infine, dal 2012 è stato adottato anche un apposito Growth Compact, con obiettivi sostanzialmente analoghi (occupazione giovanile, ecc.), il cui finanziamento deriva anch’esso dalle risorse stanziate per la politica di coesione.

D’altro canto, dei numerosi studiosi preoccupati per i probabili effetti recessivi derivanti da un’accentuata politica fiscale restrittiva – come quella richiesta per applicare il Trattato intergovernativo sul Fiscal Compact – solo alcuni esponenti dell’ARDeP ritengono che si possa intervenire sul versante tributario, non andando però a colpire i redditi e i consumi, bensì quella consistente parte della produzione che sfugge alla tassazione e alla contribuzione sociale a causa sia della Shadow Economy, la cui dimensione è stata stimata in oltre il 16% del PIL, sia della criminalità organizzata, stimata in un altro 11% circa (Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati, 2011) [iii].

Un altro elemento trascurato o, quantomeno, sottovalutato dai contributi sui possibili effetti prodotti dall’eccesso di spesa pubblica finanziata mediante il ricorso a nuovo indebitamento è costituito dalla presumibile accentuazione delle profonde disuguaglianze reddituali esistenti in Italia a causa della remunerazione offerta ai possessori dello stesso debito. In merito, infatti, la cosiddetta “teoria del circuito”, elaborata alcuni anni fa da Graziani (2003), non può più funzionare, giacché ormai il 40% circa del debito pubblico è posseduto da soggetti esteri, mentre la conseguente maggiore tassazione sarebbe destinata a gravare solo sui residenti, ivi compresi però anche coloro che, non avendo sottoscritto i titoli, non percepirebbero alcuna “rendita”. In altre parole, anche il finanziamento della spesa pubblica mediante indebitamento può produrre effettivi redistributivi di tipo regressivo e questo rappresenta certamente un valido motivo per ridimensionare l’importo del debito.

Tutte queste constatazioni portano a sostenere che la strada da imboccare in Italia per uscire dall’attuale crisi è completamente diversa, cioè più difficile e complessa, di quelle già sperimentate nel passato, fra l’altro con successo solo molto modesto, giacché la natura e le cause della stessa crisi – come già accennato – sono diverse.

Prime proposte di contestuali politiche di austerità fiscale e di sviluppo economico

Come noto, l’Italia attualmente è il paese dell’UE col rapporto debito/PIL più elevato, dopo la Grecia, per cui occorre individuare efficaci misure di politica economica che contribuiscano ad annullare il deficit e ridurre nei prossimi 20 anni il debito pubblico, così come previsto dal Fiscal Compact, che è stato liberamente e consapevolmente sottoscritto dal nostro capo del governo. Di conseguenza, vanno scontati gli effetti economico-finanziari che saranno prodotti dalle misure di austerità da adottare in Italia a partire dal 2015 per l’applicazione di questo Trattato intergovernativo, nonché del principio del pareggio di bilancio introdotto nella Costituzione. Inoltre, vanno individuate e predeterminate ulteriori misure di austerità di tipo alternativo (come la lotta all’evasione fiscale e la criminalità organizzata che ormai interessano tutto il paese e non solo alcune regioni meridionali), grazie alle quali recuperare l’ammontare di risorse finanziarie sufficiente per sostenere non solo la riduzione dell’imponente debito prevista dal Fiscal Compact, ma anche gli investimenti pubblici, infrastrutturali e produttivi, ritenuti indispensabili ai fini del rilancio del sistema economico, nella cui realizzazione vanno ovviamente coinvolti anche gli operatori privati mediante le forme di partnership previste dalla normativa vigente (Masera, 2012).

In compenso, l’Italia è uno dei paesi dell’UE che si dimostra meno capace d’impegnare e d’impiegare i consistenti fondi stanziati dalla stessa UE nell’ambito della politica di coesione 2007-2013, nonostante che tali risorse siano per l’85% destinate alle regioni del Mezzogiorno, le quali manifestano ancora un profondo ritardo di sviluppo rispetto a quelle del Centro-Nord [iv]. Pertanto, la poco positiva esperienza italiana evidenzia la pressante esigenza di superare le difficoltà incontrate dalle competenti Amministrazioni nel realizzare i progetti a favore del tanto agognato sviluppo socio-economico, tenendo conto che quanto è accaduto nel periodo ormai vicino alla conclusione potrebbe ripetersi anche in quello 2014-2020, per il quale il recente progetto di Legge di Stabilità prevede uno stanziamento del governo centrale pari a quasi 55 miliardi di euro per il Fondo Coesione Sviluppo (ex FAS) di cui l’80% per il Mezzogiorno e il 20% per il Centro-Nord. Tale importo si aggiungerà ai Fondi strutturali europei (per circa 30 mld.) e al co-finanziamento delle altre Amministrazioni nazionali (per 15 mld.), arrivando così nel complesso a poco meno di 100 mld. con cui finanziare nel prossimo settennio la politica di coesione, la quale ancora una volta avrà come destinazione prioritaria le infrastrutture in settori chiave per lo sviluppo economico del paese [v]. Per massimizzarne gli effetti, però, occorre che le Amministrazioni preposte provvedano tempestivamente alla loro progettazione e che le imprese italiane risultino in grado di soddisfare questa quota aggiuntiva della domanda globale.

