Giornale on-line dell'AISRe (Associazione Italiana Scienze Regionali) - ISSN:2239-3110
 

Come siamo arrivati fin qui: la sanità pubblica in Italia alla prova del coronavirus

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di: Filippo Celata

EyesReg, Vol.10, N.2, Marzo 2020

Quanto è sotto pressione il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in Italia a causa della pandemia di coronavirus (COVID-19)? Qual è la sua capacità di rispondere a un’emergenza di questo tipo? E come si è modificata tale capacità negli ultimi anni?

È ben noto che nelle aree maggiormente colpite la situazione è abbondantemente oltre la capacità ordinaria di gestione da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Il sistema ospedaliero, nei casi più gravi, fatica sia a fornire un ricovero adeguato ai malati di coronavirus che soffrono di crisi respiratorie sia, di conseguenza, a prendere in cura altre patologie.

Per cercare di comprendere la capacità di risposta del SSN e le dinamiche che lo hanno caratterizzato negli ultimi anni, è stata effettuata un’analisi alla maggior scala possibile, andando oltre il livello regionale solitamente utilizzato in analisi simili (1). Si è utilizzato per questo prevalentemente il numero di posti letto ospedalieri, per le ragioni e con i limiti che si discuteranno in seguito.

Appare immediatamente evidente che le aree maggiormente colpite (2) sono, per fortuna, tra quelle maggiormente capaci di sostenere l’impatto. Il che probabilmente non è un caso: sono tra le aree più ‘ricche’ del paese, più produttive e quindi interconnesse con altre aree e paesi, più dense di popolazione e attività, e quindi più esposte al pericolo di contagio. Uno dei meriti principali delle misure di distanziamento sociale è quello di aver impedito (per ora) che il contagio si diffondesse nelle aree meno capaci, in particolare al Sud.

Figura 1 – Rapporto tra positivi al COVID-19 al 25/03/2020 e posti letto ospedalieri ordinari, 2019

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Protezione civile e Ministero della Salute

In ogni caso, il sistema ospedaliero è più o meno ovunque inadeguato a gestire un’emergenza di tali dimensioni e per certi versi imprevedibile come questa. Nelle prossime figure si rappresenta per questo la capacità complessiva del sistema ospedaliero in termini di posti letto ordinari e di posti letto nei reparti di terapia intensiva. Questi ultimi, a ben vedere, hanno avuto un lieve aumento in questi anni, pari a +1,2% su base annuale dal 2010 al 2018, secondo l’Istat (1). Ma i tre reparti considerati idonei al ricovero di pazienti affetti da coronavirus, ovvero di terapia intensiva, pneumologia e malattie tropicali, hanno subito complessivamente una riduzione, sebbene notevolmente inferiore alla riduzione dei posti letto ordinari (si veda la tabella).

Figura 2 – Disponibilità posti letto ospedalieri, 2019, per provincia

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Ministero della Salute e Istat

Figura 3 – Disponibilità posti letto in terapia intensiva, 2019, per provincia

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Ministero della Salute e Istat

Figura 4 – Posti letto ospedalieri ordinari ogni 1.000 abitanti, 2019, per bacini ospedalieri

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Ministero della Salute e Istat

Si è cercato poi, come si è detto, di scendere al massimo livello di dettaglio territoriale possibile, utilizzando una partizione approssimativa del territorio in bacini ospedalieri, individuati tramite diagramma di Voronoi a partire della localizzazione di ogni singola struttura ospedaliera dotata di un reparto di terapia intensiva. I bacini contigui più piccoli di 500 km2 sono stati poi aggregati a quelli contigui, sia per ragioni grafiche, sia perché si tratta di ospedali relativamente vicini tra di loro e i cui bacini di utenza sono per questo potenzialmente sovrapposti.

In entrambi i casi, ovvero sia nell’analisi a scala provinciale che di bacino ospedaliero, gli indicatori sono stati calcolati sommando i valori per area con quelli di tutte le aree contigue, al fine di ‘spazializzare’ la variabile per rendere la distribuzione territoriale del fenomeno più facilmente leggibile, e considerando che eventuali ricoveri non avvengono necessariamente negli ospedali più prossimi ai luoghi di residenza.

