Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Place branding e Innovazione: sfide e limiti

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di: Cecilia Pasquinelli

EyesReg, Vol.2, N. 1 – Gennaio 2012.

Nonostante un diffuso scetticismo accademico, il branding territoriale si sta diffondendo come pratica di costruzione e gestione della marca di luogo. Nel 2005 il progetto EUROCITIES ha dato prova di tale diffusione mostrando i dati relativi alle iniziative di città europee coinvolte nel progetto. Emerge una grande varietà nel modo di concepire il branding territoriale, che si riflette in una varietà di tipologie di investimento sia in termini di quantità che di qualità. A seguito della crescente attenzione da parte di città, regioni e paesi, si è acceso anche un interesse accademico che ha portato ad una crescita esponenziale della produzione accademica dagli anni ‘80 ad oggi (Lucarelli e Berg 2011).

Rimane, però, una mancanza di sviluppo teorico tanto che, a livello internazionale, non si è riusciti a produrre una definizione puntuale e condivisa di place branding. C’è una vera e propria confusione non solo sul contenuto, ma anche sugli obiettivi che questo si prefigge (Anholt 2005). Mettendo insieme gli elementi emersi in letteratura, proviamo dunque a dare una definizione che possa presentare obiettivi, contenuto e modalità con cui il branding territoriale prende forma. Pertanto per esso si intende quel processo che:

• è finalizzato a stabilire una reputazione (Anholt 2005) e costruire una brand equity (Govers e Go 2009), e cioè un valore aggiunto in favore della gestione del territorio e del suo sviluppo;

• è basato sulla definizione di strategie che mettono in campo tecniche volte ad influenzare l’immagine (Gertner e Kotler 2004) di un territorio e valorizzarne l’identità (Hall 2002) culturale, sociale ed economica;

• si avvale delle teorie di branding d’impresa e di prodotto ma necessita di un loro ulteriore sviluppo e adattamento (Pryor e Grossbart 2007) rispetto alle peculiarità dell’oggetto di branding (il territorio).

Questa definizione sottintende la logica a monte del place branding: si assume una competizione tra i territori che impone un approccio imprenditoriale alla gestione delle risorse del territorio, che diventano componenti di un’offerta territoriale. Questa dovrà incontrare la domanda proveniente dai potenziali “consumatori” del territorio, siano essi investitori, turisti, residenti, studenti o lavoratori. E’ questo il presupposto che permette l’applicazione dei concetti di marketing e branding, per cui i territori devono essere visibili e creare una propria immagine riconoscibile e positiva in modo da essere scelti e, così, “vincere” la competizione.

Due sono i concetti chiave per capire i meccanismi del branding di luogo, la visibilità e la distintività. La visibilità si può considerare come pre-condizione per costruire una reputazione positiva per il luogo, visto che il grado di conoscenza di questo ne influenza il grado di apprezzamento e fiducia (Hospers 2004). Allo stesso tempo, affinché resti impressa nella mente dei potenziali consumatori, l’immagine di un luogo deve essere distintiva (Turok 2009), cioé capace di emergere rispetto a quella dei competitors. Al contrario, la costruzione di una marca non distintiva potrebbe risultare in un mancato apprezzamento dell’offerta territoriale, seppur competitiva.

Il caso del branding dell’innovazione

Lungo la sua evoluzione, la letteratura di branding territoriale ha tralasciato le tematiche legate al “branding dell’innovazione”. Sotto questa etichetta si fanno, qui, rientrare le azioni di branding riguardanti città e regioni che promuovono lo sviluppo di economie della conoscenza, favorendo la concentrazione di attori privati e pubblici operanti nell’ambito della ricerca scientifica e dello sviluppo di tecnologia avanzata.

Al di là della Silicon Valley, caso simbolo del branding dell’innovazione, è necessario riflettere sulle modalità con cui regioni storicamente legate a settori low tech possano costruirsi una reputazione di luogo in cui ‘si fa’ innovazione. In questi casi sono necessari sforzi notevoli per comunicare e rendere visibile (e credibile) una nuova vocazione territoriale improntata all’innovazione, a causa di immagini legate a stereotipi di ‘perifericità’ e marginalità rispetto agli hub tecnologici globali. La storia economica di un luogo sedimenta immagini che difficilmente cambiano: questo, per le regioni tradizionalmente percepite come marginali da un punto di vista tecnologico, si traduce nella necessità di definire strategie di re-branding che riposizionino il territorio.

Nel tempo le strategie di (re)branding dell’innovazione sono cambiate (Tabella 1). Negli anni ’90 il brand dell’innovazione comunicava la volontà (o velleità) di essere la nuova Silicon Valley, una realtà economica in rapida crescita capace di rivoluzionare gli assetti economici locali. Successivamente, a inizio anni ’00, il brand ha assunto connotati più sofisticati, ponendo al centro l’ambiente urbano nel suo complesso e con esso l’individuo, l’essere umano che deve realizzare nel luogo le proprie aspirazioni professionali e di vita. Questa fase di branding dell’innovazione va di pari passo con l’affermarsi della teoria della classe creativa (Florida 2002), in base alla quale la città deve attrarre talenti e soddisfare le loro complesse preferenze in termini culturali e di stile di vita. In seguito ad un proliferare di ‘città creative’, il cui potenziale di distintività si è chiaramente ridotto nel tempo, recentemente il brand dell’innovazione ha iniziato a includere elementi di autenticità territoriale, al fine di una differenziazione nel “mercato geografico”. Gli esempi nella tabella evidenziano come il rapporto tra cultura locale e integrazione globale sia centrale, al fine di enfatizzare il contributo unico dell’identità culturale del luogo. L’autenticità del luogo, che conferisce unicità e legittimazione data dal tempo e dalla storia, viene dunque considerata elemento di competitività. Sembra, dunque, che non solo certi settori manifatturieri tradizionali (ad esempio legati al ‘Made in’) e il turismo possano beneficiare dell’autenticità, ma anche i settori innovativi e, in generale, l’economia della conoscenza.

