Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Fare squadra per competere: l’esperienza lombarda nelle politiche di rete

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di: Alberto Bramanti

EyesReg, Vol.3, N.3 – Maggio 2013.

I percorsi di crescita per vie esterne esercitano sulle imprese un’attrazione non disgiunta da timori, ritrosie e perplessità che ancora le frenano nell’attuarli. Far rete, mettersi insieme, cooperare competendo è peraltro una sfida ben presente nella storia e nelle strategie delle MPMI italiane e lombarde[1].

L’impresa minore non può semplicemente accontentarsi di “resistere”, deve piuttosto individuare percorsi di sviluppo sostenibili, in una prospettiva di medio–lungo periodo: un’internazionalizzazione più spinta pare la risposta più appropriata per chiunque competa su mercati globali (AIP, 2007; 2011; Bramanti, Scarpinato, 2010).

Nell’attuale contesto competitivo il coordinamento di imprese in rete rappresenta un passo necessario per rafforzare il posizionamento delle aziende sui mercati esteri, superando i vincoli dimensionali tipici della nostra struttura produttiva. In particolare, da più parti si ritiene che una taglia troppo piccola, pur rappresentando ancora un fattore positivo in relazione alla flessibilità non consenta di competere adeguatamente sui versanti dell’internazionalizzazione e dell’innovazione, dove imprese maggiormente strutturate sono avvantaggiate in termini di economie di scala e di scopo. (UniCredit, 2011: 93).

(i) Il contratto di rete quale strategia di coopetition

L’analisi dei contratti di rete[2] dal punto di vista delle dinamiche organizzative può inquadrarsi nel filone della coopetition: una strategia che fa deliberato uso di cooperazione e competizione per raggiungere un gioco a somma positiva e una migliore performance per i partner che vi partecipano.

Mentre il paradigma competitivo si focalizza sul concetto di rivalità tra imprese (Porter, 1990) — la sopravvivenza sul mercato richiede forza competitiva che, a sua volta, genera creazione di valore e vantaggio competitivo nei confronti dei propri avversari — il paradigma cooperativo, all’opposto, enfatizza l’alleanza strategica, la capacità dell’impresa di gestire relazioni stabili che offrono l’accesso ad altre risorse preziose e creano un vantaggio relazionale.

L’impresa ha però bisogno di entrambe le tipologie di vantaggi e questa potenziale dualità e contrapposizione deve essere risolta (Nalebuff, Brandenburger, 1997). Un’eccessiva sottolineatura degli aspetti cooperativi finisce infatti per non spiegare come il valore congiuntamente prodotto si traduca in effettivi benefici a livello della singola impresa, così come uno sbilanciamento sulla competizione costringerebbe a dedicare troppe energie a una guerra di trincea che logora, in particolare, la piccola impresa.

Fiducia e opportunismo sono invece quasi sempre compresenti. In particolare la fiducia evolve differentemente nel tempo, attraversando stadi e stati diversi e tali cambiamenti risultano fondamentali nel modellare in modo dinamico le relazioni di competizione e gli ambienti coopetitivi (Castaldo, Dagnino, 2009).

Le strategie di coopetition che da queste complesse interazioni discendono sono pertanto per loro natura instabili e dinamiche e difficilmente la direzione e la velocità della loro evoluzione può essere predetta.

Particolarmente interessanti divengono allora le dinamiche di apprendimento all’interno delle strategie di coopetition, dal momento che interessi parzialmente divergenti devono essere gestiti simultaneamente (Dagnino, 2009). Diviene così possibile raggiungere vantaggi strategici attraverso apprendimento asimmetrico e, nei casi delle reti di imprese, tale asimmetria è spesso reciproca.

Si coopera per creare valore, ma si compete per ottenere una quota dei ritorni su tale valore creato e la formalizzazione della rete serve anche per avere un intermediario che stabilisca le regole del gioco.

