Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Il nuovo ruolo delle città in un periodo di cambiamenti strutturali

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di: Enrico Ciciotti

EyesReg, Vol.3, N.6 – Novembre 2013.

La recente pubblicazione da parte del MIUR della graduatoria del bando sulle smart cities [1] offre lo spunto per fare una riflessione più generale sul ruolo che le città possono svolgere nell’economia nazionale in un periodo di bassa crescita e di profondi mutamenti strutturali come quello che stiamo vivendo.

Senza la pretesa di esser esaustivi, vale la pena ricordare brevemente le diverse teorie e autori che hanno attribuito un ruolo rilevante alle città nello sviluppo economico. Tra essi vanno senza dubbio annoverati i contributi relativi: alla così detta “ipotesi dell’incubatrice” (Leone e Struick, 1976; Ciciotti, 1984), che lega la natalità delle imprese innovatrici al ruolo delle inner cities delle grandi aree metropolitane; alla teoria del filtro (Berry, 1972; Thompson, 1968), che mette in relazione la diffusione delle innovazioni con la struttura urbana; al modello dei poli di crescita che secondo Boudeville (1972), hanno il compito di diffondere lo sviluppo generato dai poli di sviluppo; alle analisi delle reti di città (Camagni, 1993; Dematteis, 1985) che stabiliscono interessanti relazioni di sinergia e complementarietà tra i diversi centri urbani e alla rivisitazione del ruolo delle città in chiave post industriale e di competizione territoriale (Ciciotti e Perulli, 1990).

Peraltro, anche se gli esempi di ottimi successi in termini di crescita e occupazione di politiche attuate a livello  di singole aree metropolitane sono numerosi (si pensi in particolare alle esperienze di maggior successo dei piani strategici urbani), questo interesse scientifico per la città saltuariamente si è concretizzato nella messa in atto di adeguate politiche urbane a scala nazionale, fatta eccezione per la costituzione del Ministero delle Aree Urbane nel periodo 1987-1993 e, in seguito, la costituzione del Dipartimento delle Aree Urbane presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri [2]

È in un certo senso paradossale che nell’attuale fase di profonda crisi dello sviluppo nei paesi industriali avanzati ci si concentri prevalentemente su politiche di natura macroeconomiche (per di più di stampo marcatamente neoliberista) e si tenga in poco conto il fatto che le città rappresentano il luogo di massima concentrazione della popolazione, dei consumatori, del capitale umano, delle conoscenze, della cultura, delle infrastrutture materiali e immateriali e delle capacità produttive, con tutti i problemi e le opportunità che da essa derivano.

Il bando MIUR sulle smart cities, pur essendo un’iniziativa che va nella direzione giusta, mostra, al tempo stesso, tutti i problemi derivanti dalla mancanza di una visione organica della politica delle città a scala nazionale.

Le ragioni di quest’affermazione sono molteplici.

In primo luogo, l’ammontare dei finanziamenti: allo stato attuale sono previsti 630 milioni di euro per settantuno progetti esecutivi che, in base alla graduatoria, risultano ripartiti in due fasce, i progetti che hanno ottenuto il maggior punteggio e i progetti considerati idonei. Secondo le disposizioni del MIUR, l’impegno finanziario dei progetti sarà stabilito in coerenza con la graduatoria e a valle delle visite in loco realizzate dagli esperti tecnico scientifici. Tale impegno finanziario che sarà reso disponibile fino a concorrenza delle risorse totali, il che significa che forse non tutti i progetti potranno accedere ai fondi (o al limite, se tutti fossero finanziati, avrebbero in media circa 900 mila euro ciascuno !). Anche se si prevede che i progetti siano cofinanziati con capitali privati e che facciano riferimento quasi esclusivamente all’attività di ricerca e solo in parte di sperimentazione, si tratta decisamente di una cifra molto modesta.

Il secondo aspetto riguarda i ritardi burocratici in cui è incorso il bando in questione. Partito nel luglio del 2012, il bando ha avuto una fase istruttoria che si è prolungata oltre il previsto [3]. Cosa peraltro in parte giustificabile in relazione alle novità da esso introdotte.