Emerge da un lato una discreta variabilità del fenomeno, anche all’interno delle singole regioni. Si vede inoltre come cambiando scala (dalle province ai bacini) il pattern di distribuzione del fenomeno cambi la sua forma. Lo stesso vale quando i medesimi dati si analizzano a scala regionale. Quello che si vuole mettere in evidenza è, in poche parole, che l’analisi di questo come di altri fenomeni risente fortemente del tipo di partizione territoriale adottata, ovvero è affetto da MAUP (Modifiable Area Unit Problem) (3).

Tabella 1. Dinamiche del Servizi Sanitario Nazionale in Italia, dal 2010 al 2017/2018

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Ministero della Salute e Istat

In ogni caso, al Nord come al Sud, la capacità del sistema ospedaliero appare drammaticamente sottodimensionata e di seguito si cercherà di mostrare come si è arrivati a questa situazione. Nel fare ciò – è importante chiarirlo – non si vuole in alcun modo sostenere che per una efficace gestione di emergenze simili a quella innescata dal coronavirus sia necessario aumentare la capacità degli ospedali. Sono anzi molto interessanti le riflessioni e le proposte su come evitare che il ricorso all’ospedalizzazione sia l’unica soluzione possibile, sia perché il sistema ospedaliero non è in grado di reggere l’impatto, sia perché poi si trasforma esso stesso in un veicolo di contagio (4). Ma è bene lasciare queste valutazioni agli esperti.

La riduzione dei posti letto ospedalieri è poi in realtà un fenomeno più ampio che caratterizza in particolare tutti i paesi occidentali, e che prosegue da molto tempo. Secondo i dati OCSE, in Italia il numero di posti letto per la cura di casi ‘acuti’ ogni 1.000 abitanti era pari a 10 nel 1977, 8 nel 1985, 6 nel 1995, 4 nel 2001, 3 nel 2010 ed è oggi pari a circa 2,5. Tale riduzione è anche dovuta alla riduzione dei tempi di degenza e al minore ricorso all’ospedalizzazione, ma è correlata ad altri fenomeni quali la riduzione del personale medico e infermieristico, o alla riduzione del numero dei medici di base (5). Il dato sulla capacità degli ospedali offre quindi uno spaccato estremamente dettagliato delle dinamiche che caratterizzano il SSN negli ultimi anni, ed è d’altronde l’unico utilizzabile ad una scala superiore a quella regionale.

Figura 5 – Variazione posti letto ordinari 2010-2018, per provincia

Figura 6 – Variazione posti letto ordinari 2010-2018, per bacini ospedalieri

Dai dati emergono innanzitutto i consueti squilibri tra Nord e Sud del paese. A ben vedere, tuttavia, il problema riguarda in misura minore o maggiore l’intera penisola. Esso risulta poi particolarmente grave in alcune regioni del Centronord quali il Piemonte, la Liguria e il Lazio che, per ragioni diverse, hanno avuto dinamiche economiche fortemente negative negli ultimi anni.

Emergono, per concludere, diversi problemi: gli effetti negativi che le esigenze di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica hanno avuto sulla necessità di garantire la salute pubblica; le iniquità che caratterizzano tradizionalmente il paese e che sono state probabilmente aggravate dalla regionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale; la necessità di pensare e sperimentare soluzioni alternative. L’auspicio è che la crisi sia occasione per riflettere sui motivi che ci hanno portato fin qui e su cosa bisogna fare per evitare che una situazione del genere si ripeta quando, prima o poi, scoppierà la prossima pandemia.

L’analisi presentata è in questo meramente descrittiva e necessariamente preliminare. Essa mostra anche, si spera, il contributo rilevantissimo che le scienze regionali e l’analisi geografica possono fornire allo studio e alla gestione degli effetti e delle implicazioni di una pandemia la quale, ancora una volta, mostra quanto lo spazio e il territorio siano categorie cruciali per comprendere e affrontare alcuni dei problemi più drammatici che caratterizzano la contemporaneità.