Aurelio Bruzzo, Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara

Riferimenti bibliografici

Ardizzi G., Petraglia C., Piacenza M. e G. Turati (2011), L’economia sommersa fra evasione e crimine: una rivisitazione del currency demand approach con una applicazione al contesto italiano, XXIII Conferenza SIEP, Pavia

Arfaras G. (2011), 1990-2010: vent’anni, tanto debito e poca crescita, http://www.linkiesta.it/peso-debito-pubblico-PIL

Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico-ARDeP (2013), VII Rapporto sull’Economia Italiana, sintesi a cura di P. Moliterni, Roma

Bella M., di Sanzio S. (2013),  Quel che resta di Reinhart e Rogoff, www.lavoce.info.quel-che-resta-di-reinhart-e-rogoff/

Centro Europa Ricerche (2013), Europe’s choice: Austerity or growth?, Rapporto n. 1, Roma

Coriat B.,  Coutrot T., Lang D. e Sterdyniak H. (2013), Cosa salverà l’Europa. Critiche e proposte per un’economia diversa, Minimum Fax, Roma

Cunctator e Magazzino G. (2012), Il trade-off tra crescita economica e rigore fiscale. Un’applicazione di Quant-Intelligence: la curva BARS nell’intelligence economica, IISS, Policy Brief, 7

European Commission (2013), EU Cohesion Policy Contributing to Employment and Growth in Europe, Joint paper from the Directorates-General for Regional & Urban Policy and Employment, Social Affairs & Inclusion, European Union, http://ec.europa.eu/regional_policy/index_en.cfm

Graziani A. (2003), The Monetary Theory of Production, Cambridge University Press, Cambridge

Masera R. (2012), Infrastructure financing in Europe and the Fiscal Compact approach, Bancaria,  6: 2-20

Perri S. (2013), Bassa domanda e declino italiano, http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/bassa-domanda-e-declino-italiano/#.UhSPH5JA1Yo

Realfonzo R. (2013), Stabilizzare il debito per arginare l’austerità, http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/stabilizzare-il-debito-per-arginare-lausterita/#.Ud6nAflA1Yo

Realfonzo R., Romano R. (2012), La decrescita infelice del governo Monti, http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/la-decrescita-infelice-del-governo-monti/#.UhSI65JA1Yo

Reinhart C. M., K. S. Rogoff (2010), Growth in a Time of Debt, NBER, Working Paper, n. 15639

Roncaglia A., Le politiche di austerità sono sbagliate, Moneta e credito, 66, 262: 121-128

SVIMEZ (2013), Rapporto SVIMEZ 2013 sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna

Trupiano G. (2012), I vincoli economici e fiscali europei: il rigore di bilancio e l’esigenza della crescita, La cittadinanza europea, 2: 79-92



[i] Le combinazioni cui ci si riferisce sono le seguenti: prima austerità, poi sviluppo; prima sviluppo, poi austerità; austerità e sviluppo; austerità e ristagno. In proposito si ricorda che la teoria dei due stadi secondo cui l’austerità deve precedere la crescita, sostiene che per investire bisogna prima aver risparmiato, assunto che è stato successivamente invertito da Keynes.

[ii] A titolo esemplificativo si veda Realfonzo, Romano (2012).

[iii] Ciò significa che, riuscendo a sottoporre a tassazione la consistente quota del PIL che attualmente si sottrae al pagamento delle imposte, si otterrebbe un notevole aumento delle entrate tributarie, con cui si potrebbe drasticamente ridurre il deficit di bilancio.

[iv] Addirittura – come si sostiene nell’ultimo rapporto della SVIMEZ (2013) – in seguito alla crisi tale divario è aumentato.

[v] Nel luglio scorso la Commissione europea ha assunto una decisione secondo cui per i bilanci consuntivi 2013 e quelli preventivi 2014 degli Stati membri verranno accettate temporanee deviazioni dal percorso di risanamento del deficit verso gli obiettivi di pareggio di medio termine, purché esse dipendano dalla spesa nazionale per progetti co-finanziati dall’UE, come quelli della politica di coesione, le reti trans-europee e il Piano Connecting Europe. Tale norma (denominata golden rule) sarebbe applicabile però solo ai Paesi con un deficit inferiore al 3% del PIL che rispetteranno anche il ben noto criterio stabilito per il debito pubblico (60% del PIL)

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