L’aspetto più importante, però, riguarda l’approccio stesso del bando, volto al finanziamento di attività di ricerca industriale, estese solo in parte anche allo sviluppo sperimentale, finalizzate a nuovi prodotti, nuovi processi e nuovi servizi per le «smart communities».   In particolare, sono sedici gli ambiti d’intervento previsti: sicurezza del territorio, invecchiamento della società, tecnologie welfare e inclusione, domotica, giustizia, scuola, waste management, tecnologie del mare, salute, trasporti e mobilità terrestre, logistica last-mile, smart grids, architettura sostenibile e materiali, cultural heritage, gestione risorse idriche, cloud computing technologies per smart government. L’obiettivo generale è lo sviluppo di modelli tecnologicamente innovativi per affrontare congiuntamente tematiche socio-ambientali che possono migliorare la vita dei cittadini.

Si tratta cioè del finanziamento di attività di ricerca e solo in parte di sperimentazione [4], cui però manca il collegamento operativo con la fase di industrializzazione e più in generale con la politica industriale, con la politica del territorio e con la politica di sviluppo. In questo contesto la città è vista soprattutto come il luogo della prima sperimentazione e non dell’applicazione su vasta scala di quanto individuato dall’attività di ricerca; inoltre, le innovazioni proposte sembrano viste più dal lato della domanda da parte delle città che non da quello dell’offerta. Infatti, anche se nel bando si specifica che le idee progettuali dovranno evidenziare le possibili ricadute su altri ambiti e su altre regioni, non viene sufficientemente evidenziato il possibile ruolo di nuova base economica urbana per alcune delle città stesse. Più in generale, quello che manca nell’approccio proposto è l’integrazione della politica di ricerca industriale applicata alle città con una vera politica nazionale delle città, che sia in grado di:

  • svolgere un’attività di coordinamento per il raggiungimento delle opportune sinergie ed economie di scala nell’industrializzazione delle innovazioni sviluppate, cosa che non può essere lasciata solamente al mercato.
  • Promuovere lo sviluppo dei settori emergenti e innovativi anche attraverso la creazione di opportuni cluster: si veda per tutti l’esempio della Carinzia nel campo delle energie rinnovabili, che si connota per l’azione congiunta sulla loro applicazione a scala urbana e sulla loro produzione nel distretto tecnologico di St.Veit/Glen.
  • Favorire l’incontro tra domanda e offerta di nuove tecnologie e lo sviluppo di progettualità diffusa di tipo applicativo, anche grazie alla circolazione delle buone pratiche. L’utilizzo di approcci bottom-up peraltro va fatto tenendo conto dei limiti di capacità progettuale e gestionale che politiche place based hanno incontrato nel caso d’iniziative complesse.
  • Orientare le iniziative, oltre che all’interno delle città che le sperimentano per il miglioramento della loro qualità della vita, anche al loro esterno per la creazione di una nuova base economica urbana. In particolare, vanno sfruttati i nuovi ruoli che le città possono svolgere sui temi di ricerca del bando come possibili esempi di una nuova base economica urbana al servizio dello sviluppo sostenibile nazionale, e non solo come luogo di applicazione delle innovazioni.
  • Reperire le risorse finanziarie per gli investimenti necessari attraverso il coordinamento dei fondi comunitari, nazionali e regionali secondo un piano pluriennale, integrate con opportune forme di partenariato pubblico privato.

In ultima analisi quello che emerge dall’esperienza ancora non completata della smart cities, è la necessità di una politica nazionale delle città, per evitare approcci episodici (come ad esempio i PRU e PRUSST) o parziali e settoriali (l’attività di ricerca del bando MIUR; la rigenerazione delle aree urbane degradate del Piano Città, del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti), incapaci di sfruttare tutti gli aspetti sistemici insiti in tali iniziative e l’impatto che una simile azione potrebbe avere per la ripresa economica. Si tratta di operare secondo la logica dello sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, centrato su un modello di governance bottom–up, corretto e inquadrato in uno schema strategico nazionale.

