di: Marco Pompilio
EyesReg, Vol.2, N.2 – Marzo 2012.
Il Decreto Legge 201/2011, convertito con L 214/2011, all’art 23 prevede un consistente ridimensionamento della provincia con il passaggio da ente ad elezione diretta ad ente di secondo livello, anticamera per una futura cancellazione definitiva, come affermato nella conferenza stampa di presentazione. Ma il testo stesso dell’articolo sembra contraddire tale intenzione quando afferma che alla provincia vanno assegnate unicamente funzioni di “indirizzo e coordinamento delle attività dei comuni”, che farebbe pensare a cosa ben diversa da uno svuotamento.
Il coordinamento degli aspetti di area vasta (pianificazione urbanistica, trasporti, ambiente, ecc.), che rientra nella definizione di cui sopra, costituisce la funzione strategica più significativa del livello intermedio di governo. Si tratta di una funzione che non può essere svolta dai comuni o dalla regione per motivi diversi, sui quali qui non ci soffermiamo, ma che non potrebbe essere esercitata efficacemente da un ente intermedio se questo è di secondo livello, in quanto mancherebbe dell’autonomia e dell’autorevolezza necessari. Il Presidente della Provincia deve promuovere tavoli negoziali, sollecitare i sindaci, e se necessario proporre soluzioni, anche di natura arbitrale, ed infine assumere decisioni. Decisioni che devono essere prese nell’interesse del complesso della comunità di area vasta, e con il supporto dei cittadini tutti che ne fanno parte. Un Presidente di secondo livello rischierebbe di rappresentare solo gli interessi del capoluogo o dei comuni più forti.
Se questa contraddizione non viene risolta il testo del Decreto come è oggi formulato rischia di svuotare non solo l’ente intermedio, ma la stessa riforma costituzionale del Titolo V del 2001, per l’attuazione della quale l’ente intermedio svolge un ruolo centrale. Diversi noti Costituzionalisti e Amministrativisti sono intervenuti in questi due mesi, anche sui principali quotidiani, per evidenziare i possibili profili di incostituzionalità del Decreto. Non ci soffermiamo qui sulle questioni tecnico giuridiche già sottolineate, peraltro alcune di grande importanza.[1] Vogliamo invece evidenziare come la reale incostituzionalità, nel merito più che nella forma, sia proprio l’inversione di tendenza, a 180 gradi, che questo Decreto rischia di introdurre rispetto al percorso di sussidiarietà, autonomia, cooperazione territoriale intrapreso con la riforma del 2001. Un ritorno ad un approccio gerarchico, più elementare, evitando di affrontare un più complesso percorso volto a migliorare gli strumenti di cooperazione.
Il Decreto sembra dire che l’attuale sistema di istituzioni articolato su quattro livelli è artificiosamente complesso, e identificando in questo il problema, ha immaginato di risolverlo attraverso una semplificazione, eliminando uno dei quattro livelli. Ma non è detto che la soluzione più semplice, o più immediata, sia necessariamente la più adatta rispetto al problema che si ha davanti.[2]
Non è infatti un problema di troppi livelli, né di dimensioni, né di troppi enti, o di enti troppo piccoli, o perlomeno non è una questione riconducibile ad uno solo di questi aspetti, ma forse tutti assieme contribuiscono alla situazione di complessità e difficoltà che accompagna la definizione del livello intermedio di governo. Una situazione che ci accomuna peraltro agli altri Paesi europei, dove il livello intermedio esiste e si stanno sviluppando sperimentazioni su come farlo funzionare al meglio. Certamente in questi anni dopo la riforma del 2001 le prime esperienze hanno mostrato che non tutto funziona a dovere, e necessita di essere corretto, facendo tesoro di quanto imparato. Ma facendo come dice il DL 201/2011 si finisce per gettare l’acqua sporca con dentro il bambino, si cancella un prezioso lavoro svolto in questi due ultimi decenni dagli enti intermedi, soprattutto le province, nel “mettere in contatto” i diversi attori ai fini della governabilità.