Le reti tra le imprese che si vanno formando[3] non sono interessanti in quanto meri contatti ma piuttosto perché implicano, quasi per definizione, obbligazioni reciproche. E tanto più la reciprocità è generalizzata, tanto più è preziosa.

Lo snodo delle obbligazioni reciproche, dentro il contratto di rete, è certamente decisivo e l’aspetto forse più interessante è che la dimensione di enforcement non è data (solo) dal contratto e dalle (flebili, in verità) protezioni legali che esso offre nei confronti di eventuali comportamenti deviati ma, piuttosto, dall’evidenza che le singole imprese hanno di leggere il proprio successo strettamente dipendente dal successo della rete e quindi di contribuire al successo della rete.

Una percezione in positivo delle obbligazioni reciproche è così il miglior antidoto rispetto a comportamenti opportunistici e rappresenta un equilibrio di Nash nel gioco di coopetition (Nalebuff, Brandenburger, 1996).

(ii) Il “contratto di rete” e il successo incontrato in regione Lombardia

Forse perché “la necessità aguzza l’ingegno”, in parte per un retroterra ricco e consolidato di pratiche di coopetition, sebbene non necessariamente formalizzate, certamente perché la regione ha inciso con delle “buone politiche”, le imprese lombarde hanno mostrato un alto gradimento dello strumento “contratto di rete” che si presenta oggi come un cantiere aperto, in cui le imprese sono un soggetto pro–attivo che esprime forte motivazione e interesse non disgiunte da puntuali richieste di cambiamento.

Regione Lombardia ha proseguito nella sua politica di sostegno alle aggregazioni di imprese dando seguito all’esperienza maturata con il Programma DRIADE (Bramanti, 2012) con un nuovo percorso identificato come Programma ERGON[4]. In particolare, con questo bando la Regione ha inteso individuare e sostenere aggregazioni tra imprese finalizzate alla realizzazione di nuovi prodotti e di nuovi business in nuovi mercati.

Alcune considerazioni circa l’opportunità di diffondere le buone pratiche aggregative del comparto manifatturiero anche verso i settori del commercio, del turismo e dei servizi (CTS) hanno inoltre portato Regione Lombardia ad emanare un secondo bando a circa un anno di distanza, rivolto proprio a questi comparti, di cui si è recentemente chiuso l’iter valutativo (dicembre 2012) con l’approvazione dei progetti da finanziare[5].

I due programmi cofinanziati da Regione Lombardia (ERGON e CTS) consentiranno, in un paio d’anni, il consolidarsi di 134 nuove reti di imprese per un totale di 586 imprese coinvolte. Numeri che si vanno a sommare alla già ragguardevole entità di contratti e di reti operanti in regione (168 reti con 646 imprese al 3 novembre 2012).

Se si valutasse in base ai numeri si tratterebbe senza dubbio di una politica vincente. La nascita numerosa di nuovi contratti di rete rappresenta una modalità interessante del “fare squadra per competere”: certamente l’obiettivo è stato raggiunto. Se da una pura valutazione quantitativa si passa ad una qualitativa occorre riferirsi all’analisi della coerenza e completezza dei progetti di rete presentati. I progetti sono stati oggetto di valutazione selettiva e quelli finanziati sono apparsi ex-ante più che validi, connotati — a livelli decrescenti lungo l’ordinamento del punteggio finale assegnato loro — da: i) effettiva complementarietà dei ruoli delle imprese partecipanti alla rete; ii) disegno integrato; iii) intersezione e sinergia tra le competenze messe in campo; iv) buone prospettive di stabilità dell’aggregazione nel tempo.

Vi è dunque più di un motivo per ritenere che questi progetti di rete lasceranno un segno positivo nelle imprese che vi partecipano, un’esperienza da cui in futuro potranno originarsi nuove e più solide alleanze.