Filippo Celata, Università di Roma La Sapienza – MEMOTEF; Direttivo Società Geografica Italiana (SGI)

Note

(1) Fonte di dati: Protezione civile (http://opendatadpc.maps.arcgis.com/…/opsdashboa…/index.html); Ministero della salute, open data (http://www.dati.salute.gov.it/dati/dettaglioDataset.jsp); Istat (popolazione residente, e documento di “Esame del disegno di legge A.S. 1766. Conversione in legge del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18”). I dati potrebbero essere imprecisi per via di errori in sede di imputazione e di elaborazione. La fotografia complessiva è comunque valida, se non nei valori esatti degli indicatori, nella loro distribuzione territoriale.

(2) Il dato ufficiale sui casi riscontrati può, come è noto, sottostimare in misura rilevante l’effettivo numero di contagiati e essere distorto dalle diverse modalità con le quali regioni e territori stanno gestendo l’epidemia. Si considera poi il totale dei casi di contagio, al lordo dei guariti, perché è l’unico dato disponibile a livello provinciale. Il rapporto tra casi di Covid-19 e posti letto non è in ogni caso un indicatore dell’effettivo livello di saturazione degli ospedali, ma una proxy del grado complessivo di pressione sul sistema ospedaliero, sia in termini di gestione della pandemia che di altre patologie ‘ordinarie’.

(3) Il “Modifiable Area Unit Problem” (MAUP) è un problema molto noto nell’ambito dell’analisi spaziale, ma quasi sempre sottovalutato nell’analisi e nella rappresentazione dei fenomeni geografici. Il problema è che qualsiasi discontinuità geografica è più o meno ‘artificiale’, arbitraria, e modificabile. La scala e la partizione territoriale adottata, quindi, influenzano in misura determinante i risultati dell’analisi e la loro interpretazione. La MAUP si suddivide a sua volta in un problema di ‘scala’, ovvero relativo al grado di risoluzione spaziale adottato (all’aumentare del grado di risoluzione spaziale, ovvero passando da scale più globali a scale più locali, aumenta per esempio considerevolmente la varianza, oltre che il rischio che le relazioni individuate siano dovute al caso o influenzate da eventuali errori); e in un problema di ‘zonizzazione’ (anche nell’ambito della medesima scala di analisi, i risultati sono influenzati da come tali dati sono aggregati, ovvero dalla forma geometrica della partizione utilizzata). Il problema è particolarmente evidente quando si utilizzano le partizioni amministrative, perché sono spesso arbitrarie (ovvero non ricalcano la forma effettiva che i fenomeni geografici assumono nello spazio) oltre che fortemente irregolari.

(4) Si segnala in particolare il dibattito molto interessante e molto discusso in questi giorni relativo all’alternativa tra un sistema sanitario “centrato sul paziente” e uno “centrato sulla comunità”. Si veda ad esempio l’articolo di Mirco Nacoti e altri “At the Epicenter of the Covid-19. Pandemic and Humanitarian Crises in Italy” (https://catalyst.nejm.org/doi/full/10.1056/CAT.20.0080), tradotto in italiano da Fabio Sabatini (http://tiny.cc/o1l5lz).

(5) A livello regionale, la variazione dei posti letto ospedalieri ordinari dal 2010 al 2018 ha una correlazione di 0,615 e una significativa del 99% con la variazione dei posti letto potenzialmente destinabili a malati di Coronavirus. La variazione dei posti letto ospedalieri mostra inoltra una correlazione a un livello di significatività del 95% e pari a 0,471 con la variazione del personale medico dipendente presso il Servizio Sanitario Nazionale (che è a sua volta fortemente correlata con la variazione del personale infermieristico), e una correlazione significativa al 95% e pari a 0,435 con la variazione del numero di medici di base ogni 10.000 residenti.

(6) Si ringrazia Gianluigi Salvucci per l’aiuto fornito nella localizzare degli ospedali, Lorenzo Paglione per gli utili suggerimenti sull’elaborazione dei dati, e i tanti che hanno fornito commenti e suggerimenti in seguito alla pubblicazione di alcune di queste analisi e considerazioni su facebook.

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