Se si vuole semplificare, potrebbe essere più sensato lavorare ad una più chiara distribuzione delle funzioni, secondo principi di sussidiarietà ed adeguatezza, facendo pulizia di sovrapposizioni, doppioni ed incoerenze. Partendo da un approfondimento per capire come l’ente intermedio possa essere utilizzato per risolvere problemi, indipendentemente dal fatto che si chiami Provincia o altro.
L’ente intermedio ha potenzialità plurime, e se le si vogliono sviluppare tutte non ha senso ridursi ad una soluzione univoca, o di primo o di secondo livello, assumendo che l’una soluzione escluda l’altra. Ritorna anche su questa decisione la sensazione che nel Decreto si sia optato per una soluzione a priori di mera semplificazione.
Un ente tutto di secondo livello può svolgere alcune funzioni, ma non riesce più a svolgerne altre, e si pone la questione a chi dovrebbero essere assegnate, oltre che se esista qualcuno in grado di svolgerle.
Così come negli anni, a fronte di esempi virtuosi, una soluzione di ente tutto di primo livello ha a sua volta mostrato anche limiti, nei casi dove si sia puntato a replicare a livello provinciale modelli di governo tipici del livello regionale[3], che certo non aiutano ad attuare i principi di governo del territorio introdotti con la riforma Costituzionale del 2001.
Le funzioni vanno assegnate agli enti secondo principi di sussidiarietà, e di adeguatezza, dove quest’ultima sembra dipendere da almeno tre fattori principali:
• la dimensione, ossia la presenza di una capacità organizzativa tale da potersi assumere le responsabilità connesse con lo svolgimento di compiti complessi
• le competenze, ossia un’adeguata presenza di competenze tecnico professionali necessarie per affrontare compiti articolati e specialistici
• la prossimità, ossia la vicinanza dell’ente alla scala alla quale le problematiche si presentano, che porta a definire le cosiddette funzioni proprie di quell’ente
Secondo il combinato dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza[4] l’ente intermedio, o comunque più grande, deve fare quello che il comune da solo non è in grado, o che comunque non può fare in modo soddisfacente. Ci sono due tipologie di cose che i comuni non possono fare, o non è opportuno facciano, da soli:
• erogare quei servizi di prossimità per i quali, soprattutto i comuni piccoli, non posseggono le competenze professionali o non possono raggiungere una dimensione tale da rendere l’attività economicamente conveniente
• affrontare le problematiche di area vasta, quelle che per essere comprese necessitano di una visione d’insieme, che vada oltre i confini del singolo comune, e per la quale è necessario un certo grado di autonomia rispetto alle pressioni locali
Per la prima tipologia[5] ci troviamo di fronte a servizi che possono essere più convenientemente svolti da altro ente più grande, per esempio la provincia, ma la cui titolarità è bene rimanga in capo ai comuni, trattandosi di funzioni proprie, caratterizzanti, del livello comunale (quali sono per esempio i servizi erogati alla persona e alla casa).
A tale fine una configurazione di secondo livello per l’ente intermedio, come prevista dal Decreto, potrebbe anche risultare congrua. Lo svolgimento della funzione rimarrebbe sotto il controllo effettivo, e non solo formale, dei comuni. Sarebbe inoltre soluzione preferibile rispetto alla prospettiva che, in assenza della provincia, queste funzioni vadano alla regione, perché la provincia è ente più prossimo al comune, e una catena decisionale più corta e vicina favorirebbe l’operatività e rapidità delle risposte. Ma anche perchè le regioni, che poca dimestichezza hanno, per natura, con compiti operativi, finirebbero per affidare tutto a strutture pararegionali, appositamente create, troppo grandi e lontane dalle realtà locali, e per i comuni difficili da tenere sotto controllo.