Tabella 1. Fasi del branding dell’innovazione

Fase Brand dell’innovazione Caratteristiche
Anni ‘90 Silicon Glen

Silicon Fen

ArnoValley

Silicon Forest

Etna Valley

“come la Silicon Valley”, “la nuova Silicon Valley”: il cluster high tech, il network di relazioni, le infrastrutture, gli incentivi
Anni ‘00 Austin, The Human Capital

Pittsburgh, Imagine what you can do here

Oulu Inspires

Edinburgh Inspiring Capital

North East England, Passionate People, Passionate Places

Chicago. A Magnet for world-class talent

“the Creative Class magnet”, “l’hub dei talenti”: qualità urbana, lo stile di vita, la diversità, la realizzazione della persona
Anni ‘10 Chengdu

Dubai

Oulu, Smarter Than Ever

“il luogo autentico”, locale/globale, la sintesi di progresso e tradizione, il tessuto locale culturale

Branding territoriale: sfide e limiti

Oggi più che in passato le debolezze e le problematicità irrisolte del branding territoriale si impongono alla nostra attenzione. La crisi economica e finanziaria globale ci porta a riconsiderare politiche e azioni corrispondenti a voci di spesa pubblica con grande attenzione. Di fatto, “mantenere o aumentare lo sforzo in termini di place branding non è politicamente facile in una economia in recessione” (Burghard 2009), mentre per alcuni il branding territoriale, addirittura, non ha più senso in mancanza di risorse da investire nello sviluppo urbano e nell’infrastrutturazione del territorio, che invece hanno caratterizzato lo scorso decennio (Eisenschitz 2010).

E’ però vero che, se da una parte la riduzione di risorse pubbliche e private portano a ‘tagliare’ la spesa per azioni considerate ‘accessorie’, dall’altra in una situazione di crisi globale la competizione tra territori nell’aggiudicarsi progetti di investimento, turisti, ecc. è destinata ad inasprirsi: sempre più la visibilità e la capacità distintiva di un territorio giocheranno un ruolo fondamentale. La sfida diventa, dunque, definire strategie di branding efficaci, cioè capaci di determinare brand distintivi. Sono però evidenti i limiti del branding in questo senso. Vi è, infatti, una chiara tendenza a replicare brand ritenuti di successo determinando, così, una serie di messaggi molto simili e pertanto inutili (se non dannosi). L’esempio del branding dell’innovazione conferma questa tendenza in cui i territori, nel tentativo di mostrare il loro profilo innovativo, si pongono come ‘followers’ riproducendo le strategie di branding che perdono potenziale nel momento stesso in cui vengono imitate.

Un’ulteriore limitazione del branding territoriale è legata alla difficoltà di misurarne gli impatti. Per la comunità accademica la ‘misurazione’ dell’efficacia del branding è ormai una sfida necessaria (McCann 2009). Il mondo della consulenza si è concentrato sul monitoraggio delle percezioni e sulla misurazione dell’immagine di luogo: FutureBrand Country Brand Index, Saffron European City Brand Barometer, Anholt-GfK Roper City/Nation Brand Index, sono gli esempi più famosi. Certo è che questi indici difficilmente misurano l’impatto di un’azione di branding in modo esaustivo. In primo luogo è difficile definire un chiaro nesso di causalità, e cioè separare gli effetti del brand da quelli determinati da altri fattori (fatti ed eventi disconnessi dalle azioni definite). Inoltre, gli effetti sulla reputazione di un luogo si manifestano necessariamente nel lungo periodo, mentre la misurazione degli impatti deve dare risposte nel breve-medio periodo al fine di orientare le azioni. In questa direzione c’è molto da lavorare e i futuri tentativi di misurazione d’impatto non potranno prescindere da una valutazione caso per caso della natura (non solo manageriale ma anche politica) del branding territoriale.

Cecilia Pasquinelli, Istituto di Management – Scuola Superiore Sant’Anna

Riferimenti bibliografici

Anholt S. (2005), Some important distinctions in place branding, Place Branding and Public Diplomacy, 1, 2: 116-121.

Eisenschitz A. (2010), Neo-liberalism and the future of place marketing, Place Branding and Public Diplomacy, 6:79-86.

Florida R. (2002), The rise of the creative class: and how it’s transforming work, leisure, community and everyday life, New York: Basic Books.

Gertner D., Kotler P. (2004), How can a place correct a negative image?, Place Branding and Public Diplomacy, 1,1: 50-57.

Govers R., Go F.M. (2009), Place Branding. Glocal, Virtual and Physical Identities, Constructed, Imagined and Experienced, London: Palgrave.

Hall D. (2002), Brand development, tourism and national identity: The re-imaging of former Yugoslavia, Journal of Brand Management, 9,4-5: 323-334.

Hospers G.-J. (2004), Place Marketing in Europe. The Branding of the Øresund Region, Intereconomics, September/October: 271-279.

Lucarelli A., Berg O. (2011), City branding: a state-of-the-art review of the research domain, Journal of Place Management and Development, 2: 1.

McCann E. J. (2009) City marketing International Encyclopedia of Human Geography. K. Rob, T. Nigel, Oxford, Elsevier: 119-124.

Pryor S., Grossbart S. (2007), Creating meaning on main street: Towards a model of place branding, Place Branding and Public Diplomacy, 3: 291-304.

Turok I. (2009), The distinctive city: pitfalls in the pursuit of differential advantage, Environment and Planning A, 41: 13-30.

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