Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Il decreto “salva Italia” e il destino delle province. Meglio iniziare dalla revisione dei confini comunali

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di: Sabrina Iommi

EyesReg, Vol.2, N.2 – Marzo 2012.

L’art.23 della manovra del Governo Monti (D.L.201/2011) prevede di fatto l’annullamento del livello provinciale del governo locale, da un lato trasferendo, le funzioni ai comuni o alle regioni, dall’altro tagliando decisamente il numero degli amministratori e modificando il sistema di elezione (abolizione delle giunte provinciali, elezione indiretta di non più di 10 consiglieri provinciali, tra i quali viene nominato il presidente).

Le ragioni per provvedere ad una riforma di numero, dimensioni, livelli e funzioni del governo locale in Italia sono certamente numerose e urgenti, riconducibili indubbiamente ad esigenze di contenimento dei costi, ma ancor di più al miglioramento dell’efficacia con cui vengono svolte le funzioni pubbliche.

Il problema principale del governo locale in Italia è la sua eccessiva frammentazione. Di fatto gli amministratori locali e i funzionari pubblici “gestiscono” bacini territoriali che sono ormai molto più piccoli di quelli in cui si svolgono le reali azioni quotidiane di cittadini e imprese, la cui migliore approssimazione resta quella delle aree del pendolarismo giornaliero casa-lavoro. Abolire il livello provinciale a fronte di un tessuto comunale estremamente frammentato rischia di aggravare il problema, invece di risolverlo, anche se resta l’opzione di trasferire le competenze al governo regionale. Non a caso, da più fonti, manovra compresa, emergono suggerimenti sugli enti intermedi da utilizzare in sostituzione delle province, come unioni di comuni o non meglio precisati organi di raccordo, uffici regionali decentrati, agenzie regionali, prefetture, ecc.

Abbiamo provato ad applicare la riforma Monti alle province della Toscana e a confrontarla con soluzioni alternative, che cercano di tenere insieme il necessario obiettivo di riduzione della spesa con quello di razionalizzazione del sistema istituzionale.

Ad oggi, la spesa corrente complessiva delle amministrazioni provinciali toscane ammonta a quasi 780 milioni di euro (per avere un termine di paragone quella dei comuni è oltre 4 volte quella delle province), dei quali le spese di funzionamento dell’ente e quelle di remunerazione del ceto politico pesano rispettivamente per il 20% e il 4% (in valore assoluto, rispettivamente 156 e 32 milioni di euro).

Secondo le modifiche previste dal decreto Monti, il risparmio atteso è dunque da stimarsi ragionevolmente nell’ordine di circa 180 milioni e non di 780, perché le funzioni ad oggi svolte dal livello provinciale non vengono abolite, ma trasferite ad altri enti, non sempre in grado di recepirle.

E’ interessante, pertanto, chiedersi cosa succederebbe se le province venissero accorpate fino a raggiungere una dimensione più adatta allo svolgimento delle funzioni che più di altre le caratterizzano (gestione del territorio e delle infrastrutture di trasporto e comunicazione), alleggerite della parte di rappresentanza politica (al limite fino alla sua abolizione) e, soprattutto, affiancate da un sistema di amministrazioni comunali anch’esso riformato per adeguarlo ai bacini territoriali in cui si svolge la vita quotidiana dei cittadini.

Cominciamo dunque dal livello più basso del governo locale. L’accorpamento degli attuali 287 comuni in 54 Sistemi Locali del Lavoro, ovvero le aree del pendolarismo quotidiano, comporta innanzitutto una diminuzione del numero di amministratori locali, con il passaggio dagli attuali 1.655 sindaci e assessori e 4.928 consiglieri a 364 nel primo caso e 1.204 nel secondo (i parametri rispetto alla popolazione sono quelli fissati dalla legge finanziaria del 2010). Semplicemente applicando la spesa media attuale per amministratore al numero così ottenuto, non tenendo dunque conto di probabili economie di scala, si ottiene un risparmio di spesa di 84 milioni di euro solo per la parte di rappresentanza politica. E’ poi ragionevole attendersi che il salto di scala degli enti vada ad incidere anche sulle spese generali di funzionamento degli stessi; in questo caso con una stima abbastanza grossolana che applica l’attuale spesa pro capite per tale funzione alla nuova dimensione demografica, si ottiene un ulteriore risparmio di 144 milioni di euro.

Tabella 1. Comuni toscani. Amministratori locali e spesa corrente correlata. Situazione vigente e stime


Fonte: elaborazioni su dati Certificati dei Conti Consuntivi

HP per stime: gli attuali comuni vengono aggregati usando i SLL calcolati dall’Istat nel 2001, il numero di amministratori locali deriva dall’applicazione dei criteri previsti dalla Legge Finanziaria 2010, la spesa viene ottenuta applicando il valore pro capite per classe demografica al numero di abitanti dei nuovi enti

Gli stessi calcoli vengono poi ripetuti per le amministrazioni provinciali. In questo caso, mancando un criterio chiaro per procedere alla loro aggregazione, si usa l’articolazione delle aree vaste, accorpando dunque le province di Firenze, Prato e Pistoia nell’area vasta centrale, quelle di Massa-Carrara, Lucca, Pisa e Livorno nell’area vasta costiera e quelle di Arezzo, Siena e Grosseto nell’area vasta meridionale. Utilizzando gli stessi criteri di calcolo usati per i comuni, si ottiene una diminuzione del numero di presidenti e assessori dagli attuali 94 a 22 e del numero di consiglieri da 271 a 96, per un complessivo risparmio di spesa di 14 milioni di euro. Un risparmio maggiore o perlomeno in linea con quello ottenibile con la proposta di Monti (10 consiglieri per le attuali province), che potrebbe anche aumentare nel caso si decidesse di affidare il governo dei livelli provinciali a rappresentanti dei comuni e della regione. Anche in questo caso, infine, l’accorpamento degli enti avrebbe un riflesso positivo sulle spese generali di funzionamento, con un ulteriore risparmio di 74 milioni di euro.

Tabella 2. Province toscane. Amministratori locali e spesa corrente correlata. Situazione vigente e stime

Fonte: elaborazioni su dati Certificati dei Conti Consuntivi

HP per stime: le attuali province vengono aggregate usando le aree vaste, il numero di amministratori locali deriva dall’applicazione dei criteri previsti dalla Legge Finanziaria 2010, la spesa viene ottenuta applicando il valore pro capite per classe demografica al numero di abitanti dei nuovi enti.

Complessivamente, dunque, l’operazione di riordino di comuni e province descritta comporterebbe un risparmio nell’ordine di circa 315 milioni di euro, contro i circa 180 attesi dall’applicazione del decreto “Salva Italia”, in più essa avrebbe il merito di razionalizzare l’architettura istituzionale che soffre ormai da anni di un’eccessiva polverizzazione rispetto ai bacini territoriali usati quotidianamente dai cittadini. Le risorse così liberate potrebbero inoltre essere utilizzate, in parte per ripianare il deficit, ma in parte anche per potenziare i servizi erogati ai cittadini.

Se in tale situazione si dovesse poi decidere di superare del tutto il livello di governo provinciale, il risparmio di spesa sarebbe ancora maggiore e i comuni avrebbero però la dimensione adatta per poter ricevere le funzioni ad oggi svolte dalle province.

Sabrina Iommi, IRPET – Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana

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1 Comment

  • Giuseppe Calzoni

    Condivido la soluzione proposta, per me opportuna e razionale.
    Temo che, come accade a quasi tutte le soluzioni opportune e razionali, difficilmente sara’ applicata.
    G.Calzoni

 
 

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