Il recente insediamento del CIPU [5], Comitato Interministeriale per le politiche urbane, e il varo dell’Agenda Urbana Nazionale [6], rispettivamente nel gennaio e marzo del 2013, sembrano andare in questa direzione, anche se è troppo presto per poter esprimere un giudizio definitivo. In base alle considerazioni precedenti è però possibile esprimere una prima sommaria valutazione, tenendo conto di quelli che dovrebbero essere i requisiti di una nuova politica per le città.

Un primo aspetto riguarda il tema del coordinamento strategico delle decisioni da prendere. Tre sono le soluzioni possibili ipotizzate dall’attuale Ministro per la Coesione territoriale [7]:

  • Il CIPU rappresenta il luogo di messa in coerenza delle singole politiche di settore proprie delle diverse sedi istituzionali che conservano la propria autonoma visibilità. Al Ministro della Coesione territoriale che lo guida spetta il compito di indirizzo e coordinamento.
  • Viene attribuito a una singola Amministrazione il compito di esprimere una leadership rispetto agli altri soggetti e di guidare il processo di intervento. Anche in questo caso le singole Amministrazioni conservano però una propria capacità di intervento sia in termini progettuali, sia come singoli centri di spesa.
  • Vengono allocate le competenze oggi attribuite a diversi Dicasteri a un unico centro di competenza, cui spetta il compito di definire le politiche di intervento e di gestirne , anche sotto il profilo finanziario, la relativa attuazione.

Qualunque sarà la scelta operata [8]  essa andrà fatta tenendo conto che non si tratta solo di integrare a scala nazionale le singole progettualità dei soggetti coinvolti e il relativo l’utilizzo delle risorse finanziarie, ma che il coordinamento strategico dovrà tener conto anche delle possibili reti di complementarietà e di sinergia che si possono instaurare tra le diverse città per ottenere le ipotizzate economie di scala sia dal lato della domanda sia dell’offerta dei servizi e delle iniziative relative ai singoli progetti. Un aspetto di particolare rilievo ci sembra essere quello relativo alla nascita o al consolidamento di opportuni cluster di impresa operanti nei settori dove la domanda da parte delle città si mostra di maggiore peso, sia in termini quantitativi, sia per le implicazioni in termini di innovazione tecnologica e di export potenziale.

Proprio per quanto riguarda i settori di intervento va sottolineata l’esigenza di non riferirsi solo all’uso delle nuove tecnologie (come per il bando smart cities) ma anche di puntare su temi in grado di massimizzare le possibili sinergie tra i diversi aspetti materiali e immateriali. Di particolare interesse, dato il sistema urbano italiano, potrebbero essere i temi alla messa in sicurezza e al risparmio energetico per gli edifici storici, alla valorizzazione dei centri storici,  allo sviluppo delle industrie culturali e creative. Come si può intuire, si tratta di attività (tra l’altro in notevole sinergia tra loro) che hanno una forte domanda interna, ma nelle quali è anche possibile acquisire vantaggi competitivi a scala internazionale, in quanto esiste sicuramente un mercato rilevante almeno a livello UE.

Va anche prevista un’attività di assistenza alla progettazione a livello delle singole città per la messa in essere di progetti innovativi. Tale attività di assistenza dovrebbe riguardare sia la parte tecnologica e tecnico economica, sia quella relativa agli aspetti di governance (coinvolgimento degli stakeholders, forme di finanziamento pubblico-privato, modalità di gestione dei progetti, attività comunicazione e marketing). Le esperienze concrete hanno mostrato le difficoltà delle singole amministrazioni nell’affrontare la progettazione complessa, e il rischio derivante dall’utilizzo di consulenti esterni che molto spesso applicano modelli precostituiti senza tener conto delle specificità locali.