Per la seconda tipologia il coinvolgimento dei comuni è essenziale, ma come dicevamo sopra ci vuole anche un coordinatore, che sia dotato di un relativo grado di autonoma, per guidare il percorso. Non si tratta quindi semplicemente, o semplicisticamente, di avere un soggetto che sia in grado di formulare su carta un’ipotesi di composizione secondo una prospettiva di area vasta delle indicazioni contenute nei piani comunali. Se fosse solo per questo, un organismo tecnico di scopo gestito dai comuni associati sarebbe sufficiente, così come per le funzioni di prossimità. Si parla invece della definizione di una visione, partendo dai piani comunali, ma componendola in un sistema coeso di azioni attuative, che tracci una strada per la comunità di area vasta interessata, ed alla quale ultima dovrà, in una lineare logica di rappresentanza democratica, rispondere per le decisioni prese.
La revisione istituzionale innescata dal Decreto costituisce occasione da cogliere per dare luogo a tutte le potenzialità dell’ente intermedio, e non per eliminarlo assegnandone le funzioni ai comuni associati o alla regione.
Un meccanismo misto di primo e secondo livello all’interno dell’ente provincia non è probabilmente la soluzione semplice e lineare prospettata dal Decreto, ma potrebbe essere molto efficace vista la natura mista dei compiti che possono essere svolti dall’ente intermedio, come sopra richiamati. Detto in modo più preciso, il Consiglio provinciale potrebbe essere sostituito da una forma di Assemblea dei Sindaci, composta da amministratori comunali, così come è prospettato nel Decreto “Salva Italia”, e come peraltro già oggi nei fatti in buona parte avviene, con molti consiglieri che sono anche sindaci, o assessori comunali, o ex-sindaci. Il Presidente potrebbe invece continuare ad essere eletto direttamente, diventando, in una soluzione mista primo/secondo livello, l’organo in grado di garantire l’autonomia di iniziativa necessaria sui temi che riguardano il complesso della comunità provinciale.
Il mix di primo e secondo livello potrebbe quindi da un lato garantire un efficace presidio dei temi di area vasta. Dall’altro creerebbe le condizioni per affidare alla provincia l’esercizio di alcuni servizi da parte dei comuni più piccoli, quelli che si devono associare o unire secondo l’art 20 della L 111/2011 o l’art 16 della L 148/2011. Invece di puntare all’organizzazione di improbabili unioni, che già nel passato hanno fatto troppa fatica a decollare e funzionare, sarebbe più concreto ed efficace favorire per tali comuni l’affidamento di servizi all’ente intermedio, la cui natura di secondo livello dell’organo Consigliare garantirebbe, nei fatti, il permanere delle funzioni sotto l’effettivo controllo dei comuni.
Marco Pompilio, Professionista, esperto in pianificazione territoriale
Note
[1] Vedere per esempio gli articoli di Valerio Onida su Il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2012, oppure l’articolo di Luigi Olivieri del 14 dicembre 2011 sulla rivista on-line Leggi Oggi, o ancora l’articolo di Fulvio Pastore del 1 febbraio 2012 sulla rivista on-line Federalismi.
[2] Vedere sul concetto di semplificazione per le province l’editoriale del 6 dicembre 2011 di Carlo Mochi Sismondi pubblicato sul sito web di Forum PA “Province sì, province no. Un tema semplice…anzi no”.
[3] Su funzioni provinciali e regionali vedere l’analisi condotta da Nicola Melideo nello studio “La resa delle province” pubblicato il 18 novembre 2011 sul sito della rivista on-line Gogol.
[4] Il riferimento guida è l’art 118 della Costituzione che stabilisce che “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
[5] L’ art 20 della L 111/2011, nota come Manovra estiva, dice che i comuni sotto i 5.000 abitanti devono esercitare in forma associata le funzioni fondamentali, riferendosi a quelle elencate all’art 21 c.3 della L 42 / 2009