di: Roberto Basile e Carmine Pappalardo
EyesReg, Vol.1, N. 3 – Settembre 2011.
La tempestiva conoscenza dei differenziali ciclici regionali all’interno di un sistema economico nazionale e di un’area integrata come quella dell’Euro rappresenta un requisito indispensabile per una condotta efficace delle politiche di stabilizzazione, soprattutto nelle fasi di contrazione dell’attività produttiva, come quella recentemente sperimentata tra la seconda metà del 2008 e la fine del 2009. In questi casi è infatti estremamente rilevante valutare con precisione l’intensità della caduta ciclica sia a livello nazionale che a livello infra-nazionale, l’esistenza di sfasamenti ciclici territoriali, l’identificazione dei punti di svolta per ciascuna area geografica e la velocità di ripresa della singole regioni.
In generale, i principali ostacoli ad una diagnosi robusta della posizione ciclica delle economie regionali sono rappresentati dalla disponibilità di un’informazione statistica di buona qualità piuttosto che dalle metodologie adottate. Queste ultime, infatti, coincidono in larga misura con quelle utilizzate a livello nazionale, ma richiedono la disponibilità di un numero di indicatori ad alta frequenza e con un elevato grado di aggiornamento, sufficientemente rappresentativi del fenomeno di interesse.
Con riferimento al caso italiano, i conti territoriali dell’ISTAT, pur disponibili a partire dagli anni ’50, presentano lo svantaggio (per gli obiettivi dell’analisi ciclica) di essere diffusi a frequenza annuale (Mastromarco e Woitek, 2007). D’altro canto, i principali indicatori congiunturali a frequenza mensile (ad esempio, l’indice della produzione industriale e gli indici del fatturato e degli ordinativi), pur rispettando le esigenze di regolarità e tempestività degli aggiornamenti, sono disponibili su base esclusivamente nazionale. La carenza di informazioni territoriali ad alta frequenza ha, in alcuni casi, portato all’utilizzo di indicatori sintetici ottenuti a partire da un insieme di variabili disponibili a livello infra-annuale e territoriale. Si inserisce in questo ambito il contributo di Brasili e Brasili (2009), in cui si propone una datazione del ciclo economico delle regioni italiane per il periodo 1993-2005. Indicatori qualitativi territoriali sono stati inoltre utilizzati per pervenire ad un’interpolazione trimestrale della serie annuale del prodotto lordo e delle principali componenti di domanda della contabilità regionale (Pappalardo e Piselli, 2002).
Il presente lavoro si inserisce nel contesto della letteratura empirica sulla stima dei cicli economici territoriali per il caso italiano e intende fornire un nuovo approccio empirico per la valutazione dei differenziali tra gli andamenti ciclici del Mezzogiorno e del Centro-Nord.
L’uso di microdati per l’analisi dei ciclo aggregato
L’aspetto di maggiore novità del lavoro riguarda l’utilizzo di dati a livello di impresa per la stima degli andamenti ciclici regionali. Tali informazioni sono tratte delle business survey mensili condotte dall’ISTAT presso la manifattura industriale italiana. L’utilizzo di tali informazioni, in particolare, consente di distinguere gli effetti attribuibili alle differenze nel comportamento degli agenti economici in diverse regioni da quelli afferenti alla diversa composizione delle imprese tra regioni (Zhang, 2007). Al contrario, la gran parte degli studi empirici basati su dati macroeconomici omettono di considerare il contributo dell’eterogeneità di impresa come ulteriore potenziale determinante degli scostamenti ciclici tra aree geografiche.
In questo lavoro, l’inferenza sulle fluttuazioni cicliche territoriali è dunque limitata al solo settore manifatturiero. Il modello micro-econometrico di riferimento presenta come variabile dipendente i giudizi delle singole imprese sui livelli correnti della produzione: tale variabile si distribuisce su tre modalità (0=basso, 1=normale, 2=alto). Il modello è stimato nella forma di un ordered probit con effetti random (cfr. Basile, de Nardis e Pappalardo, 2011, per maggiori dettagli sulla metodologia di stima).
In particolare, si assume che gli andamenti ciclici siano catturati attraverso gli effetti marginali sulle dummy trimestrali specificate nel modello per ciascuna modalità della variabile dipendente. Il modello è stimato su dati d’impresa raccolti mensilmente per il periodo Aprile 2003 – Dicembre 2010. Per una prima indicazione sul grado di robustezza delle indicazioni provenienti dal modello, gli effetti marginali sulle dummy trimestrali sono messi a confronto con la componente ciclica estratta dall’indice generale della produzione industriale attraverso il filtro di Baxter e King (1999). Il confronto, riportato in Figura 1, fornisce risultati incoraggianti: le correlazioni contemporanee tra ciascun effetto marginale e il ciclo ottenuto dall’indicatore “macro” sono elevate e significativamente diverse da zero (rispettivamente, -0,67, 0,66 e 0,65); soltanto gli effetti marginali per (y=2) hanno evidenziato una lieve tendenza ad anticipare la componente ciclica aggregata.
