Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

L’internazionalizzazione delle aziende in Spagna negli ultimi dieci anni

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di: Paolo Gheda

EyesReg, Vol.3, N.1 – Gennaio 2013.

La «Legislation concerning foreign investment» del 27 giugno 1986 è da considerarsi il punto di partenza legislativo circa la regolamentazione della presenza di aziende straniere in Spagna . Va subito sottolineato come, già nella metà degli anni Sessanta, è apparso chiaro agli osservatori e tecnici di mercato che la Spagna necessitava di investimenti aziendali dall’estero per uscire dall’autarchia agricola franchista (Comyns Carr, 1964). La tesi di fondo di questo contributo è che l’attrattività spagnola nei confronti della aziende di altri paesi rappresenti negli ultimi dieci anni un dato incontrovertibile, specialmente se parametrato agli altri paesi dell’area UE, e in particolare a quelli meridionali come Italia, Grecia o Portogallo.

Pur considerando l’invitabile flessione economica generale prodotta dalla crisi, che ha avuto nel paese iberico conseguenze più o meno in continuità con gli altri stati europei sul piano delle commesse e della redditività generale, ed ha pure fatto emergere una sua specifica capacità di risposta fondata su di una fiscalità generalmente più favorevole, se si intende la media del periodo storico qui preso in considerazione bisogna ancora oggi ritenere la Spagna come una nazione che ha prodotto una crescita media assai apprezzabile. Un comportamento anche più durevole di quello di un altro paese emergente dell’area UE che ha fatto molto parlare di sé nei primi anni Duemila, la Repubblica d’Irlanda, i cui investimenti pubblici anche in chiave di sostegno all’internazionalizzazione aziendale, sono ultimamente risultati meno durevoli.

La Spagna proviene del resto da un’esperienza di sviluppo obiettivamente tra le più significative di tutta l’Europa a partire dalla fine degli anni Settanta, e ciò si è verificato proprio in corrispondenza con la fase della democratizzazione politica apertasi con la fine del franchismo (Rudnick, 1976, p. 140). Hooper descrive già nel 1993, analizzando la visione politica del primo ministro iberico socialista Adolfo Suárez González, gli obbiettivi di fondo prefissati per il paese, tra cui un «obligatory link with Europe; – inoltre – the dependence on foreign investments»: centrale su quest’ultimo aspetto è stato proprio l’ingresso del paese nella Comunità Europea nel 1986 (Hooper, 1993). L’esperienza spagnola costituisce allora un caso di studio di grande interesse per la migrazione da un’economia di carattere autarchico e prevalentemente agricolo ad una fase di apprezzabile apertura ai mercati internazionali (Aguilera, 1998, p. 319). Da allora la dipendenza da competenze e risorse tecnologiche e industriali dall’estero è sempre stata nel paese piuttosto evidente (McMillion, 1981, p. 297).

Soprattutto attraverso la riduzione dei tassi di interesse, nel decennio 1998-2008 (e quindi alle soglie della attuale crisi internazionale), la Spagna è stata una delle maggiori protagoniste nello sviluppo economico dell’area Euro, con un tasso di crescita mediamente doppio rispetto alla media continentale (intorno al 3,7%). Si è infatti verificato un apprezzabile aumento di mole dei prestiti con conseguente riduzione dei capitali di risparmio, che ha favorito i consumi dei privati, soprattutto nel settore dell’edilizia. Ciò si è reso possibile anche attraverso un’efficace politica di sfruttamento dei fondi comuni messi a disposizione dalla stessa Comunità Europea, specie nell’ambito della creazione di infrastrutture per la promozione del turismo.

Il sostegno dello Stato alle imprese, anche estere, è stato notevole, e anche la rete bancaria è risultata tra i fattori di maggiore agevolazione per la crescita aziendale (il Banco Santander è attualmente ancora la più grande banca europea). Nel mondo dell’impresa per le comunicazioni è in questa fase che si sono affermati alcuni dei maggiori brand spagnoli a livello mondiale, come Telefonica e Ferrovial, che gestisce i maggiori scali aeroportuali britannici. Un altro ambito di sviluppo particolarmente sostenuto nel paese iberico è stato quello delle energie alternative (eolico con il 9% della produzione nazionale, e solare). Allo stesso modo si è incentivato molto il settore dell’informatica e si è sostenuto quello della ricerca universitaria, in controtendenza con paesi della stessa fascia di rating come purtroppo l’Italia.

Il quadro delle autonomie territoriali ha a sua volta risentito positivamente, ed in alcuni casi addirittura alimentato la crescita economica del paese, come attesta la ripartizione del PIL spagnolo in quegli stessi anni, dove le eccellenze risultano ricoperte dalla Comunità di Madrid, dai Paesi Baschi, da Navarra e Catalogna, tutte con valori superiori alla media UE. Si segnala, in particolare, la ZEC (Zona Especial Canaria), ad oggi il distretto europeo che presenta il più basso livello di imposizione fiscale, finalizzato alla promozione dello sviluppo dell’arcipelago. Le relazioni “intercorporate” hanno costituito negli ultimi anni, d’altro canto, il “core” dell’economia spagnola, facilitate dal diretto intervento dello Stato, e con la liberalizzazione dei mercati gli investimenti finanziari esteri si sono moltiplicati (Aguilera, 1981, p. 337).

