Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Identità e profilo del policy-maker

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di: Carlo Tesauro

EyesReg, Vol.1, N. 3 – Settembre 2011.

L’editoriale comparso sul primo numero della rivista Eyes-reg (AA.VV., 2011), che costituisce il “manifesto ufficiale” di presentazione della rivista, mostra una particolare attenzione alla figura del “policy-maker” [1], identificandola come uno dei principali destinatari della innovativa diffusione della conoscenza rappresentata dalla rivista on-line. Questo particolare rilievo, sebbene non relativo all’unico vocabolo “straniero” utilizzato nell’articolo, ha suscitato una certa curiosità in merito alla corretta identificazione del soggetto.

Una rapida ricerca in internet ha pienamente giustificato la curiosità, fornendo una serie di informazioni piuttosto stimolanti in merito tra le quali emerge, in modo particolare, un messaggio apparso su un blog in cui si lamenta l’assenza di una traduzione “ufficiale” del termine in lingua italiana.

In effetti questo sembra essere uno di quei rarissimi casi in cui la lingua italiana, che è solitamente ricca di vocaboli e di sinonimi in grado di fornire un ampio spettro di alternative adeguate anche alle più piccole sfumature semantiche, si dimostra più limitata e povera rispetto alla lingua inglese. Un ulteriore approfondimento chiarisce immediatamente il motivo di tale limitazione: due vocaboli inglesi, politics [2] e policy [3] [4], hanno come unico corrispettivo in italiano la parola politica [5], termine per cui gli italiani sembrano mostrare un’ avversione sempre più accentuata.

L’uso del termine policy-maker in un testo italiano, quindi, non è una forma di pigrizia dell’autore ne’ tantomeno uno di quegli esempi, sempre più tristemente frequenti negli ultimi anni, di sfoggio di vocaboli stranieri che certi autori usano nella speranza di incrementare la credibilità propria o del proprio prodotto. Il vocabolo straniero in questo caso viene utilizzato per rimuovere qualsiasi forma di ambiguità nella comunicazione, proprio in considerazione dei potenziali equivoci che potrebbero essere generati da una traduzione.

Purtroppo però, la cura e l’attenzione con cui gli autori usano i singoli vocaboli nella stesura dei testi non sempre riesce ad esaurire completamente il problema della comunicazione. La considerazione che la versione scritta sia la forma più efficace in assoluto non risolve completamente il problema, poiché è immaginabile che una piccola percentuale dell’informazione trasferita possa non essere compresa. Ed è proprio in quella piccola percentuale che si nasconde la trappola.

Significato prevalente e definizione formale

In effetti, se si approfondisce ulteriormente la ricerca sull’uso del termine policy-maker, si può facilmente osservare che il significato prevalentemente attribuito si riferisce ad un soggetto istituzionale del settore pubblico. Questa accezione però si differenzia notevolmente dalle definizioni formali dei dizionari e delle enciclopedie, sia di lingua inglese (Free Dictionary) sia in lingua italiana (Treccani), che includono riferimenti espliciti anche a soggetti che operano in ambito privato.

Questi riferimenti ampliano notevolmente il significato comunemente percepito di policy-maker, che può essere etremizzato sino al concetto di controparte del cittadino, identificato come il policy-taker, come ben esplicitato da Wikipedia (cfr. Analisi delle politiche pubbliche) [6].

In queste definizioni, quindi, oltre ai soggetti istituzionali pubblici, rientrano direttamente una buona quantità di soggetti privati quali, ad esempio, gli operatori di servizi infrastrutturali, che con le loro “politiche” generano notevoli impatti sul contesto socio-economico (Campisi, Tesauro: 1997) (Tesauro, 2007).

Soggetti privati e contesti territoriali

Le interazioni tra organizzazioni private, siano esse a fini di lucro o meno, e gli ambiti territoriali sono varie ed articolate, così come gli impatti prodotti che ricadono sia sui contesti socio-economici sia sulle organizzazioni stesse. L’aspetto che a tutt’oggi sembra maggiormente sottovalutato è proprio l’effetto generato dai contesti territoriali sulle organizzazioni.

Dall’inizio dell’era post-industriale (crisi del modello di Taylor) le aziende hanno mostrato notevole dinamicità, riorganizzandosi continuamente e profondamente, fino ad adeguarsi alle nuove esigenze imposte dai mercati. Nel corso di questa evoluzione però, sembrano essersi preoccupate solo marginalmente della interazione con le differenti realtà territoriali, con la sola eccezione delle aziende che operano su scala globale o in settori estremamente specifici, limitando l’interesse per le realtà locali quasi esclusivamente alle diverse caratterizzazioni dei mercati.

Le profonde differenze esistenti tra i molteplici ambiti territoriali costituiscono, invece, una combinazione di vincoli e di opportunità che, se affrontati correttamente, ma soprattutto consapevolmente, potrebbero fornire ottimi presupposti per migliorare sensibilmente i risultati conseguiti.

A puro titolo di esempio, un’organizzazione operante sul territorio nazionale che volesse articolare la propria struttura in macro aree sostanzialmente omogenee, deve comunque considerare che tale approccio non potrà essere pienamente effettivo per tutte le possibili variabili in gioco. Infatti, macro aree dell’Italia continentale, omogenee per superficie e popolazione, presenterebbero sensibili differenze, che devono essere comunque valutate in modo adeguato, e che possono essere dovute a molteplici componenti, come il numero di amministrazioni locali con cui interloquire, la disponibilità di infrastrutture di trasporto, il reddito medio pro-capite, ecc..