Da questo punto di vista, costruire aggregazioni appartiene certamente al nucleo delle learning policies: le politiche che apprendono sono politiche che imparano dall’esperienza, dai successi come dagli errori, si modificano, evolvono, sostituiscono ciò che non ha funzionato e perfezionano ciò che sembra produrre frutto. Al tempo stesso sono politiche che ascoltano, che valorizzano, che imparano da quello che l’universo delle MPMI è in grado di insegnare. E non è certo un caso che anche la normativa sul contratto di rete sia in costante evoluzione e potrà/dovrà ulteriormente precisarsi sulla base delle esperienze accumulate e delle esigenze espresse dalle imprese.

Quando finiranno gli incentivi (compresi quelli fiscali previsti a livello nazionale) permarranno le reti (o almeno la parte più robusta delle stesse) e le imprese avranno imparato a lavorare insieme coordinando le proprie condotte future: avranno fatto scuola di coopetition.

Questa sfida e questa percezione della posta in gioco è certamente presente nelle imprese lombarde che hanno partecipato ai due bandi qui richiamati e si può riconoscere che anche per loro vale quanto già segnalato in altri contesti:

Le reti di impresa non si fanno per catturare le agevolazioni, ma perché rispondono a un’esigenza di crescita dimensionale, di fare attività di business in comune e quindi reddito in comune: per giocare, insomma, una partita da Premier League abbandonando definitivamente i tornei che prevedono retrocessioni (…). È la maggiore complessità che la competizione globale ha creato per l’operatività delle imprese a portare alle aggregazioni più complete, che dotano le imprese di più abilità e conoscenze pur salvaguardando alcune individuali autonomie. (AIP, 2011: 204).

Da questa consapevolezza discende che la rete è percepita quale volontà di aggregazione su progetti specifici e non come “rete ombrello” da riempire con qualsiasi contenuto.

I bandi recentemente emessi da Regione Lombardia hanno raccolto una convinta risposta da parte di quelle imprese che certamente rappresentano il “gruppo di testa” di un insieme più vasto e variegato che guarda con interesse alle prospettive aggregative, ma che non era ancora pronto a impegnarsi direttamente in una rete.

(iii) Valutare per migliorare

Le direzioni di consolidamento e di crescita ulteriore delle politiche di rete toccano così due semplici snodi qui sinteticamente accennati.

Innanzitutto, occorre lasciare alle imprese i tempi di maturazione necessari per fare dei buoni progetti di rete. L’incubazione di un nuovo progetto può richiedere tempi lunghi che mal si addicono alle dead line imposte dai bandi. Questo orientamento implica, ovviamente, di adottare uno schema di “bando aperto” che fissi la soglia di eleggibilità di un progetto (sufficientemente rigorosa) e che approvi tutti quelli che la superano a mano a mano che fanno domanda. Una struttura a bando aperto — per una politica di successo — implica di solito un assorbimento importante di risorse, spesso non facilmente prevedibile ex–ante.

Ciò riporta al policy design che deve essere robusto anche sul fronte del finanziamento.

Un’opzione è quella di diminuire la quota finanziata (scendere al di sotto del 50% di co–finanziamento per progetto), magari inserendo un meccanismo premiante (e flessibile) che accorda priorità ai progetti che chiedono meno, quelli cioè che mostrano di essere in grado di autofinanziare una quota superiore dell’investimento necessario.

Complementare e sinergico con questo primo punto è quello di offrire un “pacchetto di servizi” che aiutino le imprese a predisporre buoni progetti di rete. Di questo pacchetto fanno sicuramente parte campagne di diffusione delle informazioni complete e rigorose, la disseminazione delle esperienze di rete sin qui maturate e che saranno a breve molto numerose. La conoscenza diretta e puntuale di cosa ha funzionato e cosa meno, delle difficoltà incontrate e dei modi per superarle, la testimonianza di imprenditori coinvolti nelle reti e la possibilità di confrontarsi direttamente con loro, sono tutte modalità che possono aiutare significativamente la diffusione di queste forme aggregative, irrobustendole sin dalla loro nascita. A riguardo anche il ruolo delle Associazioni di categoria può risultare molto utile.