La prima parte del periodo campionario è caratterizzata da un moderato sviluppo dell’attività industriale accoppiato ad una forte volatilità dell’output. Durante questa fase terminata nel terzo trimestre del 2005, le imprese manifatturiere italiane furono indotte a intraprendere un processo di ristrutturazione per affrontare l’eccezionale aumento della pressione competitiva proveniente dalla Cina e da altre economie emergenti. L’aggiustamento consentì un’espansione dell’attività industriale a partire dal quarto trimestre del 2005 proseguita fino al terzo trimestre del 2008. Il periodo seguente è caratterizzato dalla profonda recessione generata dalla crisi finanziaria internazionale e continuata fino al quarto trimestre del 2009. L’ultima fase ciclica, ancora in corso, vede un recupero dell’attività industriale.
Le differenze cicliche Nord-Sud
L’analisi si è successivamente incentrata sugli scostamenti della componente ciclica della ripartizione meridionale rispetto al benchmark del Centro-Nord. Tali scostamenti sono stati catturati attraverso la stima degli effetti marginali sulle interazioni tra le dummy trimestrali e la dummy “Mezzogiorno” (che assume valore 1 se l’impresa è localizzata in una regionale meridionale, 0 altrimenti). Il risultato, riportato in Figura 2, è interpretabile in termini di differenziali di ampiezza ciclica tra Mezzogiorno e Centro-Nord.
Figura 1: Componente ciclica della produzione industriale ed effetti marginali delle dummy trimestrali (Qt)
a) Effetti marginali di Qt sulla probabilità che il livello di produzione sia basso –
b) Effetti marginali di Qt sulla probabilità che il livello di produzione sia normale –
c) Effetti marginali di Qt sulla probabilità che il livello di produzione sia alto –
In generale, le asimmetrie cicliche territoriali risultano positivamente correlate con l’intensità del ciclo economico: l’effetto “Mezzogiorno” appare trascurabile fino al terzo trimestre del 2005, ovvero durante il periodo della stagnazione con micro cicli, mentre risulta molto forte nelle successive fasi di espansione e di contrazione dell’attività industriale. In corrispondenza della prima fase espansiva (aprile 2005–settembre 2008), lo scostamento in negativo della performance meridionale (la probabilità che il livello della produzione industriale sia basso è maggiore se l’impresa è localizzata nel Mezzogiorno) segnalerebbe una difficoltà dell’area a prendere parte in pieno al processo di recupero. La considerazione che la ripresa dell’attività industriale abbia avuto nell’accelerazione delle esportazioni il principale elemento di spinta potrebbe in parte spiegare l’insoddisfacente evoluzione delle regioni meridionali, povere di una forte base industriale a vocazione estera. Nella successiva fase recessiva (ottobre 2008-dicembre 2009), l’effetto “Mezzogiorno” ha cambiato segno (la probabilità che il livello della produzione industriale sia basso è diventata minore se l’impresa è localizzata nel Mezzogiorno), ad indicare che, a parità di alcune condizioni sopra elencate, le imprese meridionali sono state meno penalizzate rispetto a quelle del Centro-Nord durante la recente fase di forte contrazione dell’attività industriale. Ancora una volta le ragioni di questi scostamenti potrebbero essere attribuite alla minore esposizione delle imprese meridionali alle dinamiche cicliche della domanda mondiale. Infine, durante la più recente fase di uscita dalla recessione, le imprese meridionali stentano nuovamente ad agganciare la ripresa.
Figura 2: Effetto “Mezzogiorno” – Anni (2003-2010)
Sviluppi futuri dell’analisi
Gli sviluppi futuri di quest’analisi riguarderanno l’identificazione dei fattori alla base dei differenziali ciclici Nord-Sud sopra descritti. Si tenterà in particolare di valutare se persistano differenziali nel comportamento ciclico territoriale dopo aver controllato per i fattori strutturali che alterano i meccanismi di trasmissione degli shock esogeni (come il mix settoriale, la dimensione aziendale, la propensione all’export, i vincoli di liquidità, le condizioni di domanda, l’utilizzo della capacità produttiva e le aspettative) desunti dalla prevalente letteratura sui cicli economici. I primi risultati raggiunti indicano che le differenze regionali nella composizione settoriale non aiutano a spiegare la minore volatilità della produzione industriale delle imprese meridionali, mentre le variabili firm-specific spiegano buona parte delle differenze regionali nei cicli economici.
Roberto Basile, Seconda Università di Napoli
Carmine Pappalardo, ISTAT
Riferimenti bibliografici
Basile R., de Nardis S., Pappalardo C. (2011), Firm Heterogeneity and Regional Business Cycles Differentials, mimeo.
Baxter M., King R.G. (1999), Measuring business cycles: Approximate band pass filters, The Review of Economics and Statistics, 81(4), 575–593.
Brasili A., Brasili C. (2009), Sincronia e distanza nel ciclo economico delle regioni italiane, in Politica Economica, Anno XXV, n.2, agosto 2009, Il Mulino, Bologna.
Mastromarco C., Woitek U. (2007), Regional business cycles in Italy, Computational Statistics and Data Analysis 52, 907-918.
Pappalardo C., Piselli P. (2002), Stima ed analisi del ciclo economico territoriale 1987-2000, Rivista di Politica Economica, 92(3), 201-248.
Zhang Q. (2007), A micro-foundation of local business cycles, Regional Science and Urban Economics 37, 568-60.