Il beneficio degli investimenti di aziende estere nel paese è verificabile anche nei termini di una Social Responsability finalizzata a rafforzare il circolo virtuoso tra produzione e ambiente sociale in Spagna (Fuentes-García et al., 2008). Anzi, la busisness ethics ha preso piede nella penisola iberica proprio anche attraverso il confronto con le aziende importate sul territorio (Melé et al., 2008, p. 25). Queste imprese estere, moltiplicatesi in Spagna nella prima decade dei Duemila, sembrano inoltre essersi comportate in un’ottica sussidiaria rispetto ai distretti di accoglienza, cercando, in generale, «to provide the means to satisfy the needs of the countries where they operate» (Déniz-Déniz e García-Falcón, 2002), specialmente promuovendo lo sviluppo attraverso una specifica attenzione per i salari, e funzionando pienamente come fattore di Corporate Social Opportunity (CSO); l’attenzione per la business ethics da parte delle aziende estere è confermata anche in un recente studio complessivo sulla questione (Argandoña, 1999). Del resto, in Spagna, come Portogallo e Grecia, i governi sembrano già da tempo aver adottato un’attitudine positiva verso la CSO (Albareda et al., 2007, p. 404). Nel 2006 si è inoltre sostenuto che in una vision macroeconomica erano auspicabili ulteriori investimenti socialmente responsabili in Spagna per sviluppare una social responsabily da parte di attori privati e istituzionali, anche esteri (Lozano et al., 2006, p. 313).

D’altro canto, recenti indagini hanno confermato sul piano statistico le ragioni di fondo che hanno guidato molte aziende estere a delocalizzarsi, anche parzialmente, in Spagna: a) coprire un mercato potenzialmente assai vasto; b) stabilire una piattaforma per le esportazioni su altri mercati (magari di lingua spagnola, come i paesi latinoamericani). Per comprendere appieno questa dinamica dell’internazionalizzazione aziendale europea, bisogna fare attenzione alla più recente politica di sviluppo del governo spagnolo, che ha diramato una serie di misure di sostegno alle imprese, e in generale al mondo del lavoro, attraverso il Regio Decreto n. 6 del 2010, in ambito di materia edilizia, sui temi del risparmio energetico, soprattutto recupero dell’IVA in caso di insolvibilità delle commesse da parte dei clienti, andando a modificare l’art. 80 della legge 37/1992, e intervenendo sulla riduzione del carico fiscale alle imprese. D’altro canto, gli ultimi studi del settore dimostrano come in Italia e Spagna il modello di tassazione e trasferimenti abbia influenzato profondamente i redditi netti (Ekinci et al., 2007, p. 367).

Queste scelte politiche hanno così favorito in Spagna la diffusione delle società anonime e società limitate anonime, sotto forma di persone giuridiche, andando in molti casi a costituire joint venture con imprese già presenti sul territorio. In quest’ultimo caso si è verificato il vantaggio di poter operare sul mercato spagnolo senza una presenza fisica, mediante contratti di distribuzione, agenti e franchising. Inoltre, alcune ricerche più recenti mostrano anche il vantaggio degli investimenti in chiave cooperativa in Italia, Sardegna e Spagna (Woodard e Vargas-Cetina, 2011). In più, il mercato del lavoro spagnolo non sembra risentire particolarmente dell’ingresso di aziende estere e italiane in particolare, anzi in uno studio si assume la tesi che l’immissione di lavoratori dall’estero in Spagna sia stato – e continui ad essere – un fattore di beneficio per l’intera Unione Europea (Huntoon, 1998). In conclusione, la disanima della letteratura scientifica di carattere storico-economico, pienamente rispondente al quadro di società presentato dalla pubblicistica nel decennio oggetto di analisi del presente contributo, conferma la significatività e l’impatto positivo dell’internazionalizzazione aziendale spagnola, in particolare nell’ultimo decennio.

Paolo Gheda, Università della Valle d’Aosta

Riferimenti Bibliografici

Richard Comyns Carr, Spain and the Common Market , «The World Today», Vol. 20, No. 6 (June, 1964), pp. 249-255.

David Rudnick, Spain’s Long Road to Europe , «The World Today», Vol. 32, No. 4 (April, 1976).

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Ruth V. Aguilera, Directorship Interlocks in Comparative Perspective: The Case of Spain, «European Sociological Review», Vol. 14, No. 4 (December, 1998).

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Fernando J. Fuentes-García, Julia M. Núñez-Tabales and Ricardo Veroz-Herradón, Applicability of Corporate Social Responsibility to Human Resources Management: Perspective from Spain, «Journal of Business Ethics», Vol. 82, No. 1 (September, 2008), pp. 27-44.

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Antonio Argandoña, Business Ethics in Spain, «Journal of Business Ethics, Vol. 22, No. 3 (November, 1999), pp. 155-173.

Laura Albareda, Josep M. Lozano and Tamyko Ysa, Public Policies on Corporate Social Responsibility: The Role of Governments in Europe, «Journal of Business Ethics», Vol. 74, No. 4, Ethics in and of Global Organizations: The EBEN 19th Annual Conference in Vienna (September, 2007).

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Mehmet Fatih Ekinci, Şebnem Kalemli-Özcan, Bent E. Sørensen, Philip R. Lane and Enrique G. Mendoza, Financial Integration within E.U. Countries: The Role of Institutions, Confidence, and Trust, «NBER International Seminar on Macroeconomics», (2007).

Michael Woodard and Emilie Bess Gabriela Vargas-Cetina, Corporations, Cooperatives, and the State: Examples from Italy: with CA comment, «Current Anthropology», Vol. 52, No. S3, Corporate Lives: New Perspectives on the Social Life of the Corporate Form, edited by Damani J. Partridge, Marina Welker, and Rebecca Hardin (Supplement to April 2011), pp. S127-S13.

Laura Huntoon, Immigration to Spain: Implications for a Unified European Union Immigration Policy, «International Migration Review», Vol. 32, No. 2 (Summer, 1998), pp. 423-450.

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