di: Gianluigi Gorla
EyesReg Vol.1, N. 1 – Maggio 2011.
Je suis moi-même la matière de mon livre
M. de Montaigne, Les Essais, 1595.
La dimensione economica del vivere umano
Il problema economico nasce dalla inevitabile tensione tra i molteplici, non predeterminabili e potenzialmente infiniti bisogni dell’uomo e le risorse limitate a sua disposizione [1].
Fin dall’origine, dopo la cacciata dal giardino dell’Eden (Gen. 3, 23) o, se si preferisce, dopo la mitica età dell’oro (Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 109 e ss.), l’uomo deve affrontare il problema di come rispondere ai propri bisogni facendo i conti con i mezzi e le capacità di cui dispone.
È un dato di fatto, che viene prima di tutte le culture e le civiltà. Si potrebbe dire che si tratti di una dimensione propria dell’esistenza umana, che riguarda l’uomo e le società di ogni epoca in ogni luogo; dimensione che rimanda innanzitutto ad una riflessione antropologica e filosofica sulla sua natura, ma che esige anche di essere ben tenuta in conto per intendere l’agire umano.
Certamente, nell’arco dei secoli e dei millenni si sono realizzate radicali trasformazioni: ai bisogni primari dei progenitori preistorici, i quali due milioni di anni fa iniziarono a sviluppare le primordiali tecnologie della civiltà della pietra, si sono affiancati e poi sostituiti bisogni sempre più evoluti fino ai nostri giorni. Il progresso tecnologico ha accompagnato nell’arco della storia millenaria tale sviluppo, anzi ne è stato parte integrante: ogni risorsa diventa infatti tale, solo quando l’uomo la riconosce e ne scopre le possibilità di impiego.
A ben guardare, non solo una sincera riflessione sulla propria esperienza, ma la stessa grande Storia dell’umanità mostra che l’uomo non è mai pienamente appagato da ciò che ha e dai risultati che raggiunge, ma cerca sempre di andare oltre, di superarsi. Charles Peguy (1932), parlando del lavoro, poeticamente si esprimeva così “Non soltanto l’idea di raggiungere il risultato migliore possibile, ma l’idea, nel meglio, nel bene, di ottenere di più. Si trattava di uno sport, di una emulazione disinteressata e continua, non solo a chi faceva meglio, ma a chi faceva di più”.
Dall’età della pietra all’età dei metalli, dalle grandi civiltà idrauliche al fiorire di quelle intorno al mare Mediterraneo, dalla rinascita medioevale fino all’epoca moderna e contemporanea, è stato spesso un progredire, non senza difficoltà, contraddizioni ed errori, momenti di arresto o addirittura di arretramento, lungo un sentiero che può essere letto in chiave di affrancamento dalle privazioni materiali e di elevazione umana e sociale: l’umana avventura è anche avventura economica.
Infatti, a differenza dell’animale, che pure deve affrontare il problema, l’uomo non ha un rapporto istintivo, animalesco appunto, con bisogni e risorse. Egli prende coscienza gradualmente dei propri bisogni e delle risorse, e a ciò contribuisce la sua attività, quello che comunemente chiamiamo lavoro.
Anche se il termine è per analogia esteso agli animali e alle macchine, in realtà il lavoro è prerogativa dell’uomo, solo che si consideri che esso non consiste semplicemente in energia fisica applicata a un processo produttivo, ma anche e soprattutto nell’uso di capacità umane distintive, ragione e abilità, per concepire, governare e far evolvere tali processi e per finalizzarli a scopi desiderati. Così facendo, l’uomo acquisisce maggiore consapevolezza e signoria sulla realtà, e anche approfondisce concretamente la conoscenza di sé, dei propri limiti e potenzialità, delle proprie aspirazioni. Il filosofo Emmanuel Mounier lo esprimeva efficacemente così: “Tout travail travaille à faire un homme en même temps qu’une chose” (Cazamian, 1996)
Inoltre, nel lavoro, l’uomo è mosso da una responsabilità, risponde cioè all’appello suscitato dai bisogni di coloro dei quali sente di farsi carico: la famiglia, il clan, la comunità, la società. Lo stesso svolgimento del lavoro richiede interazione, collaborazione, fiducia fra gli uomini, eppoi una costruzione sociale. Il lavoro è dunque fattore di ulteriore comprensione della natura relazionale e sociale dell’io, oltre che elemento costitutivo delle società e del loro benessere.
Economia e cultura dell’occidente
Se il problema economico è comune a tutti gli uomini e a tutte le società di ogni epoca storica e luogo geografico, il modo di affrontarlo e risolverlo è mediato dalla cultura.
La cultura connota le diverse civiltà e, nei suoi tratti essenziali, essa attiene alla concezione che l’uomo ha di se stesso, della società, della storia, della natura e di dio. Essa è dunque, volenti o nolenti, intrisa di elementi religiosi, benché ogni religione, si pensi al Cristianesimo, non è semplicisticamente riconducibile ad un’unica espressione culturale.