Anche per il significato di “impatto territoriale”, quindi, si ripropone nuovamente la necessità di ampliare la percezione comune, aggiungendo alla componente normalmente riferita genericamente al contesto socio-economico, anche quella specifica relativa alle singole organizzazioni.

Queste estensioni concettuali non implicano una vera e propria rivoluzione copernicana, ma l’attenta sistematizzazione di aspetti operativi solo occasionalmente considerati come, ad esempio, nel caso di una multinazionale operante nei Paesi del Mediterraneo che deve gestire la differenza di giorno festivo settimanale in funzione delle tradizioni religiose locali.

Volendo considerare pienamente l’estensione del concetto di interazione con gli specifici contesti territoriali, dopo un periodo di grande risalto attribuito all’argomento globalizzazione e senza spingersi fino ad ipotizzare una sorta di “federalismo organizzativo”, è comunque necessario che la politica aziendale allarghi i propri orizzonti introducendo nuove variabili ai processi decisionali interni.

Conclusioni

L’estensione ed il completamento del significato percepito di policy-maker e di impatti territoriali implica una conseguenza diretta: il soggetto operante nel settore privato ha la necessità di aggiungere al proprio profilo professionale nuove competenze, sostanzialmente diverse rispetto al suo bagaglio tradizionale.

L’ostacolo principale in questa ipotesi di aggiornamento è rappresentato dalla distanza esistente tra il tipico contesto di riferimento per l’aggiornamento professionale degli operatori del settore privato, management e organizzazione aziendale, e gli ambiti di studio dei fenomeni territoriali, per i quali è necessario un approccio fortemente multi-disciplinare che spesso risulta ostico o difficilmente accessibile ai neofiti.

In questa ottica, fortunatamente, le organizzazioni attive nell’ambito delle Scienze Regionali costituiscono il contesto ottimale per un proficuo contatto con nuovi soggetti portatori di ulteriori competenze, esperienze e professionalità specifiche. Infatti, la profonda cultura multi-disciplinare e l’abitudine al confronto tra studiosi provenienti da contesti culturali sostanzialmente diversi, che da sempre caratterizza le Scienze Regionali, costituisce il miglior presupposto per un proficuo scambio di competenze in grado di contribuire alla crescita culturale, professionale e scientifica di tutti i soggetti coinvolti.

Un maggiore coinvolgimento degli studiosi di organizzazione aziendale nella metodologia, nello studio empirico e, soprattutto, nei risultati che si possono ottenere dagli studi territoriali creerebbe una notevole opportunità perchè i policy-maker apprendano dell’esistenza di contesti in grado di fornire nuovi spunti, idee, approcci risolutivi.

D’altro canto, un ulteriore ampliamento della base nell’ambito delle scienze regionali, oltre ad essere sicuramente naturale e ben accetto, proprio in virtù del carattere sostanzialmente multi-disciplinare, fornirebbe nuovi contributi ed allargherebbe ulteriormente i confini dei possibili argomenti di studio.

Carlo Tesauro, CNR – IBAF, Napoli

Riferimenti bibliografici

Alderighi, M., Cutini, V., Fratesi, U., Murano, C. e Musolino D. (2011): Editoriale: Perché nasce EyesReg. EyesReg, 1, 1.

Campisi D., Tesauro C. (1997): Telecommunication’s Rates and Territorial Aggregations. Technovation, 17, 5, 267-277.

Tesauro C. (2007): Comunicazioni ed ambito socio-economico: Nuovi scenari. “XXVIII Conferenza Nazionale di Scienze Regionali”, Bolzano, 26 – 28 settembre 2007.

Note

[1] The free dictionary – Policy-maker: Soggetto che imposta un piano di governo o di business.

[2] The free dictionary – Politics: L’arte o scienza del governo, riferito in particolare al governo di un’entità politica, come una nazione, o di governo dell’amministrazione e il controllo dei propri affari interni ed esterni.

[3] The free dictionary – Policy: Un piano o un corso d’azione politica, come di un partito di governo o di affari, destinato ad influenzare e determinare decisioni, azioni, e altre questioni politiche, linea di condotta, procedimento, metodo, sistema, indirizzo

[4] Answers.com – Cos’è una politica di governo (What is government policy): Una politica viene normalmente descritta come un principio o una regola per indirizzare decisioni e ottenere risultati razionali. Il termine non è normalmente usato per indicare ciò che viene effettivamente fatto, cosa normalmente indicata come procedura o protocollo. Mentre una politica conterrà il ‘cosa’ e il perchè’, le procedure o protocolli contengono il cosa’, il ‘come’, il ‘dove’ e il ‘quando’. Le politiche sono generalmente adottate dal consiglio di gestione o l’organo di rilievo all’interno di un’organizzazione, mentre le procedure o protocolli sarebbero sviluppati e adottati da parte di alti dirigenti.

[5] Treccani – Politica: 1. La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica; 2. Particolare modo di agire, di procedere, di comportarsi in vista del raggiungimento di un determinato fine, sia nell’ambito pubblico sia in quello privato.

[6] Wiki it – Analisi delle politiche pubbliche: Identificare le politiche pubbliche come l’attività dei governi non è una definizione esauriente. Infatti le politiche pubbliche riguardano anche attività private come aziende e multinazionali, le quali a certe condizioni sono veri e propri policy makers in quanto alcune loro scelte ricadono sui cittadini (policy takers).

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