Questo snodo porta direttamente ad una grande questione di fondo “sistematicamente disattesa” in Regione Lombardia, e non solo. Tutte le politiche, e a maggior ragione le learning policies nate in modo sperimentale, necessitano di un processo di monitoraggio e valutazione sistematico ai fini di capitalizzare l’apprendimento e di migliorare progressivamente il policy design.

Con poche eccezioni la Regione ha proceduto in ordine sparso, senza riuscire a valutare nessuna grande politica attuata (Bramanti, Scarpinato, 2010).

È stato così per i “meta distretti”, che hanno assorbito ingentissime risorse senza lasciare traccia in un bilancio valutativo completo e convincente. Si è riproposto lo stesso vuoto valutativo sulla politica dei distretti commerciali, che ha timidamente accennato ad attivare un Osservatorio regionale che avrebbe avuto questo ruolo, ma è stato abbandonato a se stesso, senza obiettivi definiti e senza risorse.

Il vizio è evidentemente all’origine [6]. Le politiche — al di là delle dichiarazioni di facciata — non vengono valutate (e spesso neanche monitorate) perché questo non è un obiettivo politicamente pagante e, quindi, non vengono stanziate risorse all’origine. Non rimane che augurarsi che il nuovo governo regionale, che i cittadini lombardi hanno da poco votato, tra le poche (o molte) discontinuità che vorrà introdurre, inserisca anche un approccio valutativo alle politiche discrezionali.

Alberto Bramanti, Università Bocconi

Riferimenti bibliografici

AIP – Associazione Italiana della Produzione (2007), a cura di, Modelli di crescita delle PMI. Ritorno alla competitività tra questione dimensionale, innovazione e internazionalizzazione. Il Sole 24Ore, Milano.

AIP – Associazione Italiana della Produzione (2011), a cura di, Reti d’impresa: profili giuridici, finanziamento e rating. Il Sole 24Ore, Milano.

Becattini G. (2008), “Il pendolo delle politiche industriali tra reti e distretti. Distretti italiani”. Economia, società e politica dei sistemi locali di piccole imprese, N. 14.

Bramanti A. (2012), Fare squadra per competere. L’esperienza delle reti d’impresa nel contesto italiano e lombardo. Aracne Editrice, Roma.

Bramanti A., Scarpinato M. (2010), a cura di, Politiche regionali per l’internazionalizzazione delle piccole imprese. L’esperienza SPRING di Regione Lombardia. FrancoAngeli, Milano.

Castaldo S., Dagnino G.B. (2009), “Trust and Co–opetition: The Strategic Role of Trust in Interfirm Co–opetitive Dynamics”. Dagnino G.B., Rocco E., Eds., Coopetition Strategy. Theory, Experiments and Cases. Routledge, London, pp. 74-100.

Dagnino G.B. (2009), “Coopetition Strategy: A New Kind of Interfirm Dynamics for Value creation”. Dagnino G.B., Rocco E., Eds., Coopetition Strategy. Theory, Experiments and Cases. Routledge, London, pp. 25-43.

Nalebuff B., Brandenburger A. (1996), Co–opetition. Doubleday, New York.

Nalebuff B., Brandenburger A. (1997), “Coopetition: Competitive and Cooperative Business Strategies for the Digital Economy”. Strategy and Leadership, Nov-Dic, pp. 28-35.

OECD–LEED (2012), Boosting Local Entrepreneurship and Enterprise Creation in Lombardy region. Final Report, Regione Lombardia–Unioncamere Lombardia, Milano e Trento.

Porter M. (1990), The Competitive Advantage of Nations. Macmillan, London.

UniCredit (2011), Le aggregazioni di rete: modello vincente per la sostenibilità dello sviluppo. Osservatorio UniCredit Piccole Imprese, Roma.

Note

[1] L’esperienza distrettuale è infatti quella che fa da sfondo alle più recenti politiche di rete (Becattini, 2008) e gli strumenti aggregativi — formali ed informali — di cui i distretti si sono nel tempo dotati (Consorzi, Centri Servizi, ecc.), rappresentano altrettanti “antecedenti logici” del nuovo “contratto di rete” (Bramanti, 2012).