All’interno di ciascun ambito culturale, col suo progredire, si sviluppano poi regole e regolarità, cioè istituzioni, anche variegate, ma normalmente accumunate da alcuni valori fondanti, che vengono prima e sono riconosciuti costitutivi delle società.
Tutto ciò non è affatto irrilevante per l’avventura economica.
L’occidente è da questo punto di vista un caso, se non il caso più interessante, tant’è che non sembra irragionevole notare che quando cominciò l’esplorazione del mondo “la sorpresa più grande per gli europei non fu l’esistenza dell’emisfero occidentale, ma la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società … (non solo) le fiere popolazioni maya, azteche e inca, ma anche le leggendarie civiltà orientali: Cina, India e persino il mondo islamico erano arretrate in confronto all’Europa del XVI secolo. Com’era accaduto?” (Stark, 2006)
Da dove proveniva questo predominio nella metallurgia e nella meccanica, nella costruzione di navi e nelle tecniche di trasporto per vie di terra, nelle tecnologie idrauliche ed eoliche, nell’agricoltura e nelle tecniche alimentari, nell’artigianato? Perché solo gli europei disponevano di occhiali, di orologi meccanici, di case dotate di canna fumaria (si tratta di innovazioni fondamentali dal punto di vista economico)? E ancora, perché disponevano di avanzati sistemi di contabilità (la partita doppia fu inventata alla fine del XIII secolo) che razionalizzavano l’attività d’impresa, e di innovativi strumenti finanziari (le lettere di cambio e le banche comparvero per prime in Italia, sul finire del XIII secolo, e le assicurazioni in quello successivo) che rendevano più facili e sicuri lo scambio e i pagamenti a distanza? Insomma, perché su innumerevoli fronti l’Europa era progredita più di altre civiltà, alcune delle quali millenarie? E questo ancor prima dell’avvento del capitalismo moderno e della prima rivoluzione industriale?
L’unicità della cultura occidentale e delle sue istituzioni trova innanzitutto radice nella fede nella ragione, metodo di conoscenza che, a sua volta, deriva dalla concezione cristiana di Dio (logos e agape) e quindi del creato, che è realtà fatta per l’uomo, intellegibile e dunque conoscibile; la natura, nella tradizione giudaico-cristiana, è subordinata all’uomo. La possibilità di accrescere progressivamente la conoscenza attraverso la ragione orienta verso il futuro e sostiene una concezione lineare della storia che apre allo sviluppo delle scienze, all’idea positiva di progresso e alle conseguenti innovazioni tecniche ed organizzative. Inoltre, la concezione cristiana dell’uomo ne proclama l’eguaglianza morale, da cui discende l’uguaglianza degli uomini davanti alla legge e molte altre forme di parità dei diritti; ciò ha favorito una pratica politica che, con gradualità e non senza contraddizioni anche gravi, ha limitato le pretese dei sovrani e ha ammesso crescenti gradi di libertà personale e sociale, a partire nel medioevo dall’abolizione della schiavitù e dalla nobilitazione del lavoro; e ha portato, fra l’altro, allo sviluppo dei moderni sistemi legali, al libero mercato e ai suoi istituti principali, quali la tutela dei diritti di proprietà, il lavoro libero e la libertà d’intrapresa, la moneta e il credito.
Tutto ciò ha accompagnato e sostenuto dapprima lo sviluppo delle attività agricole e mercantili e di quelle manifatturiere, e ha permesso poi il perfezionamento dell’organizzazione delle produzioni alla base del modello di sviluppo capitalistico: originatosi nell’Italia medioevale, si è in un primo momento diffuso nelle Fiandre e in Olanda per spostarsi successivamente – anche a seguito di guerre, repressioni, conflitti religiosi e avidi despoti – verso i paesi del Nord, in particolare verso l’Inghilterra, dove si godeva di livelli di libertà senza pari, paese che si affermerà più tardi, nella seconda metà del Settecento, come il centro della prima rivoluzione industriale. Come nota lo storico David S. Landes (2000) “Era il mondo di Adam Smith, che andava già prendendo forma cinquecento anni prima che egli nascesse”.
Gianluigi Gorla, Università della Valle d’Aosta
Riferimenti Bibliografici
Cazamian P. (1996), Le travail autonome. Opérativité et scientificité. Principes de l’intervention ergonomique, in Cazamian P., Hubault F., Noulin M. (ed.), Traité d’ergonomie, Toulouse: Octarès Editions.
Landes D. S. (2000), La ricchezza e la povertà delle nazioni, 2000, Milano: Garzanti.
Peguy C. (1932), L’argent, Paris:Gallimard.
Stark R. (2006), La vittoria della ragione, Torino: Lindau.
Note
[1] Diverse idee, direi le più importanti, di questa prima parte sono state coltivate da un gruppo di (allora) giovani economisti che negli anni ottanta a Milano si radunavano intorno a Marco Martini, compianto professore di Statistica Economica, la cui intelligenza sulla realtà unita alla passione per il lavoro ha segnato indelebilmente la loro formazione. Il mio debito nei suoi confronti è grande, e il riconoscimento della paternità di tali idee non costituisce neanche una minima approssimazione della ricchezza umana e professionale che ha testimoniato e trasmesso.