Come corollario dell’attività di assistenza va infine ipotizzata un’adeguata attività di formazione e qualificazione della PA locale per quanto riguarda le competenze interne, in modo da superare nel lungo periodo il deficit attuale e la necessità di assistenza esterna evidenziata in precedenza. Tale attività di formazione dovrebbe essere effettuata in vista di un vero e proprio controllo di qualità sull’attività progettuale, nell’attesa dell’estensione dell’attività di pianificazione strategica, che dovrebbe trovare una sua collocazione e definizione tra gli strumenti di governo dello sviluppo urbano ed essere riconosciuta come punto di riferimento per ogni altro tipo di strumento di pianificazione del territorio [9].

Enrico Ciciotti, Università Cattolica di Piacenza 

Bibliografia

Berry, B. (1972), Hierarchical Diffusion: the Basis of Development of Filtering and Spread in a system  of Growth Centers, in Hansen, N.M. (ed), Growth Centers in Regional Economic Development, New York: The Free Press.

Boudeville, J.(1972), Amenagement du teritoire et polarization, Ed. Genin et Ed. d’Organisation, Paris.

Camagni, R., (1993), From city Hierarchy to City Network: Reflections about an Emerging Paradigm, in Lakshmanan, T.R., Nijkamp, P., (eds.), Structure and Change in the Space Economy,  Berlin, Springer Verlag.

Ciciotti, E. (1984), L’ipotesi dell’incubatrice rivisitata, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali, 2-3.

Ciciotti, E., Perulli, P. (1991), La competizione della città europea, in La costruzione della città europea negli ’80, Credito fondiario, Roma.

Leone, R.A., Struick, R. (1976), The Incubator Hypothesis: Evidence from Five SMSAS, in Review of Economic Studies, 21-1.

Dematteis, G. (1985), Contro-urbanizzazione e strutture urbane reticolari, in Bianchi, G., Magnani, I. (eds), Sviluppo multiregionale :teorie, metodi, problemi, Angeli Milano.

Thompson, W. (1968), Internal and External Factors in the Development of Urban Economies, in Perloff, H., Wingo, L. (eds.), Issues in Urban Economics, John Hopkins Press, Washington.


[1] MIUR- Decreto Direttoriale 31 ottobre 2013 n. 2057 -Decreto di approvazione della valutazione tecnico-scientifica dei progetti per le smart-cities.

[2] Ci occuperemo in seguito del CIPU, Comitato Interministeriale per le Politiche urbane . insediatosi nel gennaio del 2013

[3] Il ritardo complessivo è stato di circa un anno sia per la proroga dei termini di presentazione dei progetti, sia per un’ulteriore  proroga dei termini di approvazione delle proposte da parte del comitato di esperti.

[4] Non a caso il bando è del MIUR, in coerenza con gli orientamenti europei di “Horizon 2020”, gli orientamenti dell’Agenda Digitale Europea, il Piano Nazionale di E-Government e le azioni in atto nel quadro dell’Agenda Digitale Italiana

[5] Del Comitato fanno parte, oltre al Ministro per la Coesione territoriale che lo presiede, il Ministro degli Affari regionali, il Ministro dell’Interno, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro dell’Istruzione dell’università e della Ricerca, il Ministro del lavoro e delle Politiche sociali, il Ministro dello Sviluppo economico, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare. Alle riunioni partecipano anche un rappresentante delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano, delle Province e dei Comuni

[6] Per ora è stato solo  presentato  da parte del CIPU  un  documento dal titolo “Metodi e contenuti sulle priorità in tema di Agensa Urbana”. http//www.coesioneterritoriale.gov.it/metodi-e-contenuti-sulle-priorità-in-tema-di-agenda-urbana-cipu/

[7] CIPU: Intervento del Ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia, Roma 23 settembre 2013

[8] Il ministro Trigilia ha proposto al CIPU la possibilità di sperimentare la seconda ipotesi.

[9] E’ questa l’opinione di Umberto Mosso, Direttore Audis –Associazione Aree Urbane Dismesse, in La qualità urbana ai tempi del CIPU, febbraio 2013

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