[2] Il contratto di rete ha una evoluzione almeno decennale ma si precisa nell’attuale strutturazione con la legge 33/1999, successivamente modificata ed integrata, che riconosce l’aggregazione di più imprenditori che «perseguono lo scopo di accrescere, individualmente o collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato». Per una presentazione esaustiva dell’evoluzione dello strumento “contratto di rete” sia consentito rimandare a Bramanti (2012) e all’ampia bibliografia lì riportata.

[3] Il contratto di rete nasce con il DL 5/2009 — convertito con modificazioni dalla legge 33/2009 del 9 aprile — e si diffonde, dapprima lentamente poi sempre più rapidamente nelle differenti regioni italiane. La progressione temporale è notevole toccando i 523 a fine anno (qui il conteggio si ferma al 3 novembre 2012), interessando 2.807 soggetti imprenditoriali, di cui 2.798 imprese, localizzati in 20 regioni e 99 province (154 contratti riguardano 2 o più regioni e 310 sono sottoscritti da imprese di almeno 2 province).

[4] Il Programma ERGON — attivato di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e il Sistema delle Camere di Commercio lombarde — interviene con azioni dedicate al consolidamento e sviluppo in forme stabili, giuridicamente riconoscibili, di aggregazioni esistenti e la creazione di nuove aggregazioni fra imprese. Le finalità del Programma sono quelle di definire e realizzare attività e servizi, diretti a sostenere il sistema delle micro, piccole e medie imprese lombarde e favorire, tramite il processo di aggregazione delle imprese in rete, l’aumento di competitività sul mercato. La dotazione finanziaria prevista per il Bando è pari complessivamente a 18,5 milioni di euro. L’agevolazione prevista consiste in un contributo in conto capitale, fino ad una misura massima corrispondente al 50% (cinquanta) della spesa ritenuta ammissibile. I progetti potranno riguardare ogni ambito tematico e dovranno essere realizzati entro il 30 novembre 2013. In risposta al bando sono pervenute 379 domande, di cui: 5 domande oggetto di rinuncia; 353 dichiarate ammissibili; 21 dichiarate non ammissibili.

[5] Il “Bando per lo sviluppo dell’innovazione delle imprese lombarde del settore terziario” è stato emanato il 19 marzo 2012 e a fine anno (21 dicembre 2012) è stata approvata la graduatoria relativa ai progetti presentati e la conseguente assegnazione delle risorse. [www.consultazioniburl.servizirl.it/ ConsultazioneBurl].

[6] Che questa debolezza strutturale sia evidente e conclamata trova conferme autorevoli anche molto recenti, come nell’analisi prodotta da OECD–LEED (2012) relativa all’applicazione in regione dello Small Business Act. Nelle conclusioni e policy recommendations — richiamando la necessità ineludibile di una governance regionale dei processi di cambiamento e riorientamento del sistema produttivo che sono già spontaneamente in atto — l’OECD sottolinea particolarmente la necessità di rafforzare la struttura di coordinamento delle differenti politiche, che è debole e poco in grado di apprendere, proprio in quanto è carente il processo di monitoraggio e valutazione: «However, a weak learning and steering structure was detected during the study, due to the lack of effective monitoring and evaluation tools and instruments able to assess the progress and the results achieved through the implementation of those policies and measures. Such a structure is highly recommended in order to enhance the ability to learn from the experiences and to capitalise on the positive lessons gained over the years.» (OECD–LEED, 2012: 116).

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1 Comment

  • concordo.
    la trasparenza amministrativa dovrebbe indurre le amministrazioni regionali a porre più attenzione all’aspetto della valutazione. La pubblicazione dei dati dei beneficiri delle misure regionali è infatti accessibile a chiunque voglia fare delle elaborazioni e dei confronti (sommari